Il discorso di oggi riguarda qualcosa che tutti abbiamo continuamente sotto gli occhi, e che ci provoca enormi fastidi; non è un discorso facile da affrontare, ma vorrei provare almeno a iniziarlo. Comincio da un esempio pratico, di vita quotidiana, solo apparentemente fuori tema.
Ho rinnovato la patente pochi giorni fa: fino a tutti gli anni ’90 sarebbe bastato un timbro, oggi ci vogliono due o tre mesi per vedersi arrivare a casa un cerottino, che poi va applicato sulla tesserina col microchip. Trovo la cosa incredibilmente ridicola: perché spendere soldi per fare le patenti col chip se poi devi appiccicarci sopra un’etichettina? Nel frattempo, nel tempo in cui non ho a disposizione il cerottino, devo circolare tenendo in tasca un enorme foglio di carta che certifica l’esame medico superato. La stessa cosa è successa con le carte d’identità, rinnovate con un timbro per evitare di dover ristampare tutte le tesserine col microchip: il che va benissimo sul cartoncino, ma dove si mette un timbro sulla tesserina di plastica? Ecco dunque rispuntare la carta: nel caso fosse richiesta la carta d’identità, bisogna esibire la tesserina insieme al foglio con la proroga, e tutto questo per cinque anni. Il bello è che io non ho la patente “nuova”, ho ancora quella di carta (tenuta benissimo) con la fotografia di quando avevo diciott’anni. Ho chiesto se non era il caso di cambiarla, e all’agenzia a cui mi sono rivolto c’era un impiegato (giovane) che mi ha detto: “La tenga da conto, quelle nuove sono un disastro”.
Quante cose simili vi sono capitate negli ultimi mesi? L’elenco sarebbe lunghissimo, interminabile; ma io qui vorrei continuare a parlare di chimica e di strumenti scientifici, l’esempio della patente mi è servito solo da introduzione. L’argomento in realtà è questo, e a me pare importante: le nuove tecnologie arrivate negli ultimi vent’anni sono magnifiche, ma non sempre portano a una semplificazione. Anzi, molte volte è vero il contrario: e la colpa non è della tecnologia in sè, ma delle persone che la applicano. Nel caso in questione, basterebbe poco per renderci la vita più semplice, magari portando il codice fiscale sulla carta d’identità: basterebbe così una tesserina sola, e usando un sistema simile alla “nuvola” di cui parlava Steve Jobs sparirebbero di colpo patenti, carte dei servizi regionali, tessere sanitarie, e quant’altro ancora. Ma non succederà mai, perché invece si tende sempre alla complicazione: anche con nuovi strumenti e nuove tecnologie, va sempre a finire che tutto si complica.
Come chimico, per motivi generazionali, io sono a metà strada tra la generazione che faceva tutto a mano, pesate analitiche comprese, e quella odierna dove tutto è affidato a strumenti velocissimi che fanno quasi tutto da soli. La generazione dei chimici come Primo Levi, per intenderci, aveva bilance analitiche che non erano nemmeno elettriche: le bilance elettriche sono arrivate negli anni ’50, e anche un po’ più in là. Quelli della mia generazione non hanno mai usato le bilance manuali, quelle con i pesini da spostare tramite pinzetta; e quando ho iniziato a lavorare mi è stato detto – proprio per questo motivo - che noi giovani non avevamo manualità, e che non eravamo in grado di capire fino in fondo quello che stavamo facendo.
Invece, molte cose – pesate a parte – le facevamo ancora a mano, e l’occhio era importantissimo per cogliere i colori. Per esempio, io ho usato molti colorimetri: ce ne sono di molti modelli, ognuno col nome del suo inventore, ma ormai sono pezzi da museo. Oggi gli strumenti sono fatti più o meno così: una vaschetta o un portacampioni dove si mette il campione da analizzare, e un display dove premendo un pulsante appaiono tutte le modalità possibili di lettura di quel colore. Tutto molto veloce, e molto semplice: lo strumento legge la lunghezza d’onda che corrisponde a quel colore e poi col ditino fate scorrere sul display l’unità di misura che vi interessa, estinzione, assorbanza, colore Lovibond, colore Gardner, lunghezza d’onda, quello che vi pare. Le unità di misura ci sono tutte, antiche e moderne, ed è sicuramente un sistema molto pratico.
