Un’altra cosa importante che devo a Gianni Brera è l’aver capito la differenza tra vedere le partite in tv e allo stadio. E’ una cosa che avrei capito e apprezzato bene solo una decina d’anni dopo, non andando allo stadio ma a teatro (il Piccolo Teatro, le ultime stagioni di Strehler) e ai concerti, e all’opera. La tv non è una cosa vera, la partita la si capisce solo allo stadio.
L’articolo di Brera che mi aveva fatto capire questa cosa riguardava la Nazionale: Brera aveva dato solo la sufficienza a Gianni Rivera, ed era stato subissato non solo di critiche, ma anche di lettere offese e di telefonate arrabbiate da parte dei tifosi. Brera lo aveva spiegato così: “io ho visto la partita allo stadio, gli offesi avevano visto la partita alla tv. Alla tv si vede un giocatore solo quando lo inquadra la telecamera; bastano due tocchi ben fatti e fai un figurone”. Ma allo stadio si vede tutto, puoi guardare dove vuoi, come a teatro. E, guardando dove vuoi, puoi seguire bene i movimenti dei giocatori. E’ solo allo stadio che si capisce il valore di un giocatore.
Ancora oggi, molti giornalisti di professione che passano per esperti danno del brocco al difensore centrale che sbaglia un intervento, stupendosi poi di ritrovarlo l’anno dopo a giocare da campione; ma se i difensori sono in difficoltà e fanno figure da brocchi, spesso la colpa è di chi sta davanti, dei centrocampisti che non fanno filtro. E qui ricordo un altro articolo di Brera, quando diede un otto in pagella a Romeo Benetti, che al contrario di Rivera aveva contro critica e tifosi. Erano le stesse ragioni che lo avevano spinto a dare un voto scarso a Rivera in un’altra partita: Benetti era dappertutto, non aveva sbagliato un passaggio. Ancora oggi, capita di vedere che un centrocampista o un esterno prendono voti bassi e giudizi del tipo “poco brillante, si è visto poco, poco appariscente”: è probabile che si tratti di una consegna precisa dell’allenatore, tenere la posizione.
Ma, alla tv, tutto questo non si vede: alla tv non sei tu che comandi, sei costretto a seguire la telecamera, e vedi solo quel che vuole la cabina di regia. Un discorso che vale anche per la politica, per internet, per twitter e per facebook: più hai la possibilità di alzare la testa e guardarti intorno liberamente, e meglio potrai capire. Non è detto che funzioni sempre, ma è una buona cosa averne la possibilità.
Brera è rimasto famoso per gli epiteti e i soprannomi, ancora oggi citatissimi. I più famosi sono sicuramente “Rombo di Tuono” per Riva e “abatino” per Rivera: Rivera era un grandissimo campione ma era piuttosto esile di costituzione, un po’ come è oggi Pirlo, e Brera diceva che gli sembrava un pretino dell’oratorio, più che un calciatore professionista (cosa che non gli fu mai perdonata dai tifosi). E’ il caso di ricordare che in molti paesi, come in Francia, “abate” è sinonimo di prete: lo era anche da noi ai tempi di Casanova, nel ‘700, poi il significato è cambiato. Questa dell’abatino è una battuta che molti non hanno ancora capito, nemmeno dopo cinquant’anni.
Facile da capire, per chi ha visto giocare il grande Cagliari che vinse lo scudetto, è invece il soprannome dato a Gigi Riva (scritto quasi sempre “Giggirriva”, secondo la pronuncia sarda), che non era un fine palleggiatore alla Maradona ma era un attaccante molto potente e preciso, un cannone da caricare, un rombo di tuono quando calciava in porta. A Brera piaceva molto Riva, era uno dei suoi calciatori preferiti.
Altri soprannomi meno famosi: “Massinissa” per il centravanti sardo Virdis, che si offese molto ritenendolo un insulto; a Brera toccò spiegare che Massinissa fu re di Numidia, alleato di Roma contro Cartagine, grande guerriero. Il soprannome veniva dall’aspetto di Virdis, che sembrava davvero un guerriero fenicio; ma Virdis all’epoca era solo un ragazzo di diciott’anni.
