I telegiornali di ieri hanno dato ampio spazio al meeting annuale di Comunione e Liberazione: sono intervenuti prima Mario Monti e poi Corrado Passera. Mario Monti ne ha approfittato per inaugurare un nuovo Frecciarossa; Passera ha detto che sta lavorando per la ripresa.
Mi è venuto in mente che poche settimane fa un’altra persona a suo modo importante, Cesare Prandelli, ebbe a dire in una conferenza stampa molto affollata che “siamo un Paese vecchio”; e subito qualcuno cambiò le carte in tavola e gli fece dire “siamo un Paese di vecchi” riducendo il tutto a una semplice questione anagrafica. Non so di preciso cosa volesse dire Prandelli, so che di certo non stava parlando di calcio (l’argomento era la presenza nella Nazionale di calcio di due ragazzi non di origini italiane), ma a me pareva che avesse centrato il problema.
Chiedo fin d’ora scusa a Prandelli se sbaglio, ma ad essere vecchia è la mentalità di molti, troppi. Non solo dei manager e dei politici, ma di tutti. Troppi in questo Paese (diciottenni compresi) ragionano ancora come se si fosse negli anni ’50, e a me piacerebbe fare un piccolo inventario di questo “pensare vecchio”.
Per esempio, al primo posto metterei proprio queste dichiarazioni di Passera, di Monti: come si fa a parlare di ripresa se le imprese non ci sono più? Le nostre imprese sono sparite, non se ne è accorto nessuno? A parte i disoccupati, i precari, i mobilitati, eccetera, cioè quelli che sono andati a sbattere contro la realtà, sono ben poche le persone che si sono davvero rese conto di quello che è cambiato nel nostro Paese. Non siamo più un Paese industriale, la ripresa non arriverà mai dall’industria. Esemplari da questo punto alcune dichiarazioni dei ministri Clini e Polillo, durante le manifestazioni di operai dell’alluminio in Sardegna o del Petrolchimico: spiegavano “queste produzioni qui non torneranno più”, di mettersi dunque il cuore in pace – ma poi, cosa faranno questi operai? Nessuno sa andare oltre la spiegazione, ma a quella spiegazione ci arrivano tutti, non serve la laurea in economia: anche a Termini Imerese sanno che la Fiat di Marchionne è definitivamente chiusa, e che non tornerà più, la loro domanda è: adesso, noi, come facciamo?
Il signor Clini, ministro per l’Ambiente, spiegava con chiarezza e disarmante semplicità che il futuro dell’Energia non è più nel Petrolchimico, ma nelle biotecnologie. Ci si aspetterebbe, dopo un intervento simile, una dichiarazione del tipo “da domani tutte le aree possibili saranno coltivate per le bioenergie, e altre aree saranno recuperate”. Invece no, ci si ferma lì, alla semplice enunciazione del fatto che i disoccupati devono farsene una ragione; poi ci si siede e si aspetta che arrivi la ripresa.
Molti disoccupati non possono nemmeno più tornare a coltivare la terra, perché cementificata o asfaltata o presa d’assalto dalla speculazione edilizia. Eppure, lo slogan è ancora lo stesso degli anni ’50: “l’edilizia traino dell’economia, se si ferma l’edilizia si ferma tutto”. Di grazia, cos’altro si vorrebbe edificare? Qui intorno a casa mia hanno costruito ovunque, sono rimasti solo i vasi di fiori di mia mamma, volete costruire anche lì?
L’altro giorno qui in Lombardia gli assessori alla viabilità si sono vantati di nuove strade e autostrade costruite “senza nemmeno un euro di contributo pubblico”. Benefattori, dunque? Anime pie e disinteressate? No certo, tutto il terreno intorno alle nuove strade e autostrade è già stato lottizzato e sarà costruito.
E si continua con altri slogan degli anni ’80 e ’50, dal “privatizzare” alla “vendita di beni pubblici”, cioè gli stessi slogan e le stesse ricette che ci hanno portato all’attuale crisi. Con la vendita di beni pubblici, per esempio le caserme dismesse in pieno centro, alcuni hanno fatto affari d’oro: beati loro, sono poche persone ma per loro la crisi non c’è mai stata e mai ci sarà, finchè governano persone con questa mentalità. La crisi ci sarà per noi, mai per loro.
