A casa mia le cassette della posta sono dietro il portoncino d’ingresso, all’interno: per metterci dentro qualcosa bisogna suonare e farsi aprire. Siccome nel condominio c’è sempre qualcuno che apre, se mi suonano e io rispondo “no grazie” al citofono, poi quando scendo trovo sempre la cassetta della posta strapiena di carta inutile che butto via senza neanche guardarla. Non è un gran problema, e non ne avrei parlato qui se non fosse una perfetta metafora di quello che succede in questi anni. Non sono uno di quelli che vanno dietro alle mode, di alcune novità sono entusiasta, di altre penso “bello ma non mi serve”, e su tante altre cose nuove il mio giudizio è “no grazie”. Ora, la prima risposta è purtroppo diventata quella obbligatoria, in ogni caso. La seconda risposta (“bello ma non mi serve”) è guardata malissimo, la terza risposta (“no grazie”) è praticamente impossibile. Io dico “no grazie” e mi trovo nel piatto, o nella posta, o nelle mani, queste cose che non mi piacciono e non mi interessano; e io non sono una persona difficile, mi faccio andar bene tutto, se appena posso cedo volentieri il passo.
Rimanendo nel piccolo, per evitare discorsi troppo ampi e troppo personali, provo a sintetizzare qui sotto il mio pensiero, fermandomi soltanto a internet e alle comunicazioni.
Negli anni ’80 avevo un Vic16, vent’anni fa comperavo il primo pc, una quindicina di anni fa mi collegavo a internet (bisognava pagare, duecentomila lire oltre alle telefonate): tutto questo perché avevo scoperto che potevo informarmi, scrivere, avere notizie che non ero mai riuscito ad avere (apprezzo moltissimo wikipedia, e prima ancora i motori di ricerca in generale).
Dieci anni fa mi hanno coinvolto in un blog, ho pensato che si poteva fare e che avevo delle cose utili da dire, per dare il mio piccolo contributo all’accrescimento delle informazioni scritte in modo semplice (i miei post sulla chimica, per esempio). Ma, quando chiedevo: “Hai una mail a cui posso scriverti?”, tutti mi rispondevano “Ah no, io con il computer...”.
Oggi invece sono tutti su facebook, qualcuno anche su twitter. Tutti usano l’ipad (prima, il pc portatile: che oggi è clamorosamente fuori moda), tutti hanno skype, tutti hanno questo e quello. Ma a me non serve, parlo poco, per comunicare con il mio prossimo mi bastava il telefono a gettoni: invece mi avete obbligato a comperare il telefonino, e adesso mi state obbligando a questo e a quello. Io non uso l’automobile, un pieno mi dura sei mesi: e invece mi avete obbligato ad avere superstrade e autostrade e parcheggi invece dei posti dove andavo a piedi o in bicicletta. Devo continuare? No, mi fermo qui: ho perso il conto di quante volte ho detto “no grazie” e voi siete andati avanti lo stesso, magari anche con lo schiacciasassi.
Che altro dire? Tempi duri per il povero Bartleby...
(...) In tale esatta posizione sedevo, quando lo chiamai, spiegando in fretta cosa desiderassi da lui, ovvero, che esaminasse con me un breve documento. Immaginate la mia sorpresa, meglio, la mia costernazione, quando, senza muoversi dal suo privato, Bartleby con voce singolarmente mite, ma ferma, replicò: "Avrei preferenza di no." Rimasi per qualche istante seduto in perfetto silenzio, cercando di riavermi dallo sbigottimento che m'aveva preso. Lì per lì m'accadde di pensare che le mie orecchie non avessero udito bene, o che Bartleby avesse del tutto frainteso ciò ch'io intendevo dire. Ripetei la mia richiesta con voce più chiara che potei, ma, con tono altrettanto chiaro, mi giunse la medesima risposta dianzi udita: "Avrei preferenza di no."
"Preferenza di no?" gli feci eco, alzandomi in grande eccitazione, e attraversando la stanza d'un balzo. "Come sarebbe a dire? Cosa vi prende? Voglio che m'aiutiate ad esaminar codesto foglio, prendetelo," e glielo gettai. "Avrei preferenza di no," diss'egli.
Lo guardai impietrito. Il suo volto era smunto e composto, gli occhi grigi tranquilli e velati. Non un segno di turbamento lo animava. Vi fosse stata, nei suoi modi, la minima traccia d'inquietudine, collera, impazienza o impertinenza; in altre parole, vi fosse stato in lui alcun tratto d'ordinaria umanità, senza meno l'avrei cacciato di forza dai miei uffici. Ma, per come stavano le cose, non mi sarebbe parso altrimenti che cacciar dalla porta il mio pallido busto in gesso di Cicerone. Rimasi a scrutarlo per qualche attimo, mentre egli continuava a scrivere, indi tornai a sedermi al mio scrittoio.
Tutto ciò è molto strano, pensavo. Qual è la miglior cosa da fare? Ma avevo fretta di sbrigare il mio lavoro. Decisi di trascurare l'accaduto, per il momento, rinviando la sua considerazione ad un momento di tranquillità. Così, chiamato Nippers dall'altra stanza, lo scritto venne rapidamente controllato. Alcuni giorni dopo, Bartleby terminò la stesura di quattro prolissi documenti, il quadruplicato d'una settimana di testimonianze raccolte in mia presenza nell'Alta Corte di Cancelleria. Divenne necessario esaminarli. Si trattava di una causa importante, ed una grande accuratezza era indispensabile. Avendo tutto predisposto, chiamai dalla stanza attigua Turkey, Nippers e Ginger Nut, intendendo metter le quattro copie in mano ai miei quattro impiegati, mentre io avrei dovuto legger l'originale. Di conseguenza, Turkey, Nippers e Ginger Nut avevano preso posto in una fila di seggiole, con in mano ciascuno il proprio documento, quando chiamai Bartleby perché s'unisse a quest'interessante gruppo.
