sabato 17 ottobre 2009

Il Nobel alla Padania

La luna l'è ona lampadina
tacàda in sul plafùn
e i stell pàren limon
traa giò in de l'acqua...

La luna è una lampadina
attaccata sul soffitto,
e le stelle sembrano limoni
gettati nell'acqua...

Il dialetto milanese ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, una decina d’anni fa: sembra incredibile ma è vero, verissimo. Gli Svedesi (il Premio Nobel lo danno a Stoccolma) conoscono, leggono, traducono e apprezzano il dialetto milanese, e sanno perfino che esiste la pianura padana con i suoi infiniti dialetti, ognuno diverso da un paese all’altro ma tra loro uniti da qualche cosa che fa sì che la gente si capisca lo stesso: è quello che ci sta raccontando l’ultimo Nobel italiano dopo Pirandello, Ungaretti, Montale: Dario Fo.
La “lingua padana” è al centro del lavoro più famoso di Dario Fo, “Mistero buffo”; e “Johann Padan a la descoverta delle Americhe” è uno dei suoi più recenti lavori per il teatro, tradotto anche in un film a cartoni animati. Ma provate a fare il nome di Dario Fo ai rappresentanti della Lega Nord (Nord Italia, s’intende), e vedrete quante smorfie fanno: non gli piace proprio e non ne vogliono nemmeno sentir parlare. E questa è una cosa davvero curiosa.
L’Italia nasce attorno a Dante e a Petrarca; è un fatto noto e non varrebbe quasi la pena di tornarci sopra, visto che lo sanno anche i tredicenni. Il veneziano e il napoletano sono dialetti notissimi anche (soprattutto) per via di Carlo Goldoni e di Eduardo de Filippo, per tacer degli altri (che so: Carlo Gozzi, Salvatore Di Giacomo...). Ne consegue che un movimento che si autodefinisce “padano” dovrebbe andare orgoglioso dei suoi autori, soprattutto se vincono il più grande premio letterario al mondo, ma così non è. Anzi, è vero il contrario: il più grande autore padano vivente è disprezzato e guardato con fastidio, il che dà da pensare.
I versi qui sopra non sono di una poesia, ma di una canzone resa famosa da Enzo Jannacci negli anni ’60, e scritta a quattro mani dallo stesso Jannacci con Dario Fo: ed è un piccolo pezzo di teatro, un bozzetto dal vero molto divertente. Il tema è uno dei classici della letteratura e delle canzoni di tutti i tempi: l’innamorato al balcone dell’amata. Un innamorato respinto, in questo caso.
E’ lo stesso tema che trattò anche il cremonese Claudio Monteverdi, su testo del veneziano Giovanni Busenello, anno 1643: si vede che a noi padani è un tema che sta molto a cuore.
E pure io torno qui, qual linea al centro,
qual foco a sfera, e qual ruscello al mare,
e se ben luce alcuna non appare
ah, so ben io che sta il mio sol qui dentro.
Caro tetto amoroso,
albergo di mia vita e del mio bene,
il passo e 'l cor ad inchinarti viene.
Apri, apri un balcon, Poppea,
col bel viso in cui son le sorti mie,
previeni, anima mia, precorri il die.
Sorgi, e disgombra homai
da questo ciel caligini e tenebre
con il beato aprir di tue palpebre.
Sogni, portate a volo
su l'ali vostre in dolce fantasia
questi sospir alla diletta mia....
(aria di Ottone da "L'incoronazione di Poppea”, versi di Giovanni Francesco Busenello, musica di Claudio Monteverdi, anno 1643 )

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