Un mondo senza guerre: è mai esistito qualcosa di simile?
Se lo era chiesto l’archeologa Maria Gimbutas, stanca di trovare sempre nei suoi scavi quasi soltanto armi e corazze, imperiali e belle, sì, ma sempre quelle. Questa civiltà è esistita veramente: cercando meglio, sono stati trovati molti insediamenti, vere e proprie città, che non avevano traccia né di guerre né di combattimenti. Non c’erano fortificazioni; non c’erano fortezze; le uniche armi rinvenute erano quelle necessarie per la caccia, le uniche mura di cui c’era traccia erano recinti costruiti per evitare le incursioni di animali selvaggi. Dunque, un tempo senza guerre era veramente esistito.
Marija Gimbutas, nata in Lituania e poi diventata cittadina americana, è vissuta fra il 1921 e il 1994; suoi sono alcuni fra gli studi più importanti sulle civiltà preistoriche. Quando mi è capitato di parlare di Maria Gimbutas e delle sue osservazioni, ho incontrato spesso ironia e scetticismo; che aumentano quando si nominano i Kurgan, il nome che diede al popolo delle steppe che invase la pacifica Europa neolitica. Il nome dei Kurgan fa tanto “Star Trek”, bisogna convenirne; ma io ho imparato a conoscere la Gimbutas attraverso alcune conferenze trasmesse dalla tv svizzera negli anni ’90, e posso assicurare che il suo aspetto era tranquillo e rassicurante, l’aspetto e il modo di parlare di una persona seria e affidabile. E, del resto, basta ragionarci sopra un po’ per capire che aveva ragione: nei tempi di cui si parla, l’Europa era quasi disabitata, le vie di comunicazione erano inesistenti, e potevano passare molte generazioni prima che una tribù ne incontrasse un’altra diversa. Ci saranno stati sicuramente i reati comuni che vediamo ancora oggi, furti e omicidi, e magari anche dei tribunali; ma non le guerre, non ancora. La violenza, e la guerra, sarebbero arrivate da fuori: molto probabilmente, stando ai reperti rinvenuti dagli archeologi, una popolazione che arrivava dall’est. I Kurgan, per l’appunto. Maria Gimbutas collegava queste civiltà pacifiche al matriarcato, e al culto della Dea Madre del quale abbiamo numerose prove nelle civiltà europee. L’ipotesi è affascinante e ha molti appigli dal punto di vista scientifico, ma io qui mi fermo per non appesantire troppo questo post; mi accontento di aver posto la questione, perché è sempre bene parlare di queste cose. Un mondo senza guerre è possibile, e non solo nel matriarcato: in questa parte d'Europa viviamo in pace da più di sessant’anni, l’impegno è di continuare sulla strada iniziata dai nostri padri. Non sarà facile, ma l’unica strada giusta è questa: un mondo civile è un mondo senza guerre.
Ovidio, da Le Metamorfosi, libro I
...forse la giovane terra, da poco separata dall'alto etere, conservava in sé il seme del celeste parente: allora il figlio di Giapeto prese un po' di questa terra, la mescolò all'acqua piovana e la plasmò a immagine degli dei che tutto governano. Mentre gli altri animali guardano proni alla terra, l'uomo ebbe in dono un viso rivolto verso l'alto e il suo sguardo mira al cielo e si leva verso le stelle. Fu così che la terra, fino ad allora rozza e informe, fu volta ad assumere figure umane mai prima conosciute. Per prima fiorì l'età dell'oro che, senza alcun controllo e senza bisogno di leggi, spontaneamente, rispettava la fedeltà e la giustizia. Non esisteva la paura delle punizioni né si leggevano incise nel bronzo formule minacciose: la gente non era costretta a supplicare, nel timore del verdetto di un giudice, perché non aveva bisogno di chi garantisse la sua sicurezza. I pini non erano stati ancora recisi dai loro monti e trascinati sulle onde del mare per andare alla scoperta di terre straniere: gli uomini non conoscevano altri lidi oltre i propri. Le città non erano ancora cinte da scoscesi fossati; non esistevano trombe, né forgiate diritte nel bronzo, né ricurve a forma di corno; non c'erano elmi o spade: ignorando l'arte militare, la gente viveva senza preoccupazioni in un blando clima di pace. La terra poi, libera da costrizioni, non lavorata dal rastrello o ferita dall'aratro, produceva tutto spontaneamente; gli uomini, accontentandosi dei cibi che crescevano senza bisogno di coltura, raccoglievano i corbezzoli, le fra gole selvatiche, le corniole e le more tra le spine dei roveti, nonché le ghiande che cadevano dall'ampia chioma dell'albero di Giove. Regnava un'eterna primavera: i placidi Zefiri dal soffio