“Non luoghi” è un termine che dobbiamo al francese Marc Augé; la definizione precisa, che prendo da wikipedia, è questa:
«... si è occupato di alcuni aspetti prioritari della società contemporanea metropolitana, quali il paradossale incremento della solitudine nonostante l'evoluzione dei mezzi di comunicazione; lo strano percorso relazionale dell'"io" e dell'"altro" immersi in un contesto europeo di fine millennio; il nonluogo, ovverosia quello spazio utilizzato per usi molteplici, anonimo e stereotipato, privo di storicità e frequentato da gruppi di persone freneticamente in transito, che non si relazionano, situazione riscontrabile negli aeroporti, negli alberghi, sulle autostrade, nei grandi magazzini; infine l'oblio e l'aberrazione della memoria. Augé ha eseguito un attento lavoro di raffronto fra l'impressione che questi "nonluoghi" suscitano nella gente comune e quella prodotta da alcuni grandi scrittori della letteratura francese. Il risultato di questa analisi è stato un apparente insuperabile gap fra il linguaggio e l'esperienza.» Marc Augé è un antropologo, nato a Poitiers, il 2 settembre 1935; ha passato molti anni in Africa e in America del Sud, per poi occuparsi di noi europei, cioè delle persone a lui più vicine e dei loro comportamenti. E’ qui, dall’osservazione sui nostri comportamenti nei luoghi come le stazioni e la metropolitana, che è nata la definizione di “non luogo” che ho riportato qui sopra, in un suo libro del 1992
(Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité, 1992; pubblicato in Italia da Elèuthera, 1996). Di questo libro, e dei non luoghi, si era parlato molto; e del resto l’osservazione era molto precisa e le intenzioni erano ottime. Vediamo quindi cosa è successo in questi vent’anni che sono trascorsi, e cosa è successo ai non luoghi, cosa è cambiato rispetto ad allora.
Il primo posto che andrei a vedere è la metropolitana, oggetto di un altro libro di Marc Augé
(Un ethnologue dans le métro, 1986; edito in Italia da Elèuthera), e poi anche le stazioni ferroviarie, le sale d’attesa, le banche, gli ospedali. Alla fine degli anni ’60, Dino Buzzati a Milano pensava ancora alla metropolitana come a un luogo con un’aura, vi ambientava il mito di Orfeo, gli inferi (non l’inferno, gli inferi); idem per Julio Cortàzar a Parigi negli anni ‘70, luogo d’incontri e di fantasie. Ancora nel 1992 la metropolitana era così, ma oggi è invasa da pubblicità e da luci invadenti, si viene filmati in ogni nostro passo ed è più che possibile finire al tg o su youtube, magari mentre facciamo una smorfia o ci soffiamo il naso. Direi che la metropolitana, oggi, è diventata ancora più non luogo di quanto non fosse prima.
E le stazioni ferroviarie? Anche qui non esiste più la privacy, anche qui la pubblicità è invadentissima (al punto da coprire gli annunci con le informazioni), e inoltre non esistono più le sale d’attesa, spesso per raggiungere i binari bisogna passare attraverso una serie infinita di tapis roulant e di forche caudine, le biglietterie sono chiuse definitivamente o magari chiuse sabato e domenica, se avete bisogno di un’informazione siete ridotti a dialogare con un robot, che magari non dà il resto al vostro biglietto da cinquanta: le stazioni non sono più stazioni, prendere il treno pare che vi sia diventata una cosa secondaria. Ma non basta: oggi a rendere sempre più “non luogo” non solo le stazioni ma anche il treno stesso, vi è anche l’alta velocità: a trecento all’ora esiste solo il treno, il paesaggio esterno è cancellato. Quantomeno, in aereo, alla stessa velocità si poteva vedere cosa c’era sotto, spesso anche in modo spettacolare; in treno a trecento all’ora il mondo esterno è solo un fastidio da superare, un noioso intoppo. Prendere un treno normale è ormai impossibile, anche se vuoi andare a Bologna o a Roma sei costretto a usare il supertreno, obbligato. Se dici “non ho fretta, voglio godermi il paesaggio” sappi che il paesaggio non esiste più, cancellato – come in “Brazil” di Terry Gilliam dove i cartelloni pubblicitari, enormi, impediscono ai viaggiatori di vedere il paesaggio devastato.
