venerdì 20 aprile 2012

La chimica al cinema ( III )

L’immagine tipica del laboratorio chimico, al cinema e nell’immaginario comune, è associata ad esplosioni, vapori, fumi bianchi, scienziati pazzi coi capelli dritti sulla testa. In un laboratorio vero, vapori e fumi vanno sempre sotto cappa; le esplosioni sono un fatto accidentale, il pericolo esiste ma si tratta più o meno delle stesse cose che possono succedere in cucina: vi si è mai rotto un vaso in pyrex, o in ceramica? Il latte che trabocca, o l’olio che schizza fuori dalla pentola: ecco che cosa può succedere, più o meno, in un laboratorio chimico normale. Alle volte neanche questo, perché in molti laboratori, ormai, ci sono strumenti che fanno tutto da soli: basta mettere un po’ di campione, dare l’avvio, e poi c’è la schermata che spiega cosa succede. Oltretutto, anche in chimica, come nei negozi di elettronica, gli strumenti sono ormai diventati indistiguibili l’uno dall’altro: se rimangono spenti, un vassoio per le paste e un tablet di ultimissima generazione sono praticamente identici, e la stessa cosa capita ormai anche con gascromatografi e spettrometri, che a prima vista appaiono tutti come scatole o scatoloni metallici di forme più o meno variabili.
Non c’è niente di spettacolare in un laboratorio chimico, dunque: non è un gran che come colpo di scena, lo capisco benissimo e non vorrei che lo spettatore comune ne rimanesse troppo deluso, perciò provo a spiegare che cosa sono tutte quelle cose che si vedono comunemente nei film dove c’è un laboratorio chimico.
Di solito, si tratta di refrigeranti. In chimica, il refrigerante è un tubo di vetro dove scorre l’acqua, acqua normale di rubinetto che serve a raffreddare i vapori durante una distillazione, o per far ricadere il solvente ed evitare la calcinazione. Il tubo di vetro ha due camere interne, ben distinte: nella parte più esterna scorre l’acqua che raffredda i vapori, nella camera interna ci sono i vapori prodotti dal riscaldamento del campione.
Serve quindi un fornello, a gas o elettrico; sul fornello va il recipiente (magari un matraccio, per chi è affezionato ai termini tecnici: un pallone di vetro pyrex molto resistente), sul recipiente si innesta il tubo refrigerante, mediante apposito raccordo. Roba da idraulici, insomma, se non fosse per il dettaglio che è tutto di vetro: infatti il vetro è inerte, non si corrode (il vetro si corrode solo con l’acido fluoridrico, che non è un reagente di uso comune) e si pulisce meglio del metallo. Nella distillazione della grappa, come è noto, si usano anche tubi metallici: ma qui si parla di laboratorio e in laboratorio i tubi metallici sono poco usati, proprio perché il metallo si può corrodere; non si corrode con l’alcool della grappa e dei liquori, ma con altri reagenti sì.
I refrigeranti possono essere di diversi tipi, e prendono il nome dai chimici che li hanno inventati: nomi più o meno famosi, Liebig, Ahlin, Dimroth, Soxhlet, Davies...I nomi non se li ricorda quasi nessuno, e di solito vengono utili solo quando bisogna comperare dei tubi refrigeranti; in questi casi, si consulta il catalogo della ditta che fornisce la vetreria, si confrontano le figure, si apprende con stupore che quel coso lì l’ha inventato Liebig (lo stesso del dado, proprio lui?) e poi siccome è una nozione che non serve a niente (niente di pratico, però a me piace saperlo) lo si dimentica immediatamente, fino a che qualche analista distratto non ne spacca uno di troppo (di solito sono i raccordi che saltano), e allora bisogna rifare l’ordine, tornare a consultare il catalogo, tornare a stupirsi che quel coso si chiami così (chi l’avrebbe mai detto), eccetera eccetera. Insomma, per farla breve, noi chimici di solito diciamo: il refrigerante a bolle, quello diritto, quello a serpentino. E pazienza per i signori che se li sono inventati, ma così va il mondo.
(qui sotto, un piccolo campionario che ho messo insieme a partire da un vecchio catalogo di strumenti per laboratorio).
Un discorso a parte si merita il Soxhlet, che si usa per i solidi: in questo caso, più che di distillazione si parla di “estrazione”. Parente stretto del Soxhlet è il Kipp, ma sul Kipp (che non è un refrigerante) ho molti ricordi personali e magari ne parlerò più avanti in separata sede.
La prima immagine in alto, che viene da http://www.wikipedia.it/  (dove la voce “distillazione” è scritta in maniera comprensibile a tutti) rappresenta un alambicco sette-ottocentesco, che mostra come si faceva prima dell’invenzione dei tubi refrigeranti; nella seconda immagine, presa da un libro di scuola, c’è lo schema della distillazione come si fa in laboratorio (le parti colorate in rosso e in arancione rappresentano i tappi di raccordo e i tubi che vanno al lavandino, entrambi in gomma, che sono proprio di quel colore lì). Il cartoon è della Walt Disney, anno 1957, titolo “Mars and beyond”; Mr. Spock di Star Trek appare in una suggestiva immagine che ho preso da qualche parte su internet, ma se siete arrivati a leggere fin qui non vi farà nessuna impressione perché avrete ormai molta confidenza con i refrigeranti a serpentino.
Infine, un’immagine pubblicitaria della ditta Sportmax, risalente a una dozzina d’anni fa, che porto qui non tanto per la bellezza della ragazza (notevole) e per l’eleganza dell’abito (notevole anch’esso, ma con una modella così qualsiasi cosa apparirebbe bella), quanto per il fatto che da dodici anni mi sto chiedendo se la costruzione alla nostra sinistra sia uno scherzo o se abbia un qualche senso pratico. Data la presenza delle pompette di gomma, e in quella posizione, propendo per la prima ipotesi; ma in fin dei conti la mia esperienza come chimico di laboratorio è molto limitata, chissà mai, può darsi.
(continua)

2 commenti:

Grazia ha detto...

Ho fatto il liceo classico e ho studiato lettere classiche all'università. La chimica per me è una terra incognita, ma i tuoi post mi piacciono tantissimo( e sono un'accanita lettrice di Primo Levi). Che io abbia sbagliato tutto nella vita?

Giuliano ha detto...

ciao Grazia! a me dalla chimica, purtroppo, mi hanno fatto fuori...è una storia lunga, magari un giorno la porto qui.
Tengo a ripetere, ogni tanto, che io non sono un esperto, ma mi sono accorto che c'è molta gente che ne sa meno di me, e se qualcuno mi legge volentieri sono contento.
Cerco di tenere un tono colloquiale, i miei modelli (inarrivabili) sono Primo Levi, Italo Calvino (Le cosmicomiche, Ti con zero...), Oliver Sacks (Zio Tungsteno, un libro bellissimo che parla di chimica).
Domani o dopo ne metto un altro simile, parlo degli imbuti separatori: ce ne sono un paio a fianco della ragazza della Sportmax
:-)