giovedì 22 dicembre 2011

Il libro delle macchine ( II )

Che la si consideri dal punto di vista dei creazionisti (la Genesi, la nascita di Adamo) o dal punto di vista scientifico, la vita nasce sempre da qualcosa di inerte, di inanimato: un sasso, il fango di una pozzanghera, queste cose qui. Difficile pensare, guardando in una pozzanghera, che anche noi veniamo da lì: eppure è successo. Ci sono voluti miliardi di anni, ma adesso ci siamo. Difficile anche trovare una pozzanghera, adesso che ci penso: ormai ci sono solo buche nell’asfalto, qui intorno, ed è ancora più difficile pensare alla vita che nasce da una buca nell’asfalto. Eppure...

Samuel Butler, da “Erewhon“:
Poi, tornando alla coscienza, e tentando di scoprirne le prime manifestazioni, l'autore prosegue:
«Esiste una pianta che si nutre di materie organiche per mezzo dei propri fiori; quando una mosca si posa sul calice i petali si chiudono e la rinserrano finché la pianta non l'ha divorata e assimilata; ma quegli stessi petali imprigionano soltanto ciò che può nutrirli. Di una goccia di pioggia o di una scheggia di legno non fanno alcun caso. Curioso: una cosa tanto incosciente sa distinguere tanto bene il proprio utile! Se questa è incoscienza dov'è che c'è la coscienza? Dovremmo dire che la pianta non sa quello che sta facendo semplicemente perché non ha occhi, orecchi e cervello? Se diciamo che agisce meccanicamente, e solo meccanicamente, non saremmo costretti ad ammettere che anche molte altre azioni, apparentemente deliberate, sono meccaniche? Se a noi sembra che la pianta uccida o mangi la mosca meccanicamente, perché alla pianta non può sembrare che l'uomo uccida e mangi meccanicamente l'agnello? Ma si potrà dire che la pianta è priva di ragione, perché la sua crescita è involontaria. In determinate circostanze ambientali della terra, dell'aria, e a una certa temperatura, la pianta deve crescere: è come un orologio, che una volta caricato continua a funzionare finché non si esaurisce la carica o non viene arrestato da cause esterne; è come la nave, che quando il vento soffia e gonfia le vele è costretta a solcare il mare. Ma un ragazzo sano può forse fare a meno di crescere, quando mangia, beve, ed è ben coperto? Esiste qualcosa che può fare a meno di procedere finché dura la propria carica, o di fermarsi quando essa si esaurisce? Non scorgiamo in ogni cosa una molla, come nell'orologio? Persino una patata in una cantina buia possiede una sua bassa astuzia che sfrutta a dovere. Conosce perfettamente il suo scopo, e come realizzarlo. Sente la luce entrare dalla finestra e protende verso di lei i suoi germogli; eccoli strisciare raso terra, arrampicarsi su, lungo il muro, fino al davanzale, e fuori della finestra. Se da qualche parte lungo il percorso, c'è un po' di terra, la pianta riesce a rintracciarla e ad adoperarla per i suoi fini. Quali attente riflessioni essa faccia una volta piantata nella terra per dirigere le sue radici, lo ignoriamo, ma possiamo immaginarla tutta intenta a ragionare più o meno così: "Metterò un tubero in questo punto e un altro un poco più in là, in modo da assorbire ciò che mi serve fra quanto mi circonda. Questa pianta vicina la soffocherò con la mia ombra, e quest'altra la scalzerò alle radici; e ciò che potrò fare sarà il limite di ciò che farò. Chi è più forte di me ed è meglio situato mi vincerà, mentre chi è più debole io lo vincerò". La patata esprime tutto ciò nel farlo. Non è forse questo il migliore dei linguaggi? Che cos'è la coscienza se questa non è coscienza? Non ci riesce facile simpatizzare con le emozioni di una patata o con quelle di un'ostrica, perché la patata non fa chiasso quando la lessano, come non fa chiasso l'ostrica quando viene aperta: mentre nulla per noi è più eloquente del chiasso; ne facciamo tanto sulle nostre sofferenze! E siccome ostriche e patate non ci infastidiscono con manifestazioni di dolore, pretendiamo che non sentano nulla. Ed effettivamente non sentono nulla dal punto di vista del genere umano: ma il genere umano non è tutto. Se poi qualcuno obietta che l'azione della patata è soltanto chimica e meccanica, e dovuta agli effetti chimici e meccanici della luce e del calore, bisognerebbe chiedere, per tutta risposta, se ogni sensazione non è forse un processo chimico e meccanico; se le cose che noi riteniamo puramente spirituali non sono forse mutamenti di equilibrio in una serie infinita di leve, a partire da quelle troppo piccole per essere visibili al microscopio fino ad arrivare al braccio dell'uomo e agli strumenti di cui si serve. Chi ci dice che non esista un movimento molecolare del pensiero da cui si può dedurre una teoria dinamica delle passioni? In altre parole, non dovremmo chiederci di quali specie di leve è composto un uomo invece di domandarci quale sia il suo carattere? In quale equilibrio sono quelle leve? Quanto di questo e di quello ci vorrà per farle funzionare e spingerle a fare così e così?».
L'autore proseguiva dicendo che verrà un tempo in cui, esaminando con un potente microscopio anche un solo capello, sarà possibile accertarsi se colui a cui quel capello apparteneva può venire insultato impunemente. Poi il testo diveniva sempre più oscuro, al punto che rinunciai a tentare di tradurlo, perché non riuscivo a seguire il filo dei suoi ragionamenti. Quando, proseguendo la lettura, trovai nuovamente un passaggio intelligibile, mi accorsi che aveva cambiato tattica (...)
(Samuel Butler, da “Erewhon“, ed. Adelphi, trad. Lucia Drudi Demby, pag.172 e seguenti)
(continua)

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