Difterite: la prima volta che ne ho
sentito parlare è stata con mia mamma, che negli anni '30 scampò
alla difterite. Doveva essere tra il 1936 e il 1939, perché andava
già a scuola; rimasero uccisi bambini e bambine che andavano a
scuola con lei, o vicini di casa. Anche mia zia, sua sorella
maggiore, prese quella malattia ma riuscì a superarla. La difterite
è una malattia terribile, ti impedisce di respirare, come uno
strangolamento; l'unico rimedio era la tracheotomia, ma bisognava
muoversi velocemente. Della difterite non si ricorda più nessuno, è
una malattia completamente scomparsa; tutti i nati dopo gli anni '40
sono stati vaccinati contro la difterite, già quando io ero bambino,
all'inizio degli anni '60, non se ne parlava più e anche il nome era
stato dimenticato. Ho ripensato alla difterite, e al racconto di mia
mamma, leggendo su Repubblica del 9 aprile scorso questo titolo che
mi ha fatto venire l'angoscia:
- “Altro che privacy! Le app per
controllare la diffusione del virus?
Dovrebbero essere gestite da istituzioni pubbliche e diventare
obbligatorie come i vaccini”. Lo dice Shoshana Zuboff sociologa
di Harvard, autrice di "Il capitalismo della sorveglianza",
libro pubblicato l'anno scorso e che mette in guardia dall'invadenza
delle moderne tecnologie. In estrema sintesi, si tratta una "app"
da mettere sullo smartphone che certifichi la nostra sanità fisica;
in Cina è già in uso, segnala dove sei e chi hai avvicinato, in
ogni istante. Premesso che io non ho nemmeno lo smartphone, mi sembra
un'idea terrificante.
Le epidemie passano, per una volta mi sento di
essere ottimista: tra un anno avremo il vaccino anche contro il
Covid-19, già oggi sono state trovate cure che funzionano, e le
notizie in merito si trovano su tutti i quotidiani e i tg, con sempre
maggiore frequenza. Nel 2021 saremo tutti vaccinati, e molto
probabilmente nel 2022 anche il Covid-19 sarà un ricordo; dovremo
affrontare altre emergenze, perché stare al mondo non è uno
scherzo, ma non è detto che siano necessariamente emergenze
sanitarie. E, anche se arrivasse un'altra malattia, non è detto che
abbia le stesse modalità di trasmissione: il "morbo del
legionario", per esempio, si diffuse attraverso tubature
infette, l'Aids attraverso il sangue, e la meningite colpisce a
tradimento quando meno te lo aspetti e senza che si sappia da dove è
arrivata e perché.
Tra le emergenze da affrontare, una volta
sconfitto il Covid-19, c'è certamente quella della sanità mentale:
mascherine, guanti, distanziamento sociale e tutte le altre cose che
vediamo oggi sono situazioni dovute all'emergenza, ma spero che
svaniscano presto così come sono arrivate una volta finita
l'emergenza. Se uno si rompe una gamba, per esempio, non è che poi
porta il gesso per tutta la vita: lo si porta per il tempo
necessario. Il tempo necessario, per guanti e mascherine, può anche
essere di diversi mesi; ma poi basta, per piacere, altrimenti si cade
in un altro tipo di malattia, ben conosciuta e ben descritta anche
nelle facoltà di Medicina. Le cronache degli ultimi anni riportavano
casi di donne che avevano l'abitudine di lavare i figli con l'alcool
(con conseguente ricovero al pronto soccorso del disgraziato
bambino), e i guanti se portati troppo spesso portano a dermatite.
Insomma, bisogna saper distinguere tra quando c'è una emergenza e
quando dobbiamo vivere la nostra vita; spero che quando sarà finita
questa storia si inizi una campagna di pubblicità progresso che
spinga la gente a baciarsi, abbracciarsi, stare vicini, stringersi le
mani. Questa è la vita, una volta terminata la malattia dovrà
essere così, altrimenti che senso ha stare al mondo? Non credo che
andrà tutto bene, non lo credo affatto. Il virus verrà sconfitto,
ma queste deviazioni dalla normalità resteranno.
Chiudo con un piccolo ricordo
personale: nei miei primi due anni di scuola, 1964 e 1965, mi è
toccato un maestro che aveva di queste fisime "igieniche".
