Il mio paese è bello quando c’è la nebbia. La nebbia sfuma tutto; le cose perdono i loro contorni, tutto diventa surreale, fantastico. Il mio paese è bello quando c’è la nebbia. Perchè si vede di meno.
Il mio paese è bello quando nevica. Esci alla mattina presto, è appena nevicato: una bianca e soffice coltre di neve copre tutte le buche nell’asfalto sconnesso delle strade, e tutta la sporcizia dei campi abbandonati. Il mondo sembra miracolosamente rimesso in ordine da una mamma premurosa, forse da una fata.
Il mio paese è bello quando nevica. Peccato che poi sgeli, e la neve diventi fango.
Il mio paese è bello quando è festa. Ti alzi alla mattina, con le strade deserte; il paesaggio pare lunare, con le strade coperte di neve e un leggero velo di nebbia, nessuno in giro e silenzio ovattato. Una scenografia da fiaba. La gente tarda ad uscire perchè fa freddo ed è festa: il mio paese è più bello quando è festa. Peccato che poi la gente esca per strada, e rovini tutto.
- Ho perso il treno d’un soffio; il prossimo è fra tre quarti d’ora; le terrò un po’ di compagnia. Che giornata, eh? Ha visto che nevicata? Era tanto che non se ne vedeva così.
- Va be’, dieci centimetri.
- E’ tutto così bianco, così bello, non trova? Mi fa tornare alla mente quand’ero bambino, non ho più visto tanta neve d’inverno, qui da noi. Salvo che in montagna, s’intende. Ma quella ce la andiamo a cercare, e allora... A lei piace la neve?
- Non particolarmente, però...
- Eh sì, a tutti piace la neve. Si rimane tutti un po’ bambini, scommetto che anche a lei piacerebbe andare ancora a fare quattro tiri con le palle di neve, o a costruire un pupazzo... pensi che una volta, coi miei fratelli, ne abbiamo costruito uno alto tre metri, arrivava al piano di sopra. Poi gli abbiamo messo in testa il cappello del nonno, che era quasi come questo che ho in testa io adesso. Ma lei sta lavorando, la disturbo?
- No, si figuri.
Sono qui prigioniero di un rompiballe e nessuno che mi aiuta!
- C’è anche tanta gente fra noi che non ci piace la neve, che strano.
- Ognuno ha la sua testa.
- Eh, ben detto: ognuno ha la sua testa. Ognuno ragiona a modo suo, il che è un pregio e un difetto. Certo, lei è fortunato, fa un lavoro che le consente di stare in mezzo alla gente, di parlare... chissà quanta gente strana che vede, eh?
- Il mondo è bello perchè è vario.
- Ecco, ma io direi qualcosa di più. Il mondo... ecco, il mondo: il mondo si divide in un numero pressoché infinito di categorie, ognuna delle quali ha una sola persona come rappresentante.
- Bella definizione...
- Vero? Avrei dovuto fare lo scrittore, me lo dicevano sempre quand’ero ragazzo. Scrivevo bene, sa? e scrivo ancora: scrivo poesie.
Ahi, lo sapevo che finiva così.
- Scrivo ancora delle poesie: ne vuole sentire qualcuna? Ecco, questa, per esempio: ne ho giusto alcune qui con me. Me le ricordo a memoria, ma sa, qualche volta qualcosa sfugge e si perde tutto il senso. Con la poesia è così.
- Sante parole.
- Poesia. Come si fa a resistere alle lacrime? Sono radioattive ormai, come il cuore dopo Chernobyl: si piange, e chi piange nell’attesa non può vincere il pianto. L’intrattabile è morto: radiazioni illacrimate lo spensero nel diluvio della pioggia. Oppure questa, sempre sull’ecologia, in stile più moderno: All’attuale tasso demografico, fra un secolo, in Europa, di bianco rimarrà solo la biancheria. La vita svanisce nell’attesa che i padrini pubblicitari combinino per voi dei duelli con lo sporco impossibile, che rinvia sempre la sfida. Il finto sporco di cui vi sbarazzate ripasserà per le vostre viscere arricchendo la collezione dell’oncologo di nuove rarità neoplastiche.
Ma non viene nessuno? E’ colpa mia. Sono uscito di casa troppo presto. E’ festa, potevo dormire ancora un po’, e invece no: mi sono voluto alzare lo stesso.
- Piaciuta? Belle, vero? Questa è la mia preferita: in stile un po’ ardito, è vero. Però, senta: parla dell’informatica, è attualissima, e lo stile è adeguato. Mi deve dire cosa ne pensa, ci tengo. Ahem: Tutto rùmini di tutti, e cosa ancora sputti e inputti per digitati tasti ai tremolii d’un nulla di tivù, tu che di schermi ai verdi zufolii iberni fasti e guasti, placido al nostro non poterne più? Sì, - della tua diabolica Péste Regina Elettronica! Fatuo monatto, - e davvero volevasi dimostrare che meglio sta chi sa più presto, e va beato chi è più lesto? Che più del computato è il computare essenza del reale? Ahi riposo del pensiero, ahi velocissima tua mente, e mondo senza mistero! E dunque, che ne pensa?
- Non ho parole.
-Questa qui invece è dedicata ad una donna di cui ero un po’ innamorato: si chiamava Rosa.
Me lo vedo: lui le scrive dei versi, lei gli fa dei versi.
- Guardi che sta arrivando il suo treno.
- Oh, di già? Come vola il tempo! Vado subito, sarà per un’altra volta.
Salvato in extremis.
- Allora, arrivederci!
- ( Mah! insomma... )
Quanta neve che è scesa. Mi converrà di andare a prendere la pala. Wie die Zeit vergeht...
Poesie di Dario Bellezza (Lacrima amoris), Valentino Zeichen ( Apocalisse per acqua), Giovanni Giudici ( A un computer). Pubblicate su L’Espresso del 25 ottobre 1987, articolo intitolato L’Ecopoesia, scritto da Mario Fortunato.