lunedì 21 marzo 2011

Traduzioni ( I )

Una delle prime cose che mi hanno insegnato, quando facevo le scuole medie e cominciavo ad imparare l’inglese, è che “soup” è la minestra. L’insegnante di inglese, in prima media, ci aveva detto più o meno così: “bambini, attenti: soup è la minestra in generale, è anche la zuppa ma non solo la zuppa. Quando fate la traduzione e trovate soup, abituatevi a pensare alla minestra: anche perché capita spesso che le parole inglesi siano simili alle italiane ma abbiano un significato diverso”.
Invece, crescendo, ho scoperto che nei film americani e inglesi tutti mangiavano sempre la zuppa: misteri della traduzione, o piuttosto pigrizia e pressappochismo? Eppure nel film si vedeva benissimo che non era una zuppa, che nessuno metteva il pane in quella minestra, che magari era solo un brodo leggero...

Un’altra parola che mi disturba sempre ascoltare nei film è “mostarda”: nei film americani c’è sempre gente che spalma la mostarda sui wurstel. Se vi pare una cosa possibile, o se non ci avete mai fatto caso, è solo perché a voi non piace la mostarda e non la mangiate mai: la mostarda cremonese, che a me piace moltissimo, è fatta di frutta intera immersa in uno sciroppo denso che contiene senape. La senape dà quel sapore forte che contrasta con il dolce; non a tutti piace, ma quelli a cui non piace la mostarda non sanno cosa si perdono.
Sui wurstel (pardon: sugli hot-dog), gli americani spalmano la senape: che in inglese si dice “mustard” e in francese “moutarde”; l'etimologia è probabilmente latina e viene da "mosto" (lo zucchero è stato prodotto solo in tempi moderni, ma la mostarda è molto antica). E’ da questa parola che ha preso il nome la mostarda cremonese, e quindi in teoria non sarebbe scorretto dire “mostarda” anche per la salsa densa gialla (ben visibile e ben riconoscibile anche nei film) che si mette sulle salsicce e nei panini, ma sta di fatto che in italiano “senape” e “mostarda” sono due parole diverse, e io non ho mai sentito nessuno indicare la senape come mostarda e viceversa. E’ vero che esiste un tipo di mostarda (mantovana o vicentina, o forse tutte e due) che si fa solo con le mele e che è spalmabile, ma qui si va sullo specialistico, queste cose le sanno solo gli appassionati di buona cucina, e in ogni caso la mostarda è ottima per il bollito, ma sugli hot dog e sui wurstel è meglio mettere la senape.
Gli esempi che si potrebbero fare sono molti, e ogni volta che ne incontro uno mi dispiace molto perché io con l’inglese mi arrangio, non sono mica un esperto: e se ci sono arrivato io, mi viene da dire, perché mai quelli che fanno i traduttori di mestiere sono spesso così pigri e superficiali?

Ci sono molte parole inglese che sono “falsi amici”, come spiegano nei corsi d’inglese: somigliano alle parole italiane (dalle quali derivano) ma hanno preso un altro significato. “Morbid” si traduce morboso, “actually” è “effettivamente, realmente”, e via elencando.
Sono osservazioni tutt’altro che nuove, che le persone esperte, soprattutto quelli che l’inglese lo parlano sul serio, fanno da parecchi anni; ma rispetto a quand’ero bambino le cose stanno peggiorando, non migliorano né rimangono stazionarie, ma peggiorano nonostante la maggior diffusione dei corsi di lingue.
La causa principale di questa esplosione di pigrizia e di pressappochismo è l’invenzione dei traduttori automatici: che danno una mano, è vero, ma che portano a traduzioni che vanno continuamente riviste, rilette, ripensate. Invece (ed è incredibile, ma ormai funziona così) si trovano sempre più spesso traduzioni stranissime, al limite del ridicolo e magari oltre, perché anche tra i professionisti dell’editoria c’è chi pensa che il traduttore automatico vada bene così, che quelle traduzioni si possano prendere e stampare senza problemi così come sono venute.
Non solo: ho letto che anche i sottotitoli per i non udenti vengono preparati ormai sempre più con questo criterio. I sordi veri, cioè le persone a cui è destinato il servizio, e che in molti casi sanno leggere sulle labbra di chi parla, ogni tanto scrivono ai giornali rilevando con raccapriccio le differenze (chiamiamole così) tra quello che dice un attore e quello che gli fanno dire i sottotitoli – ed è ovvio, se fa tutto il computer e se poi nessuno controlla...

Queste cose, davvero tristi, non nascono per caso: nascono dalla voglia di risparmiare, di non pagare il personale, di pagarlo male, di scegliere tra due traduttori quello che costa meno, eccetera. Malattia, o meglio ideologia, che si è sempre più diffusa negli ultimi 15-20 anni, da quando cioè si è cominciato a dire che il lavoro è un costo e non una ricchezza. E, di conseguenza, anche quei pochi soldi che potrebbero essere pagati a un semplice controllo (da correttore di bozze) sul lavoro fatto in automatico dal computer , sembrano una spesa spropositata: ma così non è, il controllo finale o in fase di lavorazione è fondamentale in ogni campo lavorativo, e mi sembra perfino strano il doverlo ripetere. Sulla mostarda nei film si può sorvolare, ma su quello che succede in altri ambiti con questa smania del risparmiare a tutti i costi (pensate soltanto alle buche nelle strade) c’è solo da spaventarsi.
Ma qui rischio di andare fuori tema, mi fermo e riparto domani perché qualche altro esempio curioso me lo sono segnato e vorrei riportarlo qui, magari anche solo come divertimento.

2 commenti:

annarita ha detto...

Verissimo ciò che scrivi, me ne accorgo ogni giorno, da quando ho deciso di cimentarmi nella traduzioni di fiabe dalla lingua inglese. Imparo sempre qualcosa ed è bellissimo. Salutissimi, Annarita

Giuliano ha detto...

questa storia del traduttore automatico è davvero brutta, c'era già Umberto Eco che ci scriveva cose molto divertenti una quindicina d'anni fa...Non avrei mai pensato che un giorno ci sarebbe stato qualcuno così scemo (pardon!) da pubblicare un testo tradotto in automatico tale e quale, senza fare tutte le verifiche del caso...
Ricordo una di queste traduzioni divertenti: lontano dagli occhi lontano dal cuore, che in inglese è "out of sight out of mind", tradotto come "cieco e idiota" (out of sight, cieco; out of mind, idiota...)
Una volta erano barzellette...