Dal punto di vista chimico, i saponi sono una cosa diversa dagli altri detersivi. Per spiegare la differenza tra i vari tipi di detergenti è però necessario fare un po’ di storia, sperando di non essere troppo noiosi. Il sapone vero e proprio esiste da moltissimo tempo, pare addirittura che se ne siano trovate tracce risalenti all’antica Mesopotamia; però la sua diffusione è stata molto limitata fino agli inizi dell’800, quando cominciò la produzione industriale. L’impulso definitivo alla diffusione capillare del sapone arriva nel 1861, quando il belga
Ernest Solvay brevetta il suo sistema per la produzione del carbonato di sodio, l’ormai proverbiale “soda solvay”.
Come ci si lavava, prima? Alla domanda hanno già risposto molto bene autori importanti come Giorgio Cosmacini e Carlo Maria Cipolla, sono due medici e due scrittori molto piacevoli e i loro libri sono di quelli da non perdere; ci sono poi i libri di Legoff e della sua scuola, altrettanto belli. Di conseguenza non mi inoltro più di tanto nei dettagli: si sa per esempio che gli antichi greci e romani usavano l’olio di oliva per detergersi, raschiando poi via lo sporco insieme all’olio; il più delle volte ci si lavava solo con acqua, e va ricordato che l’acqua corrente calda e fredda nelle case esiste da poco più di un secolo. Di conseguenza, era molto frequente (in chi poteva permetterselo) l’uso dei profumi: insomma, prima della Rivoluzione Francese ci si lavava poco, molto meno di oggi. Nei libri degli autori di quel periodo (per esempio le Memorie di Casanova, o i resoconti dalle corti dei re di Francia) esistono particolari che oggi definiremmo raccapriccianti, e che invece erano normali anche presso le persone ricche e importanti. Forse siamo noi che siamo diventati troppo raffinati, chissà.
Per lavare i panni invece si usava la
lisciva, detta anche ranno o liscivia: si produce con la cenere di legna, mischiata ad acqua. Un sistema antichissimo che visto da oggi può sembrare strano, ma dal punto di vista del chimico è più che comprensibile, direi elementare: l’abc della chimica, una delle prime reazioni che si studiano. Quando si brucia la legna, se è ben secca e se la si brucia bene fino in fondo, quello che rimane è il residuo del Potassio e del Sodio, sotto forma di ossidi; la cellulosa (fatta di Carbonio, Idrogeno, Ossigeno) è volata via col fumo, trasformandosi in anidride carbonica e vapore acqueo. Abbiamo dunque la nostra cenere, composta da ossidi di sodio e di potassio: aggiungendovi acqua si producono i rispettivi idrossidi, più conosciuti come Soda caustica e Potassa caustica. Si può anche aggiungere che il carbonato di sodio (la soda solvay) si trova anche in natura, gli antichi egizi lo prendevano da una cava situata in una località detta Natron, e ancora oggi il nome scientifico del Sodio è Natrium, simbolo chimico Na.
Il
sapone si produce facendo bollire oli e grassi (sia vegetali che animali) con uno di questi idrossidi; il risultato finale varia a seconda delle materie prime usate e della perizia di chi produce il sapone, ma la reazione è una sola e caratteristica, e nelle analisi chimiche degli oli e dei grassi, e in tutti i loro processi industriali, è molto importante un dato che si chiama proprio Numero di Saponificazione.
L’industria della soda è stata una delle primissime industrie moderne, forse la prima fabbrica moderna in assoluto: ha inizio nel 1792, poco dopo la Rivoluzione Francese, con il metodo ancora rudimentale approntato dal chimico Nicolas Leblanc. Va ricordato che è di quegli anni la pubblicazione dell’Enciclopédie di Diderot e D’Alembert, che contribuì molto a diffondere conoscenze prima riservate a pochi. Già a partire da quella data la produzione del sapone diventa più facile, e il successivo brevetto di Ernest Solvay, nel 1861, è il passo decisivo verso l’odierna industria cosmetica e della detergenza.
Le materie prime erano di varia provenienza, dalle ossa (il midollo contiene grassi) fino all’olio e al grasso di balena descritti in
Moby Dick; oggi sono i saponi sono quasi tutti di origine vegetale, soprattutto palma e cocco. Il sapone di Marsiglia, quello vero, è fatto con gli scarti della lavorazione delle olive: l’ho usato sul lavoro, nell’industria della seta, ed è un sapone meraviglioso che lascia la pelle morbidissima, ma ha un forte odore vegetale, che rimane addosso e che a molti non piace. Una delle materie prime più importanti per il sapone era il sego, cioè la parte solida del grasso animale; con il sego si facevano anche le candele. Ancora oggi molte saponette recano in commercio recano l’indicazione “
tallow oil”, olio di sego; resta da vedere se davvero si tratta di sego, ma è probabile. Comunque sia, la composizione chimica del sego è riproducibile anche per sintesi, e con altre materie prime.