La stessa cosa è successa agli ospedali, quasi militarizzati: posso fare un raffronto di persona, perché nel 1995 ho passato un mese all’Istituto dei Tumori di Milano, un ospedale modello, e tutto vi funzionava a perfezione anche senza la disumanizzazione che si vede oggi. So che a molti piace, io quando sono andato a visitare qualcuno mi sono quasi sentito male: corridoi e sale d’attesa angoscianti, personale praticamente in divisa, montagne di divieti, parcheggi a pagamento (e molto cari), questo è veramente diventato uno dei non luoghi per eccellenza, nel 2013.
Sono ormai un non luogo anche le banche: musica diffusa e fastidiosa, luci orrende, arredi, pubblicità, visite corporali all’ingresso (ma se sono cliente qui da vent’anni...), vietato anche portarsi dietro le chiavi di casa.
Si ha l’impressione di essere degli automi anche sulle strade, superstrade e autostrade ormai inevitabili, se vuoi muoverti devi passare per forza da una strada statale, anche solo per cinquecento metri, e lì ti aspettano al varco, come se fossi un criminale, spiato ovunque, fra muri sempre più alti di cemento, sottopassi sempre di cemento. Non esistono alternative all’automobile: andare a piedi o in bicicletta è diventato pericolosissimo, negli anni passati abbiamo imparato che le antiche vie di comunicazione, come la via Francigena, sono diventate impraticabili e pericolose, ci sono le auto ovunque; anche se uno volesse andare a piedi o a cavallo, come suggeriscono gli idioti, è impossibile se non per brevissimi tratti. Prima o poi, la superstrada e il rondò li trovi di sicuro: i molti pellegrini che hanno voluto provare a seguire la via Francigena, negli anni ’90, hanno dovuto farsi scortare dalla polizia stradale.
Che cosa rende “luogo” un “non luogo”? E’ la presenza delle persone. Persone fisiche, presenti, ognuno con le sue caratteristiche, ognuno portatore di se stesso e dei propri difetti ed affetti. Così era il mondo, come era sempre stato, fino a una quindicina di anni fa. Le stazioni erano costruite intorno al passeggero, per esempio, e non il contrario come si vede oggi. Non esiste alternativa ai non luoghi, si fa così e basta, e se vuoi spostarti (se devi) esiste solo quella roba lì, e devi farlo in quel modo lì, a trecento all’ora, col tutor, in mezzo a persone isolate da auricolari e ipad, esseri umani solo in apparenza; perfino le valigie dei viaggiatori ormai sono tutte identiche, indistinguibili, tutti uguali, stesso modello, col trolley. Se dall’aereo, negli anni ’90, si vedeva ancora il mondo esterno, qui siamo al solipsismo: il mondo esterno è solo un fastidio da attraversare, il paese dove abiti, il laghetto dove andavi a pescare da bambino, sono stati cancellati da un esproprio, non luoghi anch’essi. I più giovani non sanno neanche più di cosa stai parlando, sono cresciuti nel cemento e nella plastica e il cemento e la plastica sono per loro l’ambiente naturale.
Buone idee danno spesso pessimi risultati, il libro di Marc Augé mi era sembrato interessante nel 1996, ma la realtà che ne è seguita è questa. Augé lo aveva previsto? Direi di no. Ai non luoghi non esiste più alternativa. Questa è una dittatura, non esiste altra parola più appropriata al momento.
