lunedì 11 ottobre 2010

Roberto Leydi

Roberto Leydi, torinese, parlava del dialetto come arricchimento: può succedere che si parli un italiano lessicalmente povero, magari sgrammaticato; in questi casi il proprio dialetto può essere un arricchimento, l’unione della lingua italiana povera di vocaboli con la ricchezza lessicale del dialetto è sicuramente un’ottima cosa. Però c’è anche un aspetto negativo del dialetto: «...Vi è anche un altro modo attuale di recupero del dialetto, che è quello di tipo reazionario: per esempio quello di una certa borghesia torinese che recupera il dialetto in funzione anti immigrati, il dialetto visto come distinzione dei “piemontesi veri” rispetto ai piemontesi “falsi” e non voluti...»
(Roberto Leydi, da un’intervista alla Tsi degli anni ’80).
Roberto Leydi (1928-2003) è stato un grande studioso di etnologia e di musicologia. Per più di cinquant’anni, Leydi ha girato l’Italia, con grande amore e attenzione, registrando e filmando la grande cultura popolare; il suo archivio è immenso e importante, ma l’Italia (men che meno quella del Nord) non lo ha voluto, e adesso l’archivio Leydi si trova in Svizzera, a Bellinzona: ben custodito e ordinato. Ed è ben strano che proprio la Svizzera ospiti i canti popolari italiani, magari quelli del Salento e non solo quelli lombardi, ma così sono andate le cose. Penso che nel disinteresse italiano (e “padano”) verso Leydi ci siano due motivi fondamentali: 1) tutto ciò che è vera cultura non interessa a nessuno. I discorsi sull’importanza della tradizione fatti dalla nostra destra leghista sono solo chiacchiere, fesserie: si osannano la cultura tradizionale e il dialetto, e poi si fa scempio del territorio, asfaltando e cementificando ogni minimo spazio, laghi e montagne comprese. 2) Leydi era di sinistra, l’amore per la tradizione gli veniva dall’essere veramente e profondamente di sinistra, cioè dalla vicinanza con la gente povera, con i contadini, le mondine, gli operai, i ferrovieri...
PS: di recente, ho ascoltato in tv il deputato leghista Borghezio dire che “questi discorsi una volta li faceva la sinistra”, intendendo il recupero del dialetto: ebbene, alle facce di tolla non c’è un limite. L’opposizione da sinistra alle politiche leghiste è dovuta proprio a quello che diceva Leydi: un conto è usare il dialetto come arricchimento, come lingua nativa e sorgiva; un conto è usarlo per rinchiudersi, come facevano e fanno tuttora le bande criminali. Il gergo della mala, che è una specie di dialetto, serviva per non farsi capire dalla polizia e dagli estranei; ma qui di estranei non ce ne sono, il dialetto era solo la lingua madre di molte persone, e viveva in un ambito poco più che familiare (bastano due o tre chilometri per cambiare dialetto, anche profondamente), con un minimo sforzo ci si capiva anche tra dialetti diversi, ed è sempre bello sentire parlare una lingua materna, sorgiva. Quello che fa la gente come Borghezio è tutta un’altra cosa, e so che molti si ricordano che circola da tempo in rete un filmato dove un signore che gli somiglia molto fa lezioni ai giovani su come far penetrare il nazismo travestendolo da “difesa degli usi e costumi locali”.


2 commenti:

franz ha detto...

"di recente, ho ascoltato in tv il deputato leghista Borghezio dire che “questi discorsi una volta li faceva la sinistra”, intendendo il recupero del dialetto: ebbene, alle facce di tolla non c’è un limite."

se esistesse la sinistra direbbe a quel minus habens "zitto cretino!", ma come dici tu non c'è un limite

Giuliano ha detto...

I leghisti, alla fin dei conti,dicono: "adesso ti parlo in dialetto, se non capisci e non sai ripetere giù sprangate".
il tizio in questione si chiama Gobbo, segretario della Lega Veneta (uno che comanda, e tanto). E il ritardo culturale di quelli che si dicono di sinistra è gravissimo, in studio non c'è mai nessuno capace di rispondere a dovere. (ormai questi comandano, la Lega sta diventando davvero potente, e mi fa specie vedere anche uno come Gad Lerner che fa salamelecchi a queste persone)