Ma io, invece, il colore Gardner l’ho misurato per anni proprio con lo strumento inventato dal signor Gardner: una serie di provette tutte uguali, riempite con oli di colori diversi. E’ infatti una scala nata soprattutto per gli oli minerali, buona anche per gli oli vegetali e per altre sostanze colorate, ma solo in giallo-arancio-marrone. Sul Gardner, per esempio, il verde dell’olio di oliva non c’è. Si parte dalla provetta numero 1, che è praticamente incolore, e si arriva al bruno passando per il giallino, il giallo, il giallo arancio, e via elencando fino alla provetta n.18. Si va a occhio: l’analista riempie una provettina identica alle altre, e poi confronta il colore con le provette del Gardner. Quando si trova quella corrispondente, si segna il numero, che può essere 2, 3, 4, 7, fino a 18 che è l’ultima. Una misura molto pratica, veloce, per la quale però bisogna essere almeno un po’ allenati, perché è facile sbagliare. Al massimo, come approssimazione, si può scrivere qualcosa come 7/8, cioè una via di mezzo fra due colori vicini: ma di solito non è necessario. Con i nuovi strumenti, invece, succede questo: che il colore Gardner viene espresso anche in decimali, cose tipo 6,753. Un’assurdità, che purtroppo ormai ha preso piede: ma chi sa più cosa è davvero il colore Gardner?
La stessa cosa capita con il pH e il pHmetro per misurarlo: a parte le cose più complicate, come in batteriologia, il più delle volte (per esempio con saponi e detergenti) si usava una cartina apposita: neutro, acido, basico, e poco più. Il pHmetro (si legge “piaccàmetro”) è invece un elettrodo collegato a un display, e dà misure molto precise, quindi è utilissimo: ma che senso ha scrivere cose come pH=6,325 ? Tra l’altro, c’è sempre un minimo di variazione e il pH con tre decimali dopo la virgola non dura sul display nemmeno due secondi... Eppure, ormai tutti lo scrivono, anche sui certificati; e molti capitolati sono fatti così. E' un’altra assurdità ma ha preso piede, ed ha effetti non secondari sull’economia aziendale, perché lavorando sui detergenti, come è capitato a me, si perdono ore e ore di lavoro per portare i prodotti entro capitolati da barzelletta. Per intenderci, uno shampoo può tranquillamente avere un pH compreso fra 6 e 8: ma se si pretende 5,8-6,3 tutto diventa più difficile. Ho il ricordo, netto e spiacevolissimo, di infinite discussioni e di camion interi rimandati indietro per un pH=6,45 invece che pH=6,5. Tenetelo a mente, quando vedete un’autobotte davanti a voi in autostrada: potrebbe essere un caso come questo che ho appena raccontato, un andare e venire dalla fabbrica A alla fabbrica B e viceversa per via di un capitolato assurdo, generato da persone (sicuramente con laurea) che non sanno dare la giusta importanza alle cose che stanno facendo.
Un terzo esempio riguarda la misura della viscosità, per la quale esistono (ancora una volta) moltissimi strumenti. Uno di questi l’ho sempre trovato magnifico per la sua semplicità: la tazza Ford. Si tratta proprio della Ford intesa come casa automobilistica: i suoi meccanici inventarono, più o meno cent’anni fa, uno strumento semplicissimo per misurare la viscosità degli oli minerali, che come si sa è importantissima per il funzionamento del motore. Lo strumento è questo: una tazzina tipo quelle del tè, ma di metallo e montata su un supporto. La tazzina ha un foro sul fondo, ben calibrato: si mette un dito su quel foro, dall’esterno, poi si riempie la tazzina fino a un segnale preciso, si toglie il dito e si misura in quanto tempo si vuota la tazzina. Tutto qui, avendo ovviamente la precauzione di mettere un contenitore sotto la tazzina, altrimenti quando si toglie il dito si fa un mezzo disastro (l’olio è difficile da pulire).
Ovviamente, deve essere una misura veloce: nelle misure di viscosità è importantissima la temperatura, e se si lascia un liquido in una tazzina per venti minuti la temperatura cambia sensibilmente. Di solito, la misura è espressa in secondi: se si passa il minuto, la tazza Ford non serve più e bisogna passare a un altro strumento. Eppure, sembrerà incredibile, ma io ho fatto delle misure in Tazza Ford della durata di un quarto d’ora, e anche più. I miei capi, tutti laureati, lo pretendevano; e non su un olio minerale, ma su un intermedio per un docciaschiuma. Ne conseguiva che il bagnoschiuma, inserito a 25°C esatti nella tazzina, terminava il flusso a non si sa quale temperatura venti minuti dopo (era molto viscoso), una misura tutt’altro che scientifica. Per misurare bene questo dato, bisognava dunque prendere un altro viscosimetro, magari il modello Höppler: ma “il cliente ha richiesto questo dato in questo modo”, ed era un cliente molto importante e famoso (non faccio il nome, ma è davvero di quelli importanti e famosi, nella cosmetica) per cui si faceva così, e basta. Adesso, quantomeno, so che anche nelle Ditte Importanti e Famose si aggirano laureati che non sanno come si fa una viscosità: il che mi spiega tante cose, tantissime, compreso il bollino da appiccicare sulla mia patente. Se i laureati in chimica sono così, figuriamoci gli avvocati e i commercialisti.