In appendice, vorrei parlare di un lungo articolo a firma Ilaria Carra, che La Repubblica del 4 gennaio 2013 (edizione milanese) dove si parla della chiusura della metropolitana anche in uscita, e si prendono in giro i passeggeri che non si adeguano:
“qualcuno continua a sbattere contro la barra, ma si ritiene che ormai questa prassi stia entrando gradualmente nelle abitudini dei milanesi” . Le persone che escono dalla metropolitana vanno a sbattere sulle uscite perché la chiusura delle uscite esiste da pochissimi giorni; e soprattutto direi che vanno a sbattere perché questa è una minchiata, nessuno si aspetta una minchiata ma invece c’è chi le pensa e chi le fa. Nel frattempo, in altri Paesi si sta pensando di rendere gratuiti i mezzi pubblici, si progettano quartieri senza automobili...da noi si arriva sempre in ritardo, e dall’estero si importano, per l’appunto, quasi solo le minchiate. L’articolo prosegue con espressioni come
“piano antifurbetti” e “
un nuovo step”, e con tutta una sequela di frasi fatte e di luoghi comuni ripetuti a macchina che rendono ormai anche il giornalismo un non luogo. Solo verso la fine, quando si scrive
“L’obiettivo finale di Atm è di allargare la sperimentazione anche alla mattina prima delle 9.30 e dopo le 16.30 le due fasce d’orario più critiche, quando i passeggeri sono tanti e il tornello rischia di generare caos” si riconosce finalmente che non è tutto bello come veniva descritto. Ma poi leggo che
“il Comune apprezza il piano e ha sempre incoraggiato l’azienda a proseguire su questa strada”: ecco una stilettata particolarmente dolorosa, perché il sindaco di Milano è una persona nuova, Giuliano Pisapia: anche il sindaco Pisapia continua nell’opera di tirar su muri e barriere, di mettere dazi e videocamere, musichette sceme e pubblicità invadenti, forse ben determinato, anche lui, a trasformare ogni luogo in un non luogo, cioè a peggiorare continuamente la nostra vita, anche con provvedimenti in apparenza minimi.
Non vedo più vie d’uscita, tra poco saranno dei non luoghi anche le nostre case, senza librerie (nell’era dell’ebook e del tablet, suvvia), controllati in ogni minima spesa, controllati anche nei rifiuti. L’unica consolazione, per adesso, è che molti (davvero molti) di quelli che hanno preso queste decisioni sono finiti in galera o agli arresti domiciliari (per esempio il signor Biesuz, gran capo delle Ferrovie Lombarde, ciellino). Essere costretti a sperare nei Carabinieri per avere un mondo migliore, ne converrete, non è comunque un bel segnale.
AGGIORNAMENTO al 2 febbraio 2013: il non luogo più spaventoso, a Milano, è probabilmente il percorso che porta alla linea gialla, nella fermata Duomo. Non è nemmeno un orrore, siamo addirittura oltre, chissà chi è il robot che lo ha approvato.
AGGIORNAMENTO al 5 febbraio 2013: da questa settimana, l'obbligo di timbratura anche in uscita è stato esteso a tutta la giornata, sempre a Milano nel metrò; la novità è che prima dicevano di rivolgersi al personale in caso di difficoltà (ma loro dicono: "chi non è in regola", dando per scontato che non esistano persone in difficoltà, ma solo furbi e furbetti), adesso invece dicono: «Rivolgersi alle apposite macchine». Eh già, certo: in un nonluogo i contatti umani sono vietati. E poi, vuoi mettere: le persone bisogna pagarle, il trend invece è di licenziare. E infine, viene da pensare, chissà mai che qualcuno non ci guadagni qualcosa, comperando tutte quelle macchine, quei tornelli.
AGGIORNAMENTO al 3 maggio 2013: vedo al tg le immagini delle nuove metropolitane, a Milano e a Brescia. I responsabili del progetto mettono molta enfasi sul fatto che non c'è personale, treni e stazioni vengono guidati da lontano; uno dei progettisti mostra gli interni e dice che sono confortevoli. Li guardo anch'io, sono come gli interni dei videogames. Per dirla tutta: pochi giorni fa ho visto "Tron Legacy", e gli interni delle nuove metropolitane sono confortevoli come quelli del film, plastica rilucente e metalli freddi, nessun colore, nessun calore, e molto probabilmente nessuno che vi dia un'informazione se ne avete bisogno.