tiepido accarezzavano i fiori sbocciati spontaneamente; e subito dopo la terra produceva anche le messi senza essere stata arata; i campi, senza bisogno di riposarsi, biondeggiavano di spighe colme; scorrevano fiumi di latte e di nettare; biondo miele stillava dal verde leccio. Quando Saturno fu confinato tra le tenebre del Tartaro e Giove assunse il comando del mondo, alla stirpe aurea subentrò quella argentea, di valore inferiore alla precedente ma superiore a quella dell'età del bronzo. Giove abbreviò il tempo dell'antica primavera e divise l'anno in quattro stagioni, cioè un inverno, un'estate, un instabile autunno e una fugace primavera. Allora per la prima volta l'aria, bruciata dall'ardore della canicola, diventò incandescente e per la prima volta apparvero stalattiti di ghiaccio modellate dai venti. Allora per la prima volta gli uomini andarono alla ricerca di un riparo: le loro case erano caverne e densi cespugli e capanne di verghe intrecciate. Allora si cominciò a tracciare i solchi e a nascondervi la semente del grano e i giovenchi gemettero oppressi dal peso del giogo. All'argentea successe la stirpe di bronzo, d'indole più feroce e più incline all'uso funesto delle armi, tuttavia non scellerata. L'ultima stirpe fu coniata nel duro ferro. E subito, nell'era di quel metallo deteriore, fece irruzione ogni tipo di empietà: mentre il pudore, la verità e la fede fuggivano, al loro posto subentrarono la frode, l'inganno, l'insidia, la violenza e la turpe avarizia. Il navigante si diede a sciogliere le vele ai venti senza ben conoscerli e le navi, fatte di alberi cresciuti sui monti, si lanciarono a sfidare i flutti ignoti; la terra, che prima era proprietà di tutti come il sole e l'aria, fu misurata e delimitata con lunghi solchi dall’uomo, divenuto sospettoso; ad essa non si chiese più soltanto di produrre a profusione le messi e gli alimenti consueti, ma la si penetrò fin nelle viscere per estrarne quelle ricchezze che in sè nascondeva nei luoghi più remoti, vicino all’ombra dello Stige – ricchezze che sono stimolo al male. Ormai erano venuti alla luce il ferro e l’oro, del ferro ancor più nocivo; e fece la sua comparsa la Guerra (...)
Ovidio, da Le Metamorfosi, libro I (pagine 51-53 ed. BUR Rizzoli, traduzione di Giovanna Faranda Villa)
PS: i libri di Maria Gimbutas pubblicati in Italia sono questi: I Baltici (ed. Il Saggiatore, 1967), Il linguaggio della Dea – Mito e culto della Dea Madre nell’Europa Neolitica (Longanesi, 1990) e Le dee viventi (Medusa 2005), dal quale ho tratto queste informazioni. La trasmissione tv di queste conferenze di Marija Gimbutas (sottotitolate) è probabilmente reperibile sul sito della Televisione Svizzera Italiana; ne metto qui sotto due fermo immagine. Nelle altre immagini, la famosa Dormiente di Malta (neolitica) e una spada rinvenuta a Neuchatel e risalente al 60 a.C.
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4 commenti:
C'era un'altra popolazione senza guerre, che pero' non ha nulla a che fare con l'Europa ed erano gli aborigeni australiani, prima di essere sterminati dai bianchi. In questo caso nessun legame con la "Dea Madre". Erano un popolo nomade, senza proprietà personali (tutto apparteneva agli dei del "tempo dei sogni")e con armi che servivano solo per la caccia. E con una straordinaria tradizione di conoscenza del loro territorio attraverso i canti.
Ho viaggiato spesso in Australia, dove vive parte della nostra famiglia, e per questo mi sono interessata alla storia degli aborigeni.
E pensare che i primi coloni austrialiani li consideravano come animali...E, invece, noi civilizzati Europei...
"i più grandi architetti del mondo" (ma come, se non hanno costruito niente? appunto...)
mi ha molto colpito rileggere l'inizio delle Metamorfosi, c'è tutto il male in divenire, la proprietà privata, lo spreco, la devastazione del territorio
studi affascinanti, ma purtroppo sconosciuti:)
sì, e purtroppo se si comincia a parlarne saltano fuori un'infinità di luoghi comuni e di strumentalizzazioni, oppure le risatine di cui parlo nel testo.
La reazione comune è comunque una faccia sbalordita, come a dire "questo qui è matto".
:-)
il testo di Ovidio è quasi una profezia sul nostro presente, quando parla dell'estrazione delle materie prime dalla Terra: è anche l'inizio dell'Oro del Reno di Wagner, e somiglia alla profezia Hopi che si legge in Koyaanisqatsi.
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