venerdì 10 agosto 2012

Caseina

Un’altra cosa a cui non si pensa mai, o comunque raramente, è che le tele dei pittori non sono semplici stoffe uscite dal telaio, ma vengono trattate appositamente. Oggi le tele dei pittori si comperano già pronte (mi dicono che costano molto), ma non è sempre stato così. La preparazione delle tele, così come degli intonaci per gli affreschi, era molto importante, fondamentale; e magari era il pittore stesso che preparava la tela perché non si fidava di nessuno e voleva essere sicuro che il suo lavoro non andasse perso. Molti pittori importanti, compresi Leonardo e Michelangelo, erano anche ottimi muratori: stendere un intonaco alla perfezione non è cosa da dilettanti.
Io non sono un pittore e non so dipingere, ma facendo normali lavori di manutenzione in casa (mio padre era molto bravo in queste cose) mi sono accorto che la preparazione del fondo, anche per una semplice imbiancatura o verniciatura, è molto importante. E’ dunque un’osservazione alla portata di chiunque, anche senza essere pittori: la carteggiatura, la stuccatura, l’eliminazione delle muffe e la prevenzione affinché non se ne formino di nuove, l’umidità, sono tutte cose di cui tenere conto quando si inizia un lavoro. Una cosa che ho notato, e che un po’ dispiace, è il vedere che con i nuovi prodotti oggi in commercio molto di questo lavoro è andato perduto: oggi ci sono vernici che attaccano anche sulla ruggine, così non si carteggia più. Il risultato è magari ottimo dal punto di vista igienico, ma come estetica lascia molto a desiderare: basta fare un giro per la metropolitana, osservare qualche ringhiera, qualche recinzione o cancello, per vedere cose che nessun artigiano degno di questo nome avrebbe mai perdonato a un suo collaboratore. Il mito della velocità, del fare in fretta, del lavoro visto solo come un costo, è una delle piaghe di questo inizio di millennio; ma passi, porteremo pazienza anche su questo
Tornando alla preparazione delle tele, i pittori usano termini alti e poetici, come “imprimitura”: siamo però dalle parti delle colle e degli appretti, o delle bòzzime che si usano per i filati quando passano attraverso il pettine del telaio. Colle e appretti significa farine: le farine, di origine vegetale o animale, sono state la base per tutte le colle dal tempo dei Sumeri fino all’invenzione delle colle viniliche e acriliche, cioè agli anni ’60 del Novecento. E’ per questo che topi e insetti si attaccano volentieri ai nostri libri, soprattutto a quelli più antichi: perché c’è roba da mangiare. A un topo o a un insetto, o magari a una muffa, importa poco che quella colla sia vecchia di trecento anni: sono creature molto meno schizzinose di noi, e anche questo è più che risaputo.
Facendo bollire una farina dispersa in acqua, o comunque in un liquido, si ottengono gli addensanti e le colle: esperienza comune per chi ha preparato, almeno una volta nella sua vita, un budino o una polenta. Le farine usate sono molte, da quelle ottenute dai cereali (che però in tempi di carestia erano ovviamente solo per uso alimentare) fino a quelle derivanti dalle ossa e dai tendini degli animali macellati, o magari dal siero del latte. Dal latte si ottiene infatti la caseina, proteina di origine animale che è alla base di molte colle.
da www.wikipedia.it
L'imprimitura si presenta come uno strato uniforme che ha la duplice funzione di isolare il supporto dalla pittura vera e propria e di regolare la saturazione dei leganti (ad esempio l'olio). Il termine deriva dall'italiano e letteralmente significa "primo strato". Le sue origini come strato di fondo risalgono agli usi tecnici tramandati dalle Corporazioni e dalle botteghe artigiane medievali, tuttavia è divenuto un metodo standard durante il Rinascimento, in particolar modo in Italia.
Tradizionalmente l'imprimitura si ottiene con diverse ricette a base di colle varie (di coniglio, di farina, di caseina) unite a gesso, bianco di piombo, bianco di Spagna, a uovo, a miele, a olio di lino variando gli elementi ed i dosaggi secondo la tecnica che verrà adottata per l'esecuzione dell'opera (diverse sono ad esempio le imprimiture grasse, adatte alla pittura a olio e quelle magre, adatte alla tempera). Frequenti nella pittura antica sono le imprimiture a base di terre, come nella pittura veneziana e spagnola (terra di Siviglia), nonché a base di bolo rosso. Anticamente si usavano anche particolari imprimiture nere, ottenute con grafite o nero di vite. Solitamente, si preferisce dipingere su uno strato di imprimitura che renda uniforme il supporto e che limiti l'assorbimento dell'olio, per lavorare con facilità il colore. L'imprimitura più usata, fin dai secoli passati, è il gesso, mescolato con colla, di caseina o di coniglio, e una piccola parte di olio di lino cotto: la miscela deve essere densa per formare spessore, ma allo stesso tempo abbastanza fluida da poter essere stesa. Questa imprimitura può essere utilizzata sia sulle tele che sulle tavole. (...) La carta o il cartone possono essere preparati con una stesura di olio di lino cotto, colla, vernice, oppure con i residui di colori a olio presenti sulla tavolozza, ben impastati. Oggi si trovano in commercio imprimiture acriliche, chiamate impropriamente "gesso", poiché sono composte da medium acrilico e bianco di titanio.
La presenza dell’uovo, la chiara o il rosso, rimanda non solo alle colle e agli appretti ma anche al concetto di emulsione: che è una cosa abbastanza comune (basti pensare alla maionese) ma difficile da descrivere in poche righe. Si può tentare una sintesi dicendo che olio e acqua non si mescolano tra di loro in condizioni normali, ma facendo un’emulsione olio e acqua riescono a stare insieme. Uno dei prodotti che possono rendere stabile un’emulsione è appunto l’uovo; nell’industria alimentare si usano molto anche le lecitine, ma qui conviene fermarsi perché il discorso si farebbe molto complicato. (Inutilmente complicato, mi verrebbe da dire...)
nelle foto, da wikipedia o da vecchi libri e riviste: Lucio Fontana al lavoro, i baffi di Lucio Fontana, alcune operatrici addette alla produzione di caseina, e un magnifico esemplare di Lepisma saccharina, detto anche "pesciolino d'argento", un insettino molto comune che si mangia le colle dei libri.
(continua)

2 commenti:

Grazia ha detto...

Un tempo dietro la creazione artistica c'era un duro lavoro, sudore e fatica. Nelle botteghe fiorentine del Quattrocento (me ne sono occupata per lavoro) il grosso era svolto da bambini (compresa la preparazione dell'intonachino per gli affreschi).Bambini di otto-nove anni (Michelangelo più tardi verso gli undici) che faticavano dieci ore al giorno, macinando e pestando i colori, preparando la calce, pulendo gli attrezzi, preparando le tavole e le tele con le imprimiture. E questi bambini poi sono diventati i grandi che conosciamo. Ma sulla fatica dell'artista, della preparazione di un'opera d'arte ci sarebbe da scrivere, e tanto..

Giuliano ha detto...

è un bel discorso, sarebbe bello continuare... anche oggi in tv ho visto un ragazzo che faceva dei quadri, anche belli, ma con gli spray, con la spatola. Mah.
Sono cose che danno soddisfazione, sia ben chiaro, non metto mai in discussione il lavoro in sè - ma continuo a pensare che ci sia più arte in una parete intonacata a perfezione che in tutte le gallerie dei mercanti di oggi.