L’asfalto e il catrame sono dei nascondigli perfetti, quando si vuole occultare qualcosa: cioè qualcosa da smaltire, perché nell’industria non si butta via niente e tutto si ricicla. Ci sono materiali che si riciclano senza problemi, e in questo caso l’operazione è ideale; in altri casi invece, come è successo di recente in Regione Lombardia con lo scandalo (subito occultato anch’esso) dei rifiuti pericolosi messi sotto manti stradali e nelle fondamenta di edifici pubblici, ci sarebbero un bel po' di cose da dire ma per oggi mi astengo e rimango nel tema che mi sono prefisso.
L’asfalto e il catrame sono ormai tra i materiali più comuni nella nostra vita, da molte generazioni sempre più legata all’automobile. Nel linguaggio comune si usano come sinonimi, perché l’uso che se ne fa li rende alternativi l’uno all’altro; in realtà non è così, e dato che è sempre una buona cosa interrogarsi sul vero significato delle parole, vado a prendere dalla Garzantina della Chimica le definizioni esatte di asfalto, bitume, catrame, pece, resina, colofonia. Posso anticipare, in breve, che asfalto e bitume sono prodotti che si trovano in natura; il catrame è invece il residuo della distillazione del petrolio. Resina è invece un termine generico dietro al quale si possono nascondere molte cose diverse, dalla resina dei pini fino alle resine sintetiche e alle resine per addolcire le acque. Qui sotto metto una foto che viene da Trinidad e Tobago, dove c'è un giacimento di asfalto ("Pitch Lake") molto importante.
Nel dettaglio:
Asfalto: miscela naturale di idrocarburi solidi e semifluidi, in prevalenza bitume. Per lo più solido e di color scuro. si trova come impregnante delle rocce calcaree. Dall'asfalto si estrae il bitume che, misto a ghiaietto, viene usato per la pavimentazione di strade.
Bitume: miscela di più composti organici di alto peso molecolare. Si forma per polimerizzazione naturale ossidante di residui del petrolio: è nero e fragile, ammollisce a ca 50 °C e quindi liquefa. È contenuto nell'asfatto, da cui può essere estratto; allo stato puro si trova in abbondanza solo nei giacimenti del Mar Morto. Si dà il nome di bitume anche alle frazioni più pesanti della distillazione del petrolio, polimerizzate all'aria e utilizzate per vernici nere e nelle pavimentazioni stradali.
Catrame: sottoprodotto della distillazione secca dei combustibili solidi. Si presenta come un liquido di colore variabile dal bruno al nero, molto viscoso, con peso specifico poco superiore a 1; è una miscela ricca di idrocarburi aromatici e fenoli. che, una volta separati, rivestono notevole interesse industriale sia come prodotti finiti sia come intermedi. (...)
Colofonia o pece greca: resina naturale, solida, trasparente di colore giallastro che si ottiene dal residuo della distillazione della trementina: il suo costituente principale è l'acido abietico: viene usata nell'industria della carta, delle vernici e dei saponi.
Pece: termine con cui si indicano vari prodotti commerciali ottenuti come residui della distillazione di catrami o fluidi densi di varia origine, specificati dal nome dei materiali di provenienza. Il più importante è la pece comune, ottenuta per distillazione del catrame di carbon fossile, come residuo che rappresenta oltre il 50% del prodotto di partenza. Si presenta come una massa nera (...), fonde tra 50 e 120°C ed è parzialmente solubile in alcuni solventi organici.
Resine: polimeri naturali o sintetici. Le resine naturali sono prodotti chimicamente assai complessi, che si trovano nei materiali di secrezione di molte piante e di alcuni animali. Le piante che forniscono le resine sono essenzialmente le conifere, le terebintacee, le leguminose, le ombrellifere ecc. Le resine trasudano spontaneamente dal fusto o dai rami di queste piante oppure sono fatte sgorgare mediante incisioni nelle parti resinifere. La costituzione chimica delle resine è assai variabile. Possono contenere essenze, acidi aromatici (benzoico. salicilico, cinnamico, cumarico), acidi non aromatici liberi, alcoli. esteri degli acidi aromatici con questi alcoli. (...) Le resine artificiali ottenute mediante processi di polimerizzazione sono così numerose (e il loro numero è in costante aumento) da renderne difficile la classificazione. Questa difficoltà è dovuta alla mancanza di un criterio distintivo tra resine artificiali, vale a dire polimeri di base, e materie plastiche, ovvero prodotti che si ottengono dalla lavorazione delle resine mediante aggiunta di plastificanti, riempitivi (cariche), lubrificanti, inibitori e ausiliari svariati atti a migliorare le qualità del prodotto finito. Per una descrizione delle caratteristiche e degli impieghi delle resine artificiali si rimanda alle voci relative ai singoli gruppi di resine (....) e alla voce materie plastiche.
