La realtà del laboratorio chimico, al di là delle spettacolarizzazioni del cinema, è stata descritta soprattutto da Primo Levi, che su questi ambienti ha scritto racconti meravigliosi. Chi non sa niente di chimica difficilmente riesce a capire quanto sia stato grande il Dottor Primo Levi come scrittore. E’ una cosa che mi dispiace moltissimo, ma la Chimica è un terreno ostico per tutti i diplomati del liceo classico, che sono la maggioranza assoluta tra i critici letterari: quelli che in questi casi abbandonano la lettura dopo le prime tre righe ma per contratto parlano anche dei libri che non hanno letto. Purtroppo, anche molti lettori seguono il loro esempio.
Riporto qui un breve brano tratto da “Il sistema periodico”, raccomandando la lettura del racconto per intero, perché è bellissimo, profondo e divertente. Da allora sono passati sessant’anni, oggi gli archivi sono quasi tutti computerizzati, ma vi posso assicurare che i coloranti continuano a macchiare le dita, che la glicerina è sempre appiccicosa, e che l’olio di pesce continua a puzzare di pesce (serve per preparare gli ingrassi per il cuoio: borsette e scarpe ne escono meravigliosamente morbide, ma l’odore è difficile da eliminare).
Il giovane dottor Levi, neolaureato assunto in una ditta di vernici, sta cercando di recuperare una produzione andata a male e ammassata in gran quantità nei magazzini; per riuscire nell’impresa, come un investigatore, deve andare a scavare nel passato...
(...) Del resto, cominciavo a sentire intorno a me ed al mio lavoro una curiosità canzonatoria e malevola: chi era questo ultimo venuto, questo pivello a 7000 lire al mese, questo scribacchino maniaco che disturbava le notti della, foresteria scrivendo a macchina chissà che, per intrigarsi degli errori passati e lavare i panni sporchi di una generazione? Ebbi perfino il sospetto che il compito che mi era stato assegnato avesse avuto lo scopo segreto di condurmi ad inciampare contro qualcosa o qualcuno (...) Non mi fu difficile procurarmi, oltre alle PAN, anche le altrettanto inviolabili PDC, Prescrizioni di Collaudo: in un cassetto del laboratorio c'era un pacchetto di schede bisunte, scritte a macchina e piú volte corrette a mano, ognuna delle quali conteneva il modo di eseguire il controllo di una determinata materia prima. La scheda del Blu di Prussia era macchiettata di blu, quella della Glicerina era appiccicosa, e quella dell'Olio di Pesce puzzava di acciughe. Estrassi la scheda del cromato, che per il lungo uso era diventata color dell'aurora, e la lessi con attenzione. Era tutto abbastanza sensato, e conforme alle non lontane nozioni scolastiche: solo un punto mi apparve strano. Avvenuta la disgregazione del pigmento, si prescriveva di aggiungere 23 gocce di un certo reattivo: ora, una goccia non è una unità cosí definita da sopportare un cosí definito coefficiente numerico; e poi, a conti fatti, la dose prescritta era assurdamente elevata: avrebbe allagato l'analisi, conducendo in ogni caso ad un risultato conforme alla specifica. Guardai il rovescio della scheda: portava la data dell'ultima revisione, 4 gennaio 1944; l'atto di nascita del primo lotto impolmonito era del 22 febbraio successivo.
A questo punto si cominciava a vedere la luce. In un archivio polveroso trovai la raccolta delle PDC in disuso, ed ecco, l'edizione precedente della scheda del cromato portava l'indicazione di aggiungere « 2 o 3» gocce, e non « 23»: la «o» fondamentale era mezza cancellata, e nella trascrizione successiva era andata perduta. (..)
(Primo Levi, “Cromo”, da “Il sistema periodico”, edizione Einaudi)
PS: La foto sorridente di Primo Levi è del 1979, la consegna del Premio Strega per “La chiave a stella”, presa dal Venerdì di Repubblica qualche anno fa; l’altra immagine qui sopra rappresenta uno dei grandi miti della fotografia, un mito anche perché si tratta di qualcosa che è ormai praticamente estinto: il primo scatto del rullino, quello che non si sa mai se viene e perciò si fa alla prima cosa che capita.
(continua)
giovedì 19 aprile 2012
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