martedì 17 aprile 2012

Ul

“El mé marì l’è de Ulm”, disse la moglie di Einstein – o forse avrebbe potuto dirlo, dato che Albert Einstein era nato a Ulm, nel 1879, e visse a Milano per un paio d’anni, da ragazzo (in via Bigli 21, ci dovrebbe essere ancora una lapide). Se invece Einstein fosse stato comasco, invece che milanese, la moglie avrebbe potuto dire “Ul mé marì l’è de Ulm”, una frase che farebbe la delizia degli enigmisti: e questo perché a Como e dintorni l’articolo il diventa inesorabilmente “ul”, mentre a Milano se diseva “el”, e in altre parti della Lombardia si salta direttamente la vocale e si dice ‘l mé marì. O, quantomeno, così capitava quando la gente parlava ancora in dialetto; oggi sarebbe tutto da verificare. C’è ancora qualcuno che parla il suo dialetto natale, ma ogni paese aveva il suo proprio dialetto, spesso diversissimo da quello del paese confinante, e quasi sempre durissimo e incomprensibile per chi veniva da fuori: e quel “venir da fuori” si riferisce, per l’appunto, a chi abitava nel paese confinante, meno di cinque minuti camminando di buon passo. E’ così un po’ in tutta Italia, dal Nord al Sud, da Est a Ovest; e chi parla di “dialetto lombardo” o di “lingua lombarda” (idem con il napoletano, o con il sardo) dimostra solo di non sapere nemmeno di cosa si sta parlando. Le sorprese, quando si parla di dialetti, sono molte: l’Italia è stata per millenni zona di passaggio, e ricordo, en passant, che il bergamasco è diversissimo sia dagli altri dialetti lombardi che da quelli veneti, che esistono zone in cui si parla l’albanese antico (in Sicilia, in Puglia, e altrove), che Guardia Piemontese è in Calabria (già il nome spiega molte cose), e che fino a non molti anni fa c’era un paese, mi pare in Friuli, dove si parlava qualcosa di molto simile al russo: purtroppo non me ne ricordo il nome, ma dato che era un posto isolato, in montagna, si ipotizzava qualche gruppo di soldati che, tra Ottocento e Settecento, stufo di far guerre, si fosse ritirato qui senza più esser ritrovato.
A questo proposito, mio fratello mi ha raccontato che a metà degli anni ’70 si era trovato a parlare di queste cose con un ingegnere tedesco, un tecnico di computer (a quei tempi, tecnologia all’avanguardia), che gli aveva raccontato di essere rimasto colpito dal dialetto dei comaschi: con tutti quegli “ul” e tutti quei suoni gutturali, gli pareva di essere finito in mezzo ai turchi di Berlino. Ci potrebbe essere una spiegazione per questa cosa: gli esperti, etnologi e linguisti, consigliano di porre attenzione ai nomi dei paesi sul Lago di Como: Onno, Nesso, Lenno, tutti nomi greci. Altri studiosi hanno notato l’alta percentuale di capelli ricci e crespi tra gli abitanti di quelle parti, non immigrati ma proprio indigeni da generazioni; e ci si è ricordati che ai tempi dell’Impero Romano (quindi, duemila anni fa) furono mandati da queste parti molti coloni di origine greca, o magari della zona che oggi corrisponde alla Turchia. Più avanti negli anni, i genetisti hanno avanzato l’ipotesi che lo stesso tipo di aspetto fisico e di capigliatura, o simili, si trovi in Inghilterra per lo stesso motivo: “truppe romane”, si dice comunemente, ma molti soldati “romani” erano in realtà di origine africana, o mediterranea nel senso più vasto. Dato che questa immigrazione risale a duemila anni fa, o magari anche di più, è più che naturale che se ne sia persa la memoria.
Concludendo, o provando a concludere per oggi, ricordo che a metà anni ’80 si cominciarono a stampare dalle mie parti dei calendari “in comasco”: virgolette d’obbligo, perché il dialetto comasco non esiste, esistono invece “i” dialetti comaschi (per noi comaschi vicini a Milano, il tremezzino di Davide Van de Sfroos è quasi una lingua straniera). Su quel calendario, invece di scrivere i nomi dei santi c’era scritto l’articolo “il”, come si fa in famiglia: il Giuseppe, il Francesco, eccetera. Trattandosi comunque di dialetto comasco, ne risultava una fila verticale di “ul” davvero impressionante: ul Giüsepp, ul Francesch, ul Mansuett, ul Carlo, ul Costantìn, e per fortuna ogni tanto anche l’Ernèst, l’Enrico, la Caterina, la Teresa, la Carla. Rimane da riportare il nome di quel calendario, volutamente antico: Ul tacuin, cioè “il taccuino”.
(le immagini vengono da vecchi numeri del "Corriere della Sera", l'articolo era sul "Venerdì di Repubblica": facendo clic si legge bene tutto, o almeno lo spero)

8 commenti:

Grazia ha detto...

Che belle queste storie di dialetti! .C'è la falsa idea che in Toscana, da dove vengo, non ci siano dialetti, ma solo il vernacolo. Non è vero: niente di più diverso tra livornese e pisano, per esempio. Basta leggere
" Il veracoliere" per rendersene conto.
E,intanto, grazie a te, su Einstein so qualcosa di più.
Grazie

Giuliano ha detto...

c'era tanta bella gente, qui in Lombardia! ma noi figli e nipoti non ne siamo stati all'altezza, né nel senso del lavoro né nel senso della cultura.
La Toscana è la patria della lingua italiana, questo lo sappiamo tutti; anni fa però avevo un'amica di Grosseto, qualcosa ne so
:-)

NoceMoscata ha detto...

Cercherò di abbassare notevolmente il livello culturale della discussione, dicendovi che Ulm, è una delle definizioni da tre lettere,preferite da Bartezzaghi padre, nei cruciverba della Settimana Enigmistica. Se so che Einstein nacque a Ulm, è solo grazie alle parole crociate :D

Giuliano ha detto...

un commento tra i più belli che mi siano mai arrivati, danke schoen!
:-)
adesso bisogna trovare qualcosa anche su Princeton, o su Zurigo, ma non sarà facile!

NoceMoscata ha detto...

L'è dura! :D

Giuliano ha detto...

..ma sarai mica una Bartezzaghi anche tu?
:-)
(si può provare con Zürich, così è più vicina al dialetto milanese)

NoceMoscata ha detto...

nessuna parentela, solo un bagno molto grande con pile di settimane enigmistiche per tutta la famiglia :D

Giuliano ha detto...

la settimana enigmistica è molto più di un giornale di giochi e cruciverba, ancora oggi è un giornale molto ben fatto.