Non so se sono riuscito a dare l’idea di quello che intendo. Mi è uscito un articolo molto lungo, che non posso certo definire “post”. In parte, la mia mancanza di sintesi e di chiarezza è dovuta alla rabbia repressa e accumulata per anni: quando questo genere di cose succede tutti i giorni, per otto ore al giorno, diventa difficile guardarle serenamente e con distacco. Così, tanto per chiudere l’argomento – almeno per oggi – riporto qui un appunto che mi ero segnato dieci anni fa, quando questa per me era ancora materia viva. Ogni tanto lo rileggo, ma non sono mai riuscito a dargli una forma definitiva: lo metto qui anche per cercare di scaricarlo, ma so già che non riuscirò a togliermi questi argomenti dalla testa, perché nel frattempo la situazione è molto peggiorata, e basterà pensare alla complicazione delle leggi che sono state emanate in questo inizio di millennio da Comuni, Regioni, Province, Stato, e via elencando, per capire come e quanto la Complicazione e la Burocrazia regnino ormai sovrane, non solo nel pubblico ma anche e soprattutto nel privato.
Nasometria
La complicazione del mondo: strumenti bellissimi e raffinati, fatti per l'industria farmaceutica e per la precisione assoluta, paragonati ai vecchi e cari attrezzi empirici: la tazza Ford, il visc. Engler, le provette del Gardner... C'è chi ci ride sopra, e in effetti sembrano un po' ridicoli (il dito che tappa il buco sotto la tazza, la matita di legno di bosso e la “ballerina”, la scala di colori "ad occhio"...). Se invece si pensasse un po' , solo un pochino, ci si accorgerebbe che i nostri vecchi avevano visto giusto, che l'empirismo spesso è la via giusta da seguire, che non sempre e non in tutti i settori serve la precisione assoluta. Una buona scala empirica, un buon metodo d'analisi studiato per non far perdere tempo (sì, misure di colore fatte ad occhio: per non perdere tempo inutile con misure troppo raffinate), ecco quello che serve nell'industria dei saponi. Badare al sodo, non perdere tempo inutile, lavorare così come si farebbe in cucina, e usare gli strumenti costosi, precisi e moderni solo quando veramente servono: nell'industria dei farmaci servono sempre, da noi non è mica la stessa cosa. Nell'industria dei saponi non è necessario essere precisissimi, chi lo fa vuole solo complicare la vita a se stesso e agli altri. E' una vittima del marketing e delle mode (esistono le mode anche nell'analisi...) e, in sostanza, è spesso un imbecille o un incompetente, e c’è il sacrosanto dubbio che tante volte si esageri a cercare la precisione di un dato dove la precisione non serve a nulla, un po' come per le dosi in cucina: i bravi cuochi fanno tutto “a occhio”. Si compera il giocattolo complicato, per far vedere che si è proprio bravi - ma senza un po’ di discernimento è come aver le bici sofistificatissime e poi non saper pedalare... “Nasometrie” sarebbe un bel titolo. Lo potrei usare in difesa dei vecchi metodi empirici (Gardner, tazza Ford...), contro i complicatori delle cose semplici. Come dice anche Oliver Sacks, e come diceva Primo Levi oggi la chimica è sempre meno divertente, non si vede nulla, non si tocca, non si annusa: fino a poco tempo fa era possibile vedere l'acido citrico sciolto 1:1 che raffredda l'acqua fino allo zero, o una flocculazione, o un precipitato, o un viraggio... E quei bei libri d'una volta, come il Villavecchia, e quello sugli oli che aveva il mio capo sulla scrivania e che la cretina che ha preso il suo posto ha subito sbolognato: ma tanto, che se ne faceva? L'avrà guardato di sbieco e avrà concluso che era roba vecchia. (luglio 2002)
PS: ogni tanto, lo ammetto, prendo le misure a spanne: la mia spanna, dal pollice al mignolo, è esattamente di 25 centimetri.
(le vignette vengono dalla Settimana Enigmistica, www.aenigmatica.it ; le immagini hanno varie fonti, ma provengono più che altro dai cataloghi di fornitori di strumenti scientifici)
Life History of the Forget-me-not
9 ore fa
2 commenti:
(bella mano)... ma non ti veniva un crampo, a stare un quarto d'ora a tappare col dito?
In realtà, il crampo veniva tenendo in mano il cronometro. Eh già, perché serviva proprio, il cronometro di precisione: peccato che la carica non reggesse sempre i venti minuti necessari (lo so che non ci si crede, lo so, ma tieni conto che abbiamo ancora oggi Calderoli ministro della semplificazione e tutto ti sembrerà meno assurdo).
Io guardavo l'orologio a parete, e avevo i miei buoni motivi: il cronometro se lo fregavano sempre. Mi dispiace di non averne portato a casa uno anch'io, a questo punto!
:-)
Grazie! se riesco a mettere giù una decina di chili, magari pubblico anche il resto...
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