Come si sarà capito, le materie prime usate per produrre il sapone sono in gran parte commestibili; si usavano ovviamente materiali di scarto, ossa e pelli, oli non particolarmente appetibili, eccetera. Ma viene il dubbio che un antico insulto,
“mangiasapone”, faccia riferimento non solo al fatto di non lavarsi mai, ma che ci sia stato qualcuno che abbia davvero mangiato il sapone; ovviamente con mal di pancia inevitabile, per non dir di peggio. Insomma, è possibile che sia successo veramente; la stessa cosa capitava con le candele, e va ricordato che si parla di tempi di carestia, a metà ‘800 era molto diffusa anche qui da noi la denutrizione, la pellagra, e se si è in queste condizioni non si va molto per il sottile.
Tornando alla cenere, mi ha stupito molto vedere che ci sono detersivi che nella pubblicità e nell’etichetta si vantano di avere cenere, parti di minerali, saponaria, eccetera (la saponaria è una pianta); se fosse vero si tratterebbe di un non senso, una pura trovata pubblicitaria. I nostri nonni e bisnonni usavano la cenere e l’erba saponaria perché non c’era di meglio in giro, questa è l’unica cosa da dire: i prodotti oggi in commercio sono molto meglio della cenere e dei sassi tritati...
Un esempio famoso fra gli addetti ai lavori sono i granelli colorati di un importante detersivo degli anni 60. La pubblicità insisteva molto su questi granelli, colorati in blu: aprendo la scatola si vedeva infatti il detersivo bianco, e in mezzo al bianco tanti granellini blu. La realtà era che i granellini blu erano assolutamente identici a quelli bianchi: non era una truffa, ma una semplice trovata pubblicitaria. Il detersivo era ottimo, la novità stava nell’introduzione degli enzimi, che permettevano di lavare a basse temperature, già durante l’ammollo. Siccome gli enzimi c’erano ma non si vedevano, qualche pubblicitario aveva avuto la trovata di inventarsi i granellini blu. D’altronde, il mestiere del pubblicitario è quello che è.
Chimicamente, oli e grassi sono classificati fra gli acidi: degli acidi grassi ho parlato
qui, al grasso di balena e a Moby Dick di Herman Melville ho dedicato alcune puntate
qui, sempre in chiave chimica.
Sempre dagli acidi grassi si è partiti, dagli anni ’50 in su, a produrre e mettere in commercio altri tipi di detergenti: le parole chiave sono
etossilazione e
solfatazione, reazioni chimiche completamente diverse da quella che porta ai saponi. Parlarne qui sarebbe molto difficile, servirebbe un vero e proprio corso di chimica; sono comunque la gran parte dei “saponi” in commercio, per esempio tutto lo shampoo è fatto di etossilati e solfatati, e molte saponette e saponi sono a base di laurilsolfato, alchilbenzensolfonato e simili, in diverse proporzioni. La ragione principale è questa: con gli etossilati (lauriletere solfato e simili) è veramente possibile arrivare a un pH neutro, e anche leggermente acido. Il sapone vero, invece, a pH neutro perde la sua consistenza, diventa molliccio e fa perfino un po’ senso a toccarlo; le saponette “neutre” in commercio se fatte col vero sapone non sono in realtà chimicamente neutre, ma vengono portate a un pH sempre alcalino, ma che non reca problemi alla pelle. Il vero problema del sapone è infatti il
pH: se facendo bollire i grassi con la soda si mettono le quantità sbagliate, può rimanere della soda in eccesso, che va neutralizzata. Per quanto mi riguarda, sconsiglio di produrre il sapone in casa: bisogna essere molto esperti e ben attrezzati, c’è rischio di farsi male. Olio bollente e soda caustica possono schizzarvi addosso, fanno male entrambi; e il sapone industriale costa poco.
Un discorso a parte spetta anche ai disinfettanti; mi piacerebbe parlarne ma qui si entra fino al collo nelle formule chimiche, non si può proprio farne a meno. Per oggi basterà dire che nelle nostre case non è affatto necessario disinfettare e sterilizzare, a meno che non ci sia in corso un’epidemia di colera: basta pulire, tener pulito.
Per finire, due curiosità cinematografiche: nel girare “Dead poets society” (L’attimo fuggente, 1989, più volte passato in tv) il regista Peter Weir raccomandò ai ragazzi protagonisti di non lavarsi i capelli con lo shampoo, ma con il sapone. Il film si svolge negli anni ’50, lo shampoo non era ancora in commercio; la differenza si vede, lavandosi col sapone i capelli non rimangono vaporosi. Questa notizia l’ho dovuta leggere, ammetto che non ci avrei mai fatto caso; mi sono invece accorto subito, mettendomi a ridere da solo al cinema (e cercando di non far rumore) che all’inizio di “Il signore degli anelli”, nel villaggio degli hobbit, la schiuma del calderone dove si lavano i panni non è sapone ma è soffice e vaporosa schiuma di detersivo, lauriletere solfato. Gli hobbit conoscevano già l’etossilazione? Devo dire che non me l’aspettavo, ma non avendo letto Tolkien non riuscirò mai a sapere se nell’originale questa possibilità è prevista.