sabato 1 maggio 2010

Futura umanità

L'amico Solimano, nell'ormai lontano 2003, aveva letto alcuni miei racconti autobiografici relativi alla mia esperienza in fabbrica, e mi aveva incoraggiato a scriverne altri, che furono pubblicati su un blog (legato al movimento dei girotondini, per chi se li ricorda...) che oggi non esiste più.
In effetti, a quel tempo ci credevo ancora: credevo che fosse possibile fermare la deriva spaventosa presa dal mondo del lavoro, che fosse possibile parlare, ragionare, come si era sempre fatto. Non era possibile, invece: e anch'io lo sapevo da tempo ma non volevo credere a quello che avevo già toccato con mano.

Nell'occasione del Primo Maggio ripubblico perciò, con tristezza, il racconto che segna il momento in cui mi resi conto che la battaglia per continuare ad avere un mondo del lavoro accettabile era perduta. I lavoratori avevano abdicato da tempo, per loro le priorità erano altre.
Spero che nessuno si offenda: è un fatto vero, di per sè insignificante, ma soprattutto non è di calcio che sto parlando ed eventuali commenti che si riferiscano al football saranno cestinati.
Cronache di fabbrica, n.39
Devo essere in fabbrica per le 22, ma come al solito, arrivo mezz’ora prima. Non è una mia prerogativa: lo fanno tutti, per antica e sana consuetudine. Si arriva presto, così il collega che sta finendo il turno ha il tempo di tirare un po’ il fiato, di prepararsi per le consegne, magari anche di andare a fare la doccia prima di tornare a casa. La mattina dopo, il collega renderà il favore, e così via. Beh, non lo fanno proprio tutti: le pecore nere ci sono, non manca mai chi se ne approfitta – ma questo è un altro discorso.
Dunque, sono le 21:40 e sono già in laboratorio, pronto per mettermi a lavorare. Ma i miei due giovani colleghi sono distratti: è una sera di maggio del 1998, e c’è la finale di Coppa dei Campioni. I due hanno portato un piccolo televisore, lo hanno sistemato in bagno e lo stanno guardando con attenzione e partecipazione: la partita è Real Madrid-Juventus, a me non interessa molto ma a loro sì. C’è una cosa che non torna: lo juventino sono io, i miei due colleghi sono interisti...
Sono ormai le 22:10, ma i miei due colleghi non se ne vanno. Sono ancora lì, a “gufare”; ogni tanto il più giovane dei due esce dal cesso (pardon, spogliatoio) e mi fa dei gestacci, soprattutto quando lo jugoslavo Mijatovic segna un gol per il Real Madrid. Rifletto, intanto che vado avanti con il lavoro: il minore dei due interisti ha 22 anni, abita a quindici minuti da qui, fossi in lui me ne andrei a casa, o al bar, o meglio ancora a morosa. Il maggiore ha 31 anni, è sposato, ha una moglie giovane e bella e abita anche lui a dieci minuti da qui: cosa ci sta a fare, a quest’ora, vicino al cesso, a sbirciare in un televisore così piccolo?
E ora veniamo alle mie colpe: avendo a che fare con persone più giovani di me, quando la Juve ha sconfitto l’Inter, una ventina di giorni fa, avevo ritenuto opportuno ricordare alcune cose fondamentali nello sport, e cioè – per esempio – che le partite durano 90 minuti, che l’Inter perdeva a dieci minuti dalla fine, che non ci si può appoggiare ad un rigore dato o non dato, che l’Inter schierava Ronaldo e Zamorano e che la difesa della Juve era fatta da giocatori logori o mediocri, a parte Ciro Ferrara: ma, niente, ne avevo ricavato solo una serie di insulti che stasera sto riascoltando in sequenza e con varianti, e con gestacci irripetibili rivolti alla mia persona. Adesso io non sono più l’amico e collega con cui tanto si andava d’accordo, così disponibile a cambiare turni quando serve, sempre loro alleato nei problemi di lavoro, eccetera: sono solo un perfido gobbo juventino come tanti altri. Il che, secondo me, non giustifica il fatto che loro due siano ancora chiusi qui dentro, alle 22:40, invece di andare a casa o a morosa.
Ben mi sta, così imparo ancora qualcosa della vita, all’alba dei 40 anni: così sono fatti gli operai, purtroppo, e dovevo ancora impararlo. Altre sorprese mi sarebbero arrivate negli anni successivi, e anche se sono sempre rimasto amico dei miei colleghi, da allora ho quasi smesso di parlare di calcio e anche di interessarmene. Purtroppo, del calcio non si può fare a meno, non in un ambiente quasi completamente maschile.
Quando finalmente se ne vanno, ormai verso le 23, mi siedo e penso: penso al ‘68, all’autunno caldo, alle grandi manifestazioni che hanno portato allo Statuto dei Lavoratori. Forse non ce lo meritiamo, forse hanno ragione i padroni che chiedono di ricontrattare tutto, forse – se queste sono le nuove leve della fabbrica - abbiamo dato troppe cose per scontate, democrazia compresa.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"abbiamo dato troppe cose per scontate", hai la risposta!
Bisogna spegnere i televisori e ritornare a guardarci in faccia fidandoci di più l'uno dell'altro, con umiltà, altrimenti non resta che la guerra tra poveri o l'isolamento dei frustrati

Giuliano ha detto...

Questo è l'elettorato in cui ha pescato la Lega. Negli altri blog dove ho scritto, i commenti a cose come questa erano del genere "ma guarda che due cretini", e simili: ma non si tratta di due cretini, chi fa queste osservazioni non conosce il mondo. E purtroppo la nostra classe dirigente è fatta di persone che vivono in salotti e ambienti chiusi, non capiscono. Perfino un'espressione orribile, come quella di Berlusconi su Eluana Englaro "che potrebbe anche avere dei figli" o quelle sul "vincere e vinceremo", in un elettorato così fa presa: e sono tanti, tantissimi. Lui, Berlusconi, lo sa. E lo so anch'io, ed è una cosa che mi angoscia.