i.
La forma della vespa spetta in realtà all’antica Gilera, o alle moto di quel tipo lì, con testa, tronco e addome, e con il manubrio allungato a simulare le antenne, il faro rotondo per la bocca. E sotto, va da sè, ha due ruote e non le lunghe zampe pendenti della Eumenes; e niente ali, ed è pesante e rumorosa e non vola, e poi oltre al rumore la moto fa tanta puzza. A dire il vero, non ho mai capito perché lo scooter Vespa sia stato chiamato Vespa: somiglia più a una biga romana, o magari alla navicella col cigno del Lohengrin, però il cigno non c’è, ed è questo che trae in inganno. Vespe, le moto? Più che altro, dei calabroni: vespa crabro, vespa gigante, questa sì che bisogna starci attenti.
ii.
Serpina è il nome della protagonista della “Serva padrona” di Pergolesi, quella che finisce con lo sposare il suo ricco padrone, che ha per nome Uberto. Vespone è il nome del terzo protagonista, che però non canta e non parla, un altro servitore che osserva e commenta ma solo con i gesti. Una trama sempre di grande attualità, per chi non lo avesse ancora notato. Ascoltando la musica di Pergolesi, viene però da pensare che più che Serpina (che dà l’idea di qualcosa di velenoso) siamo davanti ad una Vespina molto indaffarata; e infatti io l’avevo memorizzata così, Vespina. E’ un peccato che l’autore del testo (si chiama Gennarantonio Federico, è un ottimo scrittore e non è un nome inventato) non l’abbia chiamata in quel modo; Mozart avrà una Despina, molti anni dopo. Per fortuna alla sistemazione del personaggio ha provveduto Pergolesi, con la sua musica. Vespina o Serpina? Per me, a questo punto, sarà sempre Vespina: oggi mi sono segnato questo appunto, domani me lo sarò già dimenticato.
iii.
Quella che a prima vista sembrerebbe una mosca, o magari una vespina solitaria, mi si infila nei serramenti della finestra: i serramenti di pvc hanno un foro aperto per lo sfiato, e lei ha trovato magnifica questa cavità, tappezzandola all’interno di foglie tagliuzzate su misura e di piccoli petali di fiori. M’immagino che dentro ci siano stanze, corridoi ben disegnati, magari anche ambienti foderati, tappezzati, damascati. Divento curioso e vado a cercare che cos’è di preciso: non è una vespa, è classificata tra le api (esistono molte specie di api, non tutte fanno il miele) e si chiama Megachile centuncularis. Nell’immagine, che prendo da “Guida agli insetti d’Europa” di Michael Chinery (ed. Muzzio), la si vede mentre trasporta un lembo di foglia da lei stessa ritagliato. In natura, questa piccola ape solitaria fa il nido nelle cavità naturali, soprattutto nel legno; qui si è adattata benissimo, l’appartamentino in pvc le piace molto e sarà un problema convincerla che non è il posto giusto.
iv.
Sempre guardando fuori dalla mia finestra, con le tapparelle semiabbassate per via del caldo, noto delle piccole vespe molto interessate ad un vecchio tendone. Vado a vedere cosa succede: le vespe si stanno mangiucchiando la mia tenda. Non la tenda vera e propria, che è di materiale sintetico o comunque trattato contro le intemperie, ma una bordura in cotone che aveva messo mia mamma tempo fa, per abbellirla. Con il tempo, con il sole e le intemperie, con il passare degli anni, quel cotone si è cotto, a toccarlo qua e là si sbriciola: l’ideale materia prima per un nido di vespe. Le vespe sociali, quelle dei tipi più comuni che conosciamo tutti, fanno i loro nidi di cartone: il cartone è cellulosa, la cellulosa si trova nel legno ma anche nel cotone, che è una fibra vegetale. Il cotone nuovo è molto robusto e quindi non è masticabile, questo cotone vecchio e danneggiato (cuciture e imbastiture comprese) è invece molto adatto allo scopo. Se ci si fa attenzione, dopo un periodo di secco e sole caldo, quando piove o quando si rovescia un po’ d’acqua, è facile vedere molte vespe indaffarate nel fango oppure intente a rosicchiare il legno vecchio dei manici delle vanghe: il legno è cellulosa, con la cellulosa anche noi fabbrichiamo carta e cartone – ma loro lo facevano da molto prima. Alcune vespe, andando in cerca d’acqua per impastare il legno masticato, finiscono col cercare pericolosi equilibri sulla superficie di laghetti e pozzanghere; alcune finiscono con l’annegare. Le vespine che si mangiano il cotone della mia tenda sono un ricordo dell’agosto 2005, nel frattempo mia mamma ha rifatto quel bordino con cotone nuovo; non sono riuscito a identificarne con precisione la specie, ma sono vespe di tipo molto comune, sono un po’ più piccole delle polistes e non lasciano le zampe pencolanti. Qualche tempo dopo averle osservate al lavoro, ho ritrovato l’inizio del loro nido: qualcuno lo aveva staccato e buttato per terra, prendendolo in mano mi sono accorto che non era il solito nido di vespe ma era fatto di un cartone di tipo fine, finissimo. Il cotone della mia tenda, non c’era dubbio.
v.
Un’altra vespa vasaia, una Eumenes o forse una Sphex, aveva iniziato a fare la sua costruzione dentro un paio dei miei jeans: ero andato via a fare un giro di un giorno, i jeans erano rimasti vicino alla finestra e la vespa li aveva trovati meravigliosi, il posto ideale. Aveva iniziato a portare terra e acqua, ed era già a buon punto: proprio vicino alla cintura, nel giro vita, dalla parte dalla schiena. Mi è dispiaciuto molto rovinarle il lavoro, ma a me quei jeans servivano, cos’altro potevo fare?
vi.
Ieri ho detto che una vespa sa quel che fare della sua vita: ha uno scopo e lo persegue, con molta costanza e anche con molta testardaggine. Il che a noi non capita, noi non sappiamo perché siamo qui e cosa stiamo facendo, quello che stiamo facendo delle nostre vite può anche essere completamente insensato, chi lo sa. C’è una cosa però che abbiamo in comune con le vespe, e anche con i conigli e le lucertole: la parte più interna del cervello, il sistema nervoso più antico. L’evoluzione ha fatto crescere il nostro cervello, ma nella parte più esterna, la corteccia: dentro, il nucleo originario, abbiamo ancora il cervello delle vespe, o delle lucertole. Alle volte si vede, nei nostri comportamenti intendo. (4.7.2006)
(Le immagini vengono da "Guida agli insetti d'Europa" di Michael Chinery, ed. Muzzio; da libri e da vecchi giornali, e dal sito http://www.lucianabartolini.net/ che consiglio a tutti di visitare.) (l'immagine qui sopra è bellissima, da grande fotografo, e mi dispiace molto di non poter risalire al suo autore/autrice)
Fabrizio RAVANELLI
16 ore fa
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