Per lui, tutto il mondo era sporco: se cadeva per terra una penna, la
faceva rompere calpestandola e chiamava il bidello per portare via
quell'orrore (è successo a me), se cadeva un quaderno lo si faceva
lavare con acqua e sapone (il quaderno aveva dentro i compiti, non si
poteva buttar via), e altre amenità del genere. I genitori
protestarono, per fortuna lui era spesso assente e il programma
didattico fu portato avanti da supplenti senza tare mentali, ed è il
motivo per cui (ne sono ben felice) nelle foto ricordo che si
facevano a scuola lui non c'è. Il suo nome non era Fuscetto, come ho
scritto nel titolo, ma molto simile; ho conservato la rima ma ho
cambiato una vocale (più improbabile vi sembrerà il nome, più ci sarete vicini). Magari qualcuno se lo ricorda
ancora, io purtroppo sì, anche perchè tirava schiaffi agli alunni e
si vociferava su certe sue attenzioni sulle bambine. Il fantasma del
maestro Fuscetto, dopo così tanti anni, è tornato a visitarmi:
auguro a tutti voi che sparisca presto dalle nostre vite, insieme ai
guanti, alle mascherine, e alle app di controllo sul telefonino.
AGGIORNAMENTO al 18 aprile 2020: entro in un negozio e trovo un cartello, "lavarsi le mani se non si indossano i guanti". Come se indossando i guanti non ci si potesse mettere le dita nel naso, o chissà in quale altro posto. I guanti, nuovi, andrebbero indossati quando si entra nel negozio, o in farmacia (eccetera), altrimenti che senso ha? Eseguo, prendo la bottiglietta dell'igienizzante (quanti l'avranno toccata prima di me?) e non faccio polemiche, ma almeno qui posso scriverlo: hanno creato un mondo di alienati, ci sarà un gran lavoro per gli psichiatri negli anni a venire.
AGGIORNAMENTO al 29 aprile 2020: finalmente, in tv, qualcuno comincia a far presente che anche i guanti si sporcano, esattamente come le mani. Faccio appena in tempo ad esserne contento, quando ecco (ore 17 circa, su Raitre) che un ineffabile dimostratore spiega come bisogna fare: se entrate al supermercato dovete mettere i guanti (e fin qui, ci può stare) ma poi se volete prendere frutta e verdura oppure il pane dovete indossare degli altri guanti sopra i guanti che avete appena indossato. Non è finita: i guanti vanno smaltiti dentro un sacchetto di plastica, che a sua volta va messo in un altro sacchetto di plastica. Mi immagino che poi si aggiunga di mettere il tutto dentro una serie di sarcofagi di piombo e di seppellire il tutto in un apposito sito di stoccaggio situato sul pianeta numero otto della costellazione di Alfa Centauri. Battute a parte, si potrebbe far notare che fino a pochi anni fa nei supermercati c'era del personale che ci serviva come in salumeria, si indicava cosa si voleva e la persona addetta riempiva sacchetti e contenitori, idem per il pane: queste persone sono state licenziate, sarebbe bello se il lavoro lo facessero loro, in questa emergenza, e non il cliente. Una volta detto che il mondo non è così sporco, e che con le mascherine addosso non si sporca, e che basterebbe disinfettare le mani evitando così di riempire il mondo di plastica su plastica e di lattice su lattice, mi è bastata un'occhiata in giro per vedere, in strada, i guanti monouso buttati dove capita, accanto alle cacche di cane. Prima c'erano per strada cicche di sigaretta e cacche di cani, oggi abbiamo cicche di sigaretta, cacche di cane, e guanti monouso. Così va.
AGGIORNAMENTO al 15 maggio 2020: cominciano a vedersi, sempre più frequenti, articoli e interviste che parlano in toni allarmati dello smaltimento di guanti monouso e mascherine. E' quasi tutta plastica (i guanti dei supermercati, per esempio), lattice, fibre sintetiche (quindi ancora plastica). La situazione rischia di divenire allarmante, non solo in terra ma anche nell'acqua, nei fiumi, nei mari, nei laghi, e presto anche nelle falde acquifere dove prendiamo l'acqua potabile. Ci sarebbe una soluzione da applicare subito: servono davvero i guanti monouso? Servono sicuramente nelle corsie d'ospedale, ma per il resto ho molti dubbi. Il più delle volte, per esempio entrando in un negozio o in farmacia, basterebbe una goccia di gel disinfettante.