Insomma, se Monti e Passera avessero voluto fare un discorso nuovo, rivolto veramente al futuro (e non sono sicuro che ne siano capaci) avrebbero dovuto dire che non si può più vivere come in passato, che dobbiamo tutti ridimensionare abitudini e consumi, e che il nostro Paese deve tornare ad essere autosufficiente in termini agroalimentari. Un discorso che sarebbe stato antipatico e indigesto, ma se ci si guarda intorno si capisce che è l’unico accettabile: sono troppe le imprese che hanno chiuso in questi ultimi 10-15 anni, un numero enorme, e sono imprese che non torneranno mai più. E poi viene da pensare: se Monti e Passera avessero voluto fare un discorso serio sul futuro del Paese, non sarebbero andati al meeting di CL: CL rappresenta il passato, è un movimento nato in contrapposizione al ’68, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta.
Se invece avessi fatto quest’inventario nel 2011, al primo posto del “pensare vecchio” avrei messo le dichiarazioni razziste di molti ministri ma poi per fortuna è arrivato il cambio – almeno in quello. Intanto che si dava la colpa agli extracomunitari qui in Padania si chiudevano tutte le nostre ditte e si cementificava o asfaltava un’area di terreno pari a un’intera regione (e non è ancora finita), con le ovvie ripercussioni sull’inquinamento e sul peggioramento della vita quotidiana.
Un altro esempio di mentalità vecchia, ma qui siamo al limite della barzelletta, è che poi questi magnifici sapienti messi davanti alla realtà invece di rispondere si rivolgono a chi fa osservazioni e dicono: “allora spiegaci tu cosa si deve fare”. Ma io non so cosa si deve fare, mica ho fatto la Bocconi, io. Comunque sto al gioco e provo a dire la mia opinione.
Non sono sicuro che ci siano soluzioni. Siamo all’emergenza, e sarebbe ora di parlare chiaro: quello che abbiamo perso non tornerà più. L’unica soluzione è tener presente che siamo tutti sulla stessa barca, vecchi e giovani, maschi e femmine, italiani e stranieri. Negli anni ’50, per i disoccupati, c’erano ancora orti e campi da coltivare: oggi comperiamo granturco e frumento dall’America, ma in America c’è in corso una siccità spaventosa, epocale: magari ce la caveremo anche stavolta, ma non è detto che vada sempre bene. Le fabbriche non ci sono più, i negozi non ci sono più, non si può più nemmeno coltivare la terra: il futuro è davvero preoccupante, la svolta dovrebbe cominciare da subito, ma così non sarà. Di fronte alla crisi vera e manifesta, cioè alla fame e alla miseria, i ricchi e potenti potranno fare repressione, ma non sarà di certo un bel mondo. L’immagine che può tornare, e che fa spavento, è quella di Bava Beccaris, Milano 1898.
La ripresa, se c’è, non sarà dunque per tutti. E’ vero che di là della crisi e della recessione c’è un’altra sponda, e che ci arriveranno in molti; ma molti non significa tutti, e, soprattutto, come suona vecchia quella parola, “recessione”. Recessione e ripresa sono termini vecchi, ormai non servono più. Mi sorge piuttosto davanti l’immagine del guado: il guado serve per trovare nuove terre e nuova ricchezza, in teoria non è una cosa difficile ma durante il guado molti gnu e molte zebre muoiono, annegati o divorati dai coccodrilli. E così sarà anche di noi.
Aggiornamento al 23 agosto 2012: notizia di oggi, 2700 sportelli bancari verranno chiusi, diciannovemila (19000) licenziamenti in arrivo. E' la ripresa secondo Passera: sempre meno servizi ai cittadini, sempre più disoccupati.
Aggiornamento al 25 agosto 2012: ecco le ricette di Monti, Passera e Fornero per la ripresa: privatizzare sanità, cultura, tutto. I ticket sanitari sono soldi veri, non bolle finanziare; fanno comodo. Ma non a voi, cosa avevate capito? A loro. (qui siamo già vicinissimi al feudalesimo, al latifondo...)
Aggiornamento al 28 agosto 2012: notizia di oggi, le province saranno accorpate e ridotte di numero, quindi - gioia infinita! - si stanno cercando i nomi nuovi. Già si parla di una "Provincia del Gusto", questa sì che è una novità, finalmente non saremo più un Paese vecchio (la notizia l'ho sentita al TG3, se non è vera tiro un sospiro di sollievo, ma ormai è certo: se è una xxxxxxx, è sicuro che la si fa).
Aggiornamento al 13 settembre 2012: Mario Monti se la prende con lo Statuto dei Lavoratori. Quando non sanno più cosa dire, viene buona la scuola Berlusconi: salta su uno del governo e spara la sua xxxxxxx (dal 1970 al 1999, con lo Statuto dei Lavoratori, l'Italia era la quarta potenza industriale al mondo)
Una Notte a New York - Christy Hall
14 ore fa