Un mio ricordo personale in proposito è legato a un chimico che ho conosciuto, il Vecchio Proprietario che aveva venduto a una multinazionale la fabbrica dove poi anch’io ho lavorato, e che una volta ricevette un ordine per un legante da usare con il catrame. Dato che la Ditta faceva molti prodotti un po’ per tutte le industrie, e che questa commessa dava la possibilità di smaltire un po’ di prodotti di altro tipo venuti male, il Vecchio Proprietario ci si mise d’impegno e riuscì a fare un legante ottimo. Purtroppo, dopo il primo lotto ben riuscito non riuscì più a ripetere la formula e dovette abbandonare l’ordinazione: come accadde anche al Dottor Jekyll, quella materia prima particolare era impossibile da rifare tale e quale, e inserire nella ricetta un prodotto buono, da comperare, avrebbe alzato troppo il prezzo. La storia è vera e mi è stata raccontata da una persona di fiducia, e del resto è più che plausibile; la porto qui non tanto per divertimento ma perchè rende bene l’idea di cosa si possa fare con il catrame che si mette sulle strade. Nel catrame si possono mettere molte cose, e chissà se qualcuno ha mai fatto un’indagine in proposito: per esempio, se si mescolano al catrame sostanze solubili in acqua alla prima pioggia il manto stradale si ridurrà in condizioni pietose. Ogni volta che vedo una buca nell’asfalto, mi torna alla mente quell’esperimento del Vecchio Proprietario: ma in chimica di “prodotti spazzatura” ce ne sono molti, alcuni dei quali onesti e perfettamente legali (per esempio, un detergente non più adatto alla nostra pelle può diventare un ottimo lavapavimenti).
In conclusione, discorsi preoccupanti a parte, asfalto, bitume, catrame, pece, resina, sono termini molto generici che indicano cose diverse ma unite dall’uso che noi ne facciamo. E a questo punto mi piacerebbe sapere cosa usavano come pece i costruttori di navi dell’antichità, ma mi tengo la curiosità per un altro momento e passo parola a uno molto più bravo di me.
Primo Levi, dal volume “L’altrui mestiere” (Einaudi 1985)
(...) I marciapiedi della mia città (e, non ne dubito, quelli di qualsiasi altra città) sono pieni di sorprese. I piú recenti sono di asfalto, e questa è una follia: piú ci si inoltra sulla via dell'austerità, più appare stupido usare composti organici per camminarci sopra. Forse non è lontano il tempo in cui l'asfalto urbano verrà riesumato con le cautele che si adottano per staccare gli affreschi; verrà raccolto, classificato, idrogenato, ridistillato, per ricavarne le frazioni nobili che esso potenzialmente contiene. O forse i marciapiedi di asfalto saranno sepolti sotto nuovi strati di chissà quale altro materiale, sperabilmente meno prodigo, ed allora i futuri archeologi vi troveranno incastrati, come gli insetti del pliocene nell'ambra, i tappi corona della Coca Cola e gli anellini a strappo della birra in lattine, ricavandone dati sulla qualità e quantità delle nostre scelte alimentari. Si ripeterà cosí il fenomeno che ai nostri occhi ha reso interessanti, e quindi nobili, i Kökkenmöddingen, quelle collinette fatte esclusivamente di gusci di molluschi, lische di pesce ed ossa di gabbiano che gli archeologi d'oggi scavano sulle coste della Danimarca; erano mucchi di rifiuti che crebbero lentamente, a partire da circa settemila anni fa, intorno a miseri villaggi di pescatori, ed ora sono fossili illustri. I marciapiedi piú vecchi e piú tipici sono invece fatti di lastroni di pietra dura, pazientemente sgrossata e scalpellata a mano. Il grado del loro logorio ne consente una grossolana datazione: le lastre piú antiche sono lisce e lucide, lavorate dai passi di generazioni di pedoni, ed hanno assunto l'aspetto e la patina calda delle rocce alpine levigate dal mostruoso attrito dei ghiacciai. Dove la roccia schistosa era percorsa da una vena di quarzo, che è molto piú duro della sua matrice, essa è venuta a sporgere, talvolta in misura fastidiosa per i passanti dai piedi teneri. Dove invece l'attrito è stato minore o nullo, si distingue ancora la ruvidezza originaria della pietra, e spesso i singoli colpi di scalpello: questo si vede bene lungo i muri, per una distanza di un palmo, e particolarmente bene sul lastricato che sta davanti al Palazzo Carignano (...) È stato assai piú intenso il logorio del marmo, che è un materiale meno resistente: molte soglie di vecchie botteghe sono di marmo, e nel giro di pochi decenni soltanto si sono infossate profondamente. (...)
Primo Levi, dal volume “L’altrui mestiere”, il racconto “Segni sulla pietra” (ed. Einaudi 1985)
Le immagini: il primo fumetto è Cattivik, di Silver e Bonvi (molto divertente, risale al 1965 e spero che sia ancora in circolazione); il secondo fumetto è di Jack Teagle; gli arnesi per calafatare le imbarcazioni vengono da un catalogo on line (il nome si può leggere ingrandendo l'immagine); la foto di Pitch Lake a Trinidad viene da un sito on line dedicato allo stato caraibico.
Una Notte a New York - Christy Hall
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