domenica 20 novembre 2011

Fino alla fine del mondo

Camminando per Milano (o comunque per una via affollata di una città media o grande), da un po’ di tempo, bisogna fare molta attenzione: c’è sempre più gente che cammina con lo sguardo rivolto in basso, verso il piccolo schermo dello smartphone, o dell'ipad, o di chissà che cosa. La prima volta che mi è successo di notare questa cosa ero in metropolitana: un signore giovane ed elegante mi ha sfiorato proprio vicino alle scale; non se ne è nemmeno accorto ma io mi sono un po’ spaventato. Vuoi vedere che è un avvocato, mi sono detto, e se cade poi dice che è colpa mia che non stavo attento e mi fa causa?
La cosa poi si è diffusa, oggi lo fanno in molti, e così mi è tornato alla mente un film che mi era piaciuto molto quand’era uscito. Ma nel film tutto era molto più bello e poetico: la protagonista si perdeva a guardare, dentro un piccolo schermo che stava in una mano, l’immagine di se stessa bambina recuperata da uno dei suoi sogni.

Il film è “Fino alla fine del mondo” (Bis ans Ende der Welt, 1991), di Wim Wenders, su soggetto di Wenders e di Solveig Dommartin. Ne è protagonista la stessa Solveig Dommartin, con Sam Neill, William Hurt, Max von Sydow, Jeanne Moreau, David Gulpilil, Rüdiger Vogler, e molti altri. Si tratta di questo:
Registrare i nostri sogni, e rivederli. E’ quello che succede a Solveig Dommartin, nell’ultima parte del film. Lo scienziato Max von Sydow ha inventato questo apparecchio, e adesso Solveig è persa dentro quest’immagine profonda di se stessa da bambina, un’immagine che non sapeva di aver mai sognato e che adesso può rivedere su un apparecchio molto simile ai nostri videofonini di oggi. Quest’immagine la colpisce così profondamente che non riesce più a staccarsene, e la stessa cosa accade a William Hurt, che nel film interpreta il figlio di Max von Sydow. E’ un momento davvero sconvolgente, so che tutti quelli che hanno visto il film, quando uscì, ne erano rimasti molto toccati. Sarà il marito di lei, interpretato da Sam Neill, a strapparla da quell’immagine: quando le pile si saranno esaurite, il visore non manderà più quella sequenza e Solveig avrà una vera e propria crisi di astinenza, come accade per le droghe pesanti. Ma poi le cose pian piano si rimetteranno a posto, la vita reale riprenderà il suo corso anche se Sam non riuscirà a riavere sua moglie con lui. L’apparecchio era stato inventato da Max von Sydow, in origine, per poter ridare la vista alla moglie (la interpreta Jeanne Moreau), cieca dall’età di sette anni. Per farlo, bisognava andare a pescare le immagini direttamente nel cervello, e poi riproiettarle: una cosa non facile. (...)

E’ a questo punto che l’esperimento si completa: il prototipo della macchina per vedere i sogni è pronto, la sperimentano Solveig e Hurt. La realtà sparisce, l’esterno sparisce, rimane solo il guardare dentro se stessi: autismo o narcisismo, si può dire. Le immagini dei nostri sogni più intimi diventano l’unica cosa che conta, togliere di mano l’apparecchio genera una crisi di astinenza come per l’eroina. Sam Neill, il narratore, commenta: « Mi era sempre piaciuto l’inizio del Vangelo di Giovanni, “in principio era il Verbo” (in inglese: “in the beginning there was the Word”, la Parola). Ora temevo che l’Apocalisse fosse “e alla fine c’erano solo immagini”». Ma saranno la scrittura, e la pittura nel caso di Hurt, a far tornare alla normalità, una volta esaurite le pile del nuovo gadget elettronico e finita la crisi d’astinenza. Attività antiche come l’uomo, narrare, disegnare, fare musica. (...) Il film ha un finale rassicurante, tutto torna a posto, la crisi nucleare è stata solo passeggera. Oggi Wenders è più ottimista: dice “anche a me dicevano che i fumetti mi avrebbero rovinato, invece mi hanno dato molto; forse capiterà lo stesso con i videogiochi”.
Mah, non sono sicuro che sia andata proprio così; e, quantomeno, perdersi su uno schermo che riproduce i nostri ricordi più intensi è qualcosa di tutto sommato accettabile. Molto meno accettabile, a mio parere, rincoglionirsi nel modo che ho descritto sopra (ricordo ai distratti che la casa del giovane neonazista norvegese Breivik, ottanta morti quest’estate in Norvegia, era strapiena di videogiochi “spara-spara”).
(tutte le immagini qui sopra sono fotogrammi da "Fino alla fine del mondo" di Wim Wenders: l'attrice è Solveig Dommartin, protagonista anche di "Il cielo sopra Berlino")

4 commenti:

Alligatore ha detto...

Mi fai venire voglia di rivedere quel film, che ricordo per una gran bella colonna sonora. Consumai quel vinile a suo tempo.

Giuliano ha detto...

anche tu vai in giro a quel modo?
:-)

Alligatore ha detto...

Ho paura di sì ;)

Giuliano ha detto...

allora ci sto attento, se vedo uno in giro per Milano in quella posa magari sei proprio tu...
:-)
devo deluderti sulla colonna sonora del film di Wenders, mi sono piaciuti solo i pigmei e infatti ho comperato anche dei cd molto belli, subito dopo il film, che ascolto ancora (registrazioni di antropologi, cinquant'anni fa). Gli U2 mi entrano da un orecchio e mi escono dall'altro, li ho ascoltati diverse volte ma senza nessuna emozione, non so cosa farci.