Altre polemiche per “macellarin” Rocca, velocissimo difensore della Roma e della Nazionale: gli ricordava un garzone di quelli di una volta, che andavano sempre svelti, ma fu dura spiegare che nemmeno questo era un insulto. Molto più criptico “immibimbo”, che era Sergio Gori: figlio di un oste toscano che aveva un’eccellente trattoria a Milano, molto amico di Brera, è la trascrizione volutamente buffa del modo in cui il padre del calciatore (altro protagonista dello scudetto del Cagliari) parlava di suo figlio, “il mio bimbo”.Con Brera si imparava sempre qualcosa: per esempio l’etimologia cognome Baresi, curioso per un bresciano doc: indica la barra del biroccio, quello che sta alla barra. Un cognome che deriva da un mestiere, dunque, come moltissimi altri sia da noi che all’estero (Wagner, wagoner, ha quasi la stessa etimologia).
Il lato negativo di Brera l’ho visto soprattutto nelle sue ultime esibizioni su piccole tv private, dove andava visibilmente di malavoglia. Veniva da pensare che il calcio non fosse il principale interesse della sua vita, e forse non lo era davvero mai stato. Gli dava da vivere, questo sì, e anche bene; ma dopo un po’ scrivere o parlare di calcio dà noia, o quantomeno così accade alle persone normali. Penso che fosse così anche per Brera, che in quelle ormai antiche trasmissioni (Brera è morto nel 1992) lasciava spesso di sasso lo sponsor durante le interruzioni pubblicitarie, infischiandosene del fatto di essere in onda (“parla per tì, che se no sembra che mi ma se vestissi in dalla XXXXX”) (non metto il nome della ditta per evitare querele). Oppure quando diceva che in Nazionale doveva giocare Casiraghi, non perché fosse un bravo centravanti (lo era) ma perchè “l’è vun di noster”. O magari “diglielo tu al cameramen di non inquadrarmi quando devo soffiarmi il naso che se gh’el disi mi capiss minga” (esegue in diretta, rumorosamente). Ma tutte queste cose qui gliele perdonavo, e anzi questo aspetto da showman più o meno volontario, davanti all’esterrefatto ed educatissimo maestro Vantellini (musicista e suo amico personale), erano uno spettacolo a sè, ancora meglio delle sue disquisizioni tecnico-tattiche.
Brera aveva poi delle autentiche “fisse”, come il fatto che Facchetti dovesse giocare centravanti: date le sue teorie sulla razza (gli italiani e i padani soprattutto erano una razza fisicamente inferiore) trovandosi fra le mani un bergamasco alto un metro e novanta gli sembrava uno spreco farlo giocare terzino; ma Facchetti era velocissimo, ed erano ancora gli anni in cui i grandi sprinter erano piccoli e scattanti, come Mennea e Berruti, e non degli armadi “alla Facchetti” come sarebbe successo in seguito.
L’erede di Brera oggi è probabilmente Gianni Mura, come lui molto colto e amante della buona tavola; non certo gli imitatori permalosi, rossi in volto e sbraitanti, che di Brera hanno preso il lato peggiore. Un po’ come quelli che si credono eredi di Montanelli per il fatto di scrivere nei titoli parole come “Cretinetti”. André Deed, francese, da noi ribattezzato Cretinetti, fu un comico molto popolare negli anni ’10 del Novecento, agli inizi del cinema; Montanelli poteva ben ricordarselo, ma il fatto di essere magri e calvi o magari con la chioma fluente ma magri ed eleganti all’inglese, e citare termini che usava Montanelli, non significa affatto somigliare a lui. Pochi ci fanno caso.
Ed infine, il ricorrere volentieri a termini come padano, padania, pianura padana: per uno nato a Pavia, mi sembra una cosa normale, la deriva politica del termine Padania sarebbe arrivata solo quando Brera era già morto. Essere padani non è affatto una cosa negativa, e mi piacerebbe che si ricominciasse a parlare della Lombardia come di una terra aperta e accogliente; e poi lui scriveva sempre che i padani sono piccoli e brutti, incapaci di competere con la gente del Nord, e questo mi sembra l’esatto opposto del razzismo e del nazionalismo. Cosa esaltava Brera di lombardo, di padano? Il buon vino, la buona tavola, la convivialità. Ma qui da noi hanno cementificato e asfaltato dappertutto, tra poco il buon vino sarà solo un ricordo lontano.