"Bartleby! Presto, sto aspettando."
Udii il lento stridere della sua sedia sul nudo pavimento, e presto egli apparve sostando all'ingresso del suo eremo.
"Cosa si comanda?" disse in tono mansueto.
"Le copie, le copie," diss'io in tutta fretta. "Dobbiamo esaminarle. Ecco..." e gli allungai il quarto dei quadruplicati.
"Avrei preferenza di no," diss'egli, e silenziosamente sparì dietro il paravento.
Per alcuni istanti fui trasformato in una statua di sale, in piedi alla testa della mia colonna di assisi impiegati. Riprendendomi, mi mossi verso il paravento, e gli chiesi ragione dell'inusitata condotta.
"Perché vi rifiutate?"
"Avrei preferenza di no."
Con chiunque altro sarei andato su tutte le furie; bandita ogni altra chiacchiera, l'avrei senza scrupoli cacciato via. Ma v'era qualcosa in Bartleby che, non soltanto stranamente mi disarmava, ma puranco, in modo assai sorprendente, mi toccava e sconcertava. (...)
(Herman Melville, Bartleby lo scrivano, ed. Feltrinelli, traduzione di Gianni Celati)
C’è una cosa in cui somiglio a Bartleby. No, non nell’aspetto fisico: io sono alto un metro e novanta e ho un fisico imponente (così mi dicono), e se mi facessi crescere la barba somiglierei piuttosto a Bud Spencer, o magari proprio a Herman Melville o a uno dei suoi balenieri. La cosa in cui assomiglio a Bartleby è questa: non mi piace essere obbligato a fare qualcosa, vorrei poter scegliere. E questo fa incazzare terribilmente tutti, prima o poi anche le persone meglio disposte finiscono con l’arrabbiarsi, e francamente non ho mai capito perché: Facebook non mi interessa, Twitter non mi interessa, prendere a ditate uno schermo mi fa un po' schifo, vorrei continuare ad avere un monitor bello grande e non uno piccolo e scomodo, e poi vorrei continuare a pagare in contanti e ad avere delle persone (e non delle macchine) davanti a me nei negozi e nelle banche e nelle biglietterie, mi dispiace ma non capisco: dov’è il problema?
Turno di notte - Carmen Giardina
8 ore fa
11 commenti:
«Tutta l'infelicità degli uomini deriva da una cosa sola: dal non sapersene stare tranquilli in una stanza.»
il problema l'aveva individuato Pascal in tempi non sospetti
dipende (come anche per le conseguenze che possono esserci o meno): un conto è rifiutare le imposizioni, un altro non volersi adeguare... non sempre abbiamo libero arbitrio, e penso che questo purtroppo ci deresponsabilizzi (nel senso di avere la scusante "sono obbligato a farlo", anche se ci si potrebbe opporre)!
il consumismo è una brutta malattia, difficile da riconoscere ai primi sintomi. Però non mi si venga a dire che "non si è obbligati": se chiudono e smantellano le cabine telefoniche e i telefoni a gettone-moneta, e io ho bisogno di telefonare, come faccio? Io del telefonino uso quasi soltanto gli sms, che sono molto pratici e non disturbano; ma sono sempre più spaventato dalla quantità di gente che sale sui treni, sui tram, sulle scale, in metropolitana, con le cuffie sulle orecchie o guardandosi il palmo della mano dove c'è uno schermino con su qualcosa...
Consiglierei di leggersi il capitolo secondo di Brave New World di Huxley, dopo un paio di pagine si arriva al punto giusto.
ma scusa, Giuliano: a te che t'importa se uno si guarda il palmo della mano? (sempre che ciò non comporti che ti venga addosso... se poi va a sbattere contro un palo .azzi suoi) ma intendevo dire che a volte si può anche protestare!
p.s.: non tutte le cabine, comunque, sono state smantellate - dove abito io è solo stata sostituita con un nuovo modello.
una cabina nuovo modello? come commenterebbe almeno una mia figlia: Figoo... A pensarci bene, ne ho vista una di sfuggita persino io. Ma non è che ciò garantisca proprio una libertà di scelta, neh?
I telefoni pubblici a moneta sono ormai scomparsi da tempo: se vuoi chiamare da un posto pubblico devi avere l'apposita scheda, quindi del tutto inutili. Il problema nasce quando ti rubano il telefonino, o quando ti cade e si rompe...allora bisogna andare in giro ad elemosinarne uno dai passanti. Possibile che non ci sia nessuno che ci pensa? (da parte mia, mi dispiace dirlo ma sono sempre più contento di non avere figli)
:)
oh, anche tu la finestrella dei commenti in stile biedermeier?
tuo suggerimento...così funziona, almeno fino alla prossima. Tra poco, dovrò cambiare computer e mettermi anch'io alla pari con le mode!
Pensa che uso un word del 1997: funziona a meraviglia, ne uso solo un decimo e ancora mi meraviglio di quante cose posso fare.
:-)
(come ha detto qualcuno: "il fatto che le cartolerie siano piene di pastelli e di colori non ha affatto moltiplicato il numero delle persone che sanno disegnare")
:)
p.s.
ho letto i tuoi ultimi post su Ruiz.
p.p.s.
qualche sera fa ho visto il suo "Klimt".
una gran fatica!
:-)
il film su Klimt è uno dei film "normali" di Ruiz...nel film c'è anche Méliès, gli ho dedicato molti post.
Una fatica di cui ti sono grata.:)
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