martedì 21 aprile 2020

Macbeth con Michael Redgrave

Un pomeriggio ci portarono a teatro, il Re Lear di Michael Redgrave, papà di Vanessa che era allora bambina. Capivo l’inglese di Shakespeare un po’ meglio di quello corrente, ma sempre poco. L’impressione principale fu di una rappresentazione della filodrammatica dei pompieri. Gli attori avevano indosso delle palandrane, delle cappe mimetiche di tela cerata, e cappelli da vigili del fuoco. A un certo punto uno dei vigili cavava gli occhi a un collega.
Tutto sembrava molto goffo, mi riusciva incredibile che la gente potesse non dico apprezzare ma anche solo prendere sul serio questa versione del dramma, questa parodia. Avevo un’idea (come sempre, in parte immaginaria ma che a suo tempo si rivelò vicinissima al vero) della sovrumana grandezza dei testi di Shakespeare, e mi pareva assurda la pretesa di rappresentarli in forme corporee. Sturbare quello sgorgo di quasi comprensibili versi immortali, farne una piccola sagra di gente con le barbe finte, con strane parrucche, o (peggio) col ciuffo dei propri capelli devastato dai tipici tagli inglesi da dopoguerra, specie sopra la coppa... Affidarsi a voci, alcune roche, alcune nasali, a corpi non tutti molto belli o almeno molto brutti: e poi vestire il grande Re a quel modo, quando non era in camicia, in divisa da Vigilanza Notturna!
Luigi Meneghello, Il dispatrio pag20 ed. BUR 2007

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