Biografia, da www.wikipedia.it
Laureatosi in scienze politiche all'università di Pavia nel 1943, mentre prestava servizio come tenente paracadutista della Divisione Folgore, si rifugiò poi in Svizzera nel 1944 per sfuggire alla Gestapo, che ne sospettava la contiguità con la lotta partigiana. Rientrato in Italia, si unì alla Resistenza in Val d'Ossola, grazie all'intervento del senatore Maffi e di Giulio Seniga, che garantì per lui, salvandogli la vita. Come aiutante di campo della brigata Comoli, facente parte della Divisione Garibaldi Redi, fu l'autore del piano che sventò la distruzione per minamento del traforo del Sempione. Brera si gloriò sempre di aver attraversato tutto il periodo della Seconda guerra mondiale, da paracadutista e da partigiano, senza aver mai sparato ad un altro essere umano.
Tornato alla vita civile, nel 1945 fu chiamato da Bruno Roghi alla Gazzetta dello Sport, il più importante quotidiano sportivo italiano, testata della quale diverrà direttore nel 1949, il più giovane nella storia del giornalismo italiano, dopo un fortunato reportage dal Tour de France di quell'anno.
Sposatosi nel 1943 con Rina Gramegna (1920-2000), ne ebbe quattro figli: Franco (n. e m. 1944), Carlo (pittore, 1946-1994), Paolo (scrittore, n. 1949), Franco (musicista, n. 1951).
Tra le numerose testate su cui Gianni Brera scrisse, vi sono, oltre alla citata Gazzetta, Il Giorno, Il Giornale, il Guerin Sportivo e la Repubblica. I suoi articoli sono stati tradotti in diverse lingue. Si devono a Brera anche numerosi libri: manuali, saggi, romanzi, racconti e pièce teatrali e radiofoniche. Il suo romanzo più celebre fu indubbiamente Il corpo della ragassa che nel 1978 venne adattato per il cinema da Alberto Lattuada e diretto da Pasquale Festa Campanile.Comparve a lungo in televisione nelle trasmissioni "Il processo del lunedì" e "L'Accademia di Brera" (per l'emittente Telelombardia).
Nel 1956, quando Giulio Seniga ruppe con il Partito Comunista Italiano per i fatti d'Ungheria, si rifugiò a casa di Gianni Brera portando in una valigia un milione di dollari che rappresentavano il finanziamento dell'Unione Sovietica al Pci. Seniga utilizzò poi il denaro per l'attività politica, fondando in Svizzera la casa editrice "Azione Comune" che diresse riconoscendo a sé stesso solo uno stipendio da operaio.
Brera fu candidato alle elezioni al Parlamento nella circoscrizione di Milano-Pavia in due occasioni, con il Partito Socialista e con il Partito Radicale. Morì il 19 dicembre 1992 in un incidente automobilistico sulla strada che collega Codogno a Casalpusterlengo. Nel 2003 l'Arena Civica di Milano fu reintitolata a suo nome. Sulla tomba di Gianni Brera a San Zenone al Po ogni mese viene depositato come omaggio un sigaro toscano. (...)
Vivere in pace – Luigi Zampa
19 ore fa
6 commenti:
Bellissimo questo ricordo di Gianni Brera.Non ho la tua cultura calcistica, ma da bambina e ragazzina ho avuto un'autentica cotta per Gigi Riva, che mi sembrava bello come un dio greco o un gladiatore( il solo paragone mi ha fatto appassionare alla storia greca e romana)."Rombo di tuono" era una definizione che mi piaceva e qualche articolo di Brera me lo sono letto anch'io.
mi è uscito un po' lungo...
:-)
ho dovuto dividerlo in due parti, però io mi ci sono divertito!
al pallone sono sempre stato negato, mio padre invece era bravo e anche competente, e soprattutto non era tifoso.
