Mio padre era andato a vedere una partita di calcio a Parma, e si divertiva ogni tanto a raccontare che i tifosi locali insultavano l’arbitro dicendogli “marlùss”, merluzzo. Non so bene a che periodo si riferisse, forse agli anni ’50, io ero molto piccolo e lui già ne parlava al passato.
L’epiteto era davvero bizzarro, e anch’io mi divertivo a sentirlo raccontare: dato che mia mamma è di Parma, la parola mi suonava familiare e buffa allo stesso tempo. Erano i tempi in cui il massimo della volgarità e della violenza erano del tipo “arbitro cornuto”, tempi felici (ma allora non lo si sapeva) che sarebbero durati a lungo, fino a tutti gli anni ’70. Per intenderci: il mondo del calcio aveva mantenuto una sua innocenza anche nel mezzo degli anni ’70, anni di bombe e di depistaggi, di terrorismo e rapimenti di persona, non certo anni tranquilli. Poi, da un certo momento, è cambiato tutto; e non so quanti sono oggi i padri che se la sentono di portare i bambini allo stadio. Magari ce li portano, ma con molta preoccupazione.
Come siamo arrivati a questo punto? Difficile dirlo, forse un po’ alla volta, sottovalutando i problemi, come capita sempre. Ma, di sicuro, c’è stato chi ha giocato duro, con il tifo calcistico.
Dai miei ricordi, si è cominciato negli anni ’80, con il grido “devi morire” rivolto ai calciatori in campo, quelli che avevano preso una botta e si rotolavano dal dolore; e non tutti facevano finta, le botte sulle caviglie fanno male – dura un attimo, ma è un male boia. “Devi morire” era una battuta da caserma: lo dicevano i “vecchi” (cioè quelli che erano lì da un anno, di leva) alle reclute appena arrivate. Forse in caserma queste battute avevano un senso (ne dubito), certo allo stadio erano brutte da sentire.
Poi anche il “devi morire” non è bastato più, si è passati all’apparentemente innocuo “chi non salta piripiri è” (piripiri sta per il colore della maglia dell’avversario), si è passati all’ostentazione di teschi e di simboli nazifascisti (ignorando che sono simboli di sconfitta, gli slogan mussoliniani portano una sfiga tremenda), poi alcuni politici improvvisati hanno parlato di “discesa in campo” e di “fare squadra” (la loro unica cultura essendo quella calcistica), poi si è passati alle bande organizzate... Tutto questo è stato tollerato, spesso anzi coltivato con cura, mentre gli addetti ai lavori continuavano a parlarne come di bande di giovinastri esuberanti o di hooligans: gli hooligans c’erano in Inghilterra, ma rispetto ai nostri c’era quantomeno una spiegazione, se non un’attenuante: quando commettevano delle violenze erano sempre ubriachi persi.
La strada che si sta seguendo oggi, negli ultimi mesi, è questa: la “tessera del tifoso” (qui managers e ministri vengono tutti dal marketing, il rimedio per tutti i mali è sempre una tesserina magnetica: ma negli stadi le telecamere esistono da quarant’anni, identificare i violenti e isolarli non sarebbe difficile), si parla di “fidelizzazione”, eccetera. Nelle ultime settimane, inoltre, si è decisa una grande novità, cioè che le partite si giocheranno spalmate per tutta la settimana; e io mi chiedo, come si fa a stare dietro al calcio se devi ricordarti ogni volta in che giorno gioca la tua squadra? Il calendarietto settimanale se lo faranno solo loro, gli ultras; i lavoratori, gli studenti e i padri di famiglia hanno altro a cui pensare. Forse è proprio questo che si vuole, gli stadi vuoti in mano agli ultras organizzati. Un mondo del calcio solo televisivo, con tanti abbonati “fidelizzati” che se ne stanno a casa a giocare con le loro brave carte magnetiche prepagate.
Non so, ogni tanto passano anche in tv i vecchi film degli anni ’60, dove magari c’è Gassman che fa il tifoso: i giovinastri esuberanti erano più o meno così, c’era già qualcuno che faceva a cazzotti e che aspettava l’arbitro alla fine della partita, e non era bello ma è senz’altro meno bello come si fa oggi.
Ripenso spesso a quel racconto di mio padre (grande appassionato di calcio, ma non tifoso), e ho una grande nostalgia dei “marlùss” e degli arbitri cornuti. Per quanto mi riguarda, sarei intervenuto subito. Io mi sono fermato molto prima, ai “devi morire”; gridare queste cose a un ragazzo di vent’anni è già ben oltre la mia personale sensibilità, ma ormai questi miei discorsi non hanno nessuna utilità pratica, il mondo è andato da un’altra parte. Che dire? Io avevo votato contro...
Life History of the Forget-me-not
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