giovedì 11 giugno 2020

I due interisti

Devo essere in fabbrica per le 22, ma come al solito arrivo mezz’ora prima. Non è una mia prerogativa: lo fanno tutti, per antica e sana consuetudine. Si arriva presto, così il collega che sta finendo il turno ha il tempo di tirare un po’ il fiato, di prepararsi per le consegne, magari anche di andare a fare la doccia prima di tornare a casa. La mattina dopo, il collega renderà il favore, e così via. Beh, non lo fanno proprio tutti: le pecore nere ci sono, non manca mai chi se ne approfitta – ma questo è un altro discorso.
Dunque, sono le 21:40 e sono già in laboratorio, pronto per mettermi a lavorare nel turno di notte in fabbrica. Ma i miei due giovani colleghi sono distratti: è una sera di maggio del 1998, e c’è la finale di Coppa dei Campioni. I due hanno portato un piccolo televisore, lo hanno sistemato in bagno e lo stanno guardando con attenzione e partecipazione: la partita è Real Madrid-Juventus, a me non interessa molto ma a loro sì. C’è una cosa che non torna: lo juventino sono io, i miei due colleghi sono interisti...

Sono ormai le 22:10, ma i miei due colleghi non se ne vanno. Sono ancora lì, a “gufare”; ogni tanto il più giovane dei due esce dal cesso (pardon, spogliatoio) e mi fa dei gestacci, soprattutto quando lo jugoslavo Mijatovic segna un gol per il Real Madrid. Rifletto, intanto che vado avanti con il lavoro: il minore dei due interisti ha 22 anni, abita a quindici minuti da qui, fossi in lui me ne andrei a casa, o al bar, o meglio ancora a morosa. Il maggiore ha 31 anni, è sposato, ha una moglie giovane e bella e abita anche lui a dieci minuti da qui: cosa ci sta a fare, a quest’ora, vicino al cesso, a sbirciare in un televisore così piccolo?
E ora veniamo alle mie colpe: avendo a che fare con persone più giovani di me, quando la Juve ha sconfitto l’Inter, una ventina di giorni fa, avevo ritenuto opportuno ricordare alcune cose fondamentali nello sport, e cioè – per esempio – che le partite durano 90 minuti, che l’Inter perdeva a dieci minuti dalla fine, che non ci si può appoggiare ad un rigore dato o non dato, che l’Inter schierava Ronaldo e Zamorano e che la difesa della Juve era fatta da giocatori logori o mediocri, a parte Ciro Ferrara: le cose che mi diceva mio padre quando io avevo quattordici anni, insomma, e guardavamo le partite insieme (mio padre non era juventino). Ma, niente: ne avevo ricavato solo una serie di insulti che stasera sto riascoltando in sequenza e con varianti, e con gestacci irripetibili rivolti alla mia persona. Adesso io non sono più l’amico e collega con cui tanto si andava d’accordo, quello che se hai bisogno ti cambia sempre il turno anche di domenica, sono solo un perfido gobbo juventino come tanti altri: il che, secondo me, non giustifica il fatto che loro due siano ancora chiusi qui dentro, alle 22:40, invece di andare a casa o a morosa. Tra l'altro, mentre loro guardavano il primo tempo della partita il lavoro è rimasto fermo, e adesso io devo correre per rimettermi in pari. Ben mi sta, così imparo ancora qualcosa della vita, all’alba dei 40 anni: così sono fatti gli operai, purtroppo, e dovevo ancora impararlo. Altre sorprese mi sarebbero arrivate negli anni successivi, e anche se sono sempre rimasto amico dei miei colleghi, da allora ho quasi smesso di parlare di calcio e anche di interessarmene. Purtroppo, del calcio non si può fare a meno, non in un ambiente quasi completamente maschile.

Quando finalmente se ne vanno, ormai verso le 23, mi siedo e penso: penso al ‘68, all’autunno caldo, alle grandi manifestazioni che hanno portato allo Statuto dei Lavoratori. Forse non ce lo meritiamo, forse hanno ragione i padroni che chiedono di ricontrattare tutto, forse – se queste sono le nuove leve della fabbrica - abbiamo dato troppe cose per scontate, democrazia compresa.
 
PS: sono passati più di vent'anni, sono successe tante cose ma questo piccolo fatto continua a darmi fastidio e a tornarmi alla memoria. All'epoca mi sembravano piccole cose, questa e le altre che mi sono successe, invece segnavano un cambiamento epocale. In quello stesso periodo, dal 1998 in poi, sono arrivate le nuove norme sul lavoro: il precariato, insomma, del quale oggi ci si lamenta. Io ormai sono fuori dal mondo del lavoro, i due interisti (Enzo e Stefano) invece ci sono ancora ben dentro. Sono loro, quelli che con te si lamentano ma poi davanti ai capi abbassano la testa e dicono sempre di sì, a mantenere il posto di lavoro mentre gli altri vengono buttati fuori - almeno finché la multinazionale non decide di chiudere e trasferire la produzione altrove, s'intende; e sono cose che capitano, ma lamentarsene a cose fatte è un po' ipocrita, a meno di non avere vent'anni ed essere appena entrati in questa gabbia di matti che è il mondo del lavoro.


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