Giggirriva ha 68 anni e credo che se Gianni Brera fosse vivo se ne racconterebbero di cose.
io ho visto solo questa partita allo stadio S.Elia: "...Quindici giorni dopo il Milan era atteso a Cagliari per un confronto senz'appello. Sull'1-1 l'arbitro Michelotti aveva decretato un rigore sul filo del regolamento. Riva aveva fatto 2-1 e il Milan si era congedato dalla corsa per lo scudetto. Nello spogliatoio Rivera aveva profferito una filippica savonarolesca contro i burattinai e i burattini del pallone, contro le manovre e i verdetti precostituiti. Il suo obiettivo erano Franchi, Carraro, il designatore degli arbitri Campanati, Lo Bello e la Juve. L'Italia si era spaccata in due. Qualche giornale per avvalorare la denuncia di Rivera pubblicò una foto di Michelotti con la tuta da meccanico nella sua officina di Parma. Sulla tuta campeggiava la scritta Fiat..."
chissà cosa ne aveva scritto Gianni Brera...
il Cagliari era un evento, mi viene da usare le parole di Grazia qui sopra: qualcosa di bello, di epico. Le vittorie del Verona e della Samp sono state molto diverse, ma erano cose che succedevano. Da un quarto di secolo questi miracoli sono diventati impossibili, cioè da quando è arrivato Sisakì e ha cominciato a raddoppiare e triplicare gli ingaggi, rendendo impossibile la competizione per le squadre normali. E questo è il grande male del calcio, che si è ripercosso fino alle serie minori...
L'altra grande differenza, a parte la legalizzazione delle scommesse (che addirittura sponsorizzano la serie B) è che i ragazzi non hanno più i prati su cui giocare. Adesso, a parte qualche fortunato, serve il papà che ti porti in macchina al campo.
penso che Brera oggi si sarebbe schifato del football (non più fòlber, ahinoi) e farebbe un po' come Gianni Mura, cercando ogni occasione per parlare d'altro. O, più probabilmente, si sarebbe chiuso in casa con un sigaro e una bottiglia di barbera, e qualcosa di buono da mangiare.
Io leggevo Brera sul Guerin Sportivo, che a quei tempi era un settimanale che usciva il martedì.
Lo compravo perché le cronache erano scritte in modo assai divertente, del tutto diverso da quelle tradizionali. E poi c'erano le pagelle, che si trovavano solo lì.
Ho letto sia Naso bugiardo sia il Corpo della ragassa, sono due discreti romanzi, a mio parere.
A Brera devo due aneddoti che mi hanno fatto morire dalle risate e suo tempo.
Il primo riguarda il grande Cagliari.
Raccontava che una notte Scopigno entrò all'improvviso nella stanza di Gori, nella quale stavano giocando a poker Riva, Domenghini e, mi pare, Greatti (che io amavo particolarmente, perché era l'unico che conoscessi che si chiamva come papà, Ricciotti). Scopigno non battè ciglio e chiese: Dà fastidio se fumo? Sì, perché oltretutto fumavano tutti come turchi!
L'altro riguarda Rosato, stopper del Milan, che era noto più per il suo temperamento che per la tecnica (un po' come certi tenori...). Rocco gli disse: Ora vai in campo e prendi a calci tutto quello che si muove, se pigli la palla pazienza!
Bei tempi, sotto ogni punto di vista.
Ciao Giuliano.
Non che fosse particolarmente bello o simpatico, o che si fosse sempre d'accordo, ma Brera era unico: e lo intendo nel senso che quelli della sua età erano davvero unici, ognuno era matto ma matto a suo modo e non come gli diceva la tv o la moda
:-)
di persone uniche ne ho viste e conosciute tante, penso che sia successo anche a te. Il mondo era bello anche per quello. Aggiungerei una cosa, perché non sembri un discorso tra vecchi: sul lavoro ho trovato tante persone (dell'età di Brera, e dintorni) che mi hanno aiutato. Capita ancora?
Una cosa che ho notato è che tutti i giornalisti sportivi che hanno lavorato con Brera ne parlano bene, e questo è davvero bello.
(non mi avevi mai detto del nome da garibaldino di tuo papà! non ne avevamo mai parlato, strano)
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