venerdì 27 gennaio 2012

L'allenatore dell'Inter, e altre storie

Molti non lo sanno, ma il grande calcio moderno ha origini ungheresi: “danubiane”, come diceva Gianni Brera. Il gioco a zona, il pressing, queste cose qui, arrivano all’inizio degli anni ’70 con i grandi successi dell’Ajax di Amsterdam, che aveva per allenatore proprio un ungherese: Lajos Kovacs. L’Ungheria ha una grandissima tradizione calcistica, e se non se ne trovano tracce negli albi d’oro del football è per una questione che con il calcio ha poco a che vedere: l’invasione sovietica dell’Ungheria, avvenuta nel 1956. Il 1956 è proprio l’anno in cui ha inizio l’albo d’oro dell’odierna Champions League: ma i grandi tecnici e calciatori ungheresi, come Kovacs e Puskas, andarono a giocare all’estero, e la grande tradizione danubiana potè continuare solo fuori dalla patria d’origine. Tutto questo ha un precedente illustre nella persona di un allenatore ungherese che vinse in Italia tre scudetti: uno con l’Inter nel 1929-30 e poi due con il Bologna; e porterà il Bologna anche a grandi successi europei, purtroppo oggi dimenticati.
Questo signore, autore anche di un manuale sul gioco del calcio che è stato per decenni una lettura obbligata per gli allenatori e per i giornalisti sportivi, si chiamava Arpad Weisz, e dovette lasciare l’Italia nel 1938. Il motivo è facilmente immaginabile, e non ha bisogno di spiegazioni anche la data della sua morte, gennaio 1944, e anche il luogo dove avvenne: Auschwitz. La storia personale di Arpad Weisz, e della sua famiglia (la moglie Elena, i figli Roberto e Clara di 12 e 8 anni) è di quelle che spiegano la Storia (con la S maiuscola) molto più di tante altre parole: ed è qualcosa che non si può negare.

Un’altra storia è quella del direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, uno dei più grandi del Novecento, un’autentica leggenda per gli appassionati della grande musica tedesca. Furtwängler, figlio di un grande archeologo e uomo di grande cultura, fu uno dei pochi a rimanere in Germania anche nel periodo nazista: ci sono diversi filmati e fotografie che lo ritraggono mentre dirige i Berliner Philharmoniker davanti a tutto lo staff nazista, Hitler, Göring, Göbbels. Dopo la guerra, Furtwängler fu indagato: risultò (ed era ovvio) che non aveva fatto nulla di male, e a parte la beata ingenuità e ignoranza di molti artisti e musicisti che non riescono a vedere a cosa succede a un palmo dal loro naso, non c’era nient’altro da rimproverargli. A salvare definitivamente Furtwängler, e a fargli riavere la direzione dei suo amatissimi Filarmonici di Berlino (la più importante orchestra del mondo), che poi terrà fino alla sua morte nel 1954, furono le lettere che spedì alle alte gerarchie naziste in difesa dei suoi orchestrali. Molti, moltissimi, erano ebrei: ma prima che essere ebrei erano grandi violinisti, violoncellisti, musicisti impareggiabili... “Saranno anche ebrei – scriveva Furtwängler – ma se mi portate via i migliori, poi io come faccio a far suonare bene i Berliner?”. E, nella sua beata ingenuità, si diede da fare per salvare il posto non tanto all’ebreo in sè, quanto al musicista che non era pensabile rimpiazzare in modo adeguato. E, detto per inciso, questa ostinazione nel mandar via i migliori – anche gli scienziati, e non solo gli artisti – fu la principale causa della sconfitta nazista.

Di fronte al negazionismo io non so cosa dire, mi sembra stupidità pura. Anche discutere sul numero dei morti, che siano un milione o due o tre o cinque milioni, anche se fosse un morto solo (il vostro vicino di casa che sequestra e ammazza una persona e poi la brucia nel forno di casa: vi pare normale?), la follia non cambia. Non so cosa dire anche perché a me è bastato aver visto una foto su un giornale, una foto sola, da bambino, per capire cos’era successo: che cos’erano mai quei corpi, era qualcosa di spaventoso, si vedeva bene che era una cosa vera... Pensavo che fosse così per tutti, e che bastasse poco per rendersi conto di quell’orrore, e invece mi sono presto reso conto che non era così. Anzi, addirittura mi è toccato sentire i paragoni con le foibe, dette con l’aria e con il tono di voce di chi sottintende: adesso siamo pari. Invece no, un morto di qua e un morto di là non si annullano, fanno due morti. Un milione di morti di qua e cento morti di là non fanno zero morti, fanno un orrore senza fine; ed è responsabilità grave di molti governi, in Italia e in Europa, aver lasciato crescere questo orrore, aver concesso sedi e finanziamenti a questi movimenti. Continuare a concedere loro spazio e sostegno è qualcosa che finiremo per pagare tutti, e che anzi abbiamo già cominciato a pagare, come insegna il caso Breivik, quest’estate, in Norvegia; e come insegna il caso dei morti di Firenze, poche settimane fa, sempre ad opera di qualche esaltato da quest’ideologia negazionista. Ma “gli ebrei” sono questa cosa qui, i violinisti di Furtwängler, o magari l’allenatore dell’Inter: che cosa pensavate che fossero?
PS: un libro recente su Weisz è “Dallo scudetto ad Auschwitz” di Matteo Marani, editore Aliberti; su Wilhelm Furtwaengler (uno dei grandissimi del Novecento) la bibliografia è immensa, e numerosissimi sono i suoi dischi.

4 commenti:

Tarkus ha detto...

Che bella storia... non la conoscevo.

Giuliano ha detto...

ne ha parlato molto Gianni Mura su Repubblica, che sta provando a convincere Bologna e Inter a fare un torneo nel nome di Arpad Weisz. Ma ci sono altre storie simili, c'è in giro anche un bel libro sull'Ajax di Amsterdam (Weisz venne dapprima imprigionato dai nazisti in Olanda, nello stesso campo di Anna Frank e probabilmente anche di Etty Hillesum)

stefano ha detto...

Storie meravigliose e anche da brividi, anche se, non certo per vantarmi, già conoscevo. Però, con tutto l'affetto e l'immutata stima, una tiratina d''orecchie: Kovacs arrivò nel 1971, quando l'Ajax dell'olandesissimo R.Michels aveva già una Coppacampioni in bacheca. E l'anno prima aveva fatto centro - per la cronaca: a San Siro - il Feijnoord del'austriaco Happel

Giuliano ha detto...

ciao Stefano, grazie per la precisazione, vedo di correggere.
in realtà non sono un esperto di calcio...qui sono andato a memoria e ho fatto male, perché nel 1971 il calcio lo seguivo pochino.
Quella che più mi interessa è la storia di Furtwaengler: come è possibile che una persona di grande cultura possa essere nello stesso tempo così stupido? Se alcuni dei tuoi migliori collaboratori sono ebrei, qualche dubbio dovrà pur arrivare alla tua coscienza, ammesso di averne una.