lunedì 12 dicembre 2011

Cellofan

Siamo così abituati a chiamare “cellofan” qualsiasi pellicola trasparente che ci siamo quasi dimenticati di che cos’è veramente il cellofan (o cellophane). Penso che molti ignorino completamente il significato di questa parola, e anch’io l’altro giorno mi sono accorto di aver scritto impropriamemente “cellofan” in uno di questi post, ma non intendevo affatto scrivere cellofan – appena mi ricordo di dove l’ho scritto vado a correggere.
Mia mamma dice addirittura “carta”, e intende la pellicola trasparente, che è quasi sempre polietilene (il pvc è stato vietato per gli usi alimentari): ma se serve per avvolgere qualcosa è carta, si tratta un riflesso condizionato del tutto naturale. Ho pensato più volte di correggerla, ma la cosa in sè non mi dispiace, e poi nel contesto usato si capisce subito cosa si intende; e in fin dei conti, e ragionando da chimico, dire “carta” intendendo il cellofan non è poi così sbagliato. A patto che sia veramente cellofan, e non polietilene o un’altra materia plastica più recente.

Il cellofan è infatti un derivato della cellulosa delle piante, esattamente come la carta: è una delle primissime materie plastiche, però artificiale e non di sintesi. Le materie plastiche sintetiche nascono infatti molto più tardi, e vengono commercializzate all’inizio degli anni Sessanta: più o meno cinquant’anni fa. Il polietilene o polipropilene che usiamo normalmente per avvolgere i cibi è un’invenzione degli anni '50 che ha portato al Premio Nobel per la Chimica un chimico italiano, Giulio Natta: nel 1963, per la scoperta della “polimerizzazione stereospecifica” (premiato insieme a K. Ziegler).  Ma parlare di questo porterebbe ad allargare troppo il discorso, perciò torno subito al cellofan; che http://www.wikipedia.it/  descrive così: «Il cellophane o cellofan è una pellicola sottile e trasparente costituita da idrato di cellulosa. È un materiale molto usato per imballaggi e confezioni alimentari in quanto è resistente all'aria, all'acqua e non viene intaccato da microorganismi. Fu inventato nel 1908 da Jacques Edwin Brandenberger (1872-1954), un ingegnere chimico svizzero. Il termine cellophane, che è diventato un termine di uso comune, fu creato da Brandenberger dall'unione delle parole "cellulosa" e "diaphane" (diafano, che lascia passare la luce e permette di vedere attraverso esso). Il procedimento di fabbricazione consiste nel far passare della viscosa attraverso una sottile fessura posta in un bagno di acido: la viscosa si trasforma in un film di cellulosa. In modo analogo facendo passare la viscosa entro piccoli fori si possono ottenere dei lunghi fili di fibre artificiali come il rayon.
La produzione industriale di cellophane è iniziata attorno al 1920 e continua ancora ai giorni nostri, in quanto viene utilizzato, oltre che per gli imballaggi alimentari, anche per ottenere membrane semipermeabili (usate in campo medico per le dialisi) o nastri adesivi. In particolare, nel 1929, il conte Paolo Orsi Mangelli fondò, a Forlì, con capitali in parte suoi ed in parte di investitori esteri, la prima ditta italiana per la produzione di cellophane. Tuttavia negli ultimi anni il cellophane è stato sostituito in alcuni utilizzi dal polipropilene orientato, meno costoso.»
Si può aggiungere che per “viscosa” si intende la pasta di cellulosa (dal legno) lavorata e pronta per essere filata, da cui si ottiene il filato del rayon viscosa, una fibra artificiale simile al cotone che oggi non è più usata così tanto come in passato, ma che mantiene comunque una sua importanza.

Giusto per curiosità, si può ricordare ancora la celluloide: le pellicole fotografiche e per il cinema hanno anch’esse la stessa origine vegetale. La capacità di produrre un supporto trasparente è dunque fondamentale; supporti simili si possono ottenere facilmente anche con altri mezzi naturali e non solo con il legno, per esempio con il formaggio fuso (dalla caseina si possono produrre anche fibre tessili, come il lanital degli anni ’30); diventa però difficile farne un uso industriale perché queste pellicole sono molto fragili. Piuttosto fragile, e infiammabile, era anche la cellulosa (nitrato di cellulosa) usata per le pellicole cinematografiche fino agli anni '30 e poi sostituita dall'acetato di cellulosa.
A proposito di infiammabilità (ma bisogna starci attenti) per riconoscere la cellulosa se ne può bruciare un pezzettino: brucia esattamente come la carta, con lo stesso odore e le stesse ceneri di un foglio di quaderno. Quando andavo a scuola e me lo avevano spiegato, tanti anni fa, avevo provato con l’involucro trasparente di un pacchetto di sigarette di mio padre: bruciava esattamente come la carta – però non saprei dire con cosa vengono avvolti oggi i pacchetti di sigarette, ed è più che probabile che bruciando la pellicola trasparente si ottenga invece la caratteristica puzza della plastica bruciata, e che la pellicola si arricci e si annerisca invece di lasciare le ceneri. Meglio lasciar perdere, fino agli anni Settanta il cellofan si trovava dappertutto, ma oggi è ormai diventato una rarità.
PS: sulla grafia di cellofan, o cellophane, ognuno si senta libero di fare le sue osservazioni. A me stanno bene tutte e due anche se preferisco la prima (e infatti l’ho messa nel titolo); però a dirla tutta mi piacerebbe chiamarlo “cellofant”, con la t finale ben evidenziata. Qui dalle mie parti, a nord di Milano, i più vecchi dicevano (e dicono ancora) tutti così, “cellofant”; e io alle parole dei miei vecchi sono molto affezionato. Anzi, magari, già che ci sono, propongo questa grafia: celofant, con una elle sola. Così siamo molto vicini alla pronuncia effettiva: per me era e rimarrà sempre celofant, anche se purtroppo non posso scriverlo se no poi chi mi capisce.

4 commenti:

Sergio Palazzi ha detto...

Un momento, l'acetato di cellulosa è una cosa, il nitrato un altra. Il nitrato era la base della celluloide, oggi ancora usato metonimicamente per "cinema" e con cui si facevano le montature degli occhiali imitazione tartaruga. E' scomparso da decenni perchè spontaneamente infiammabile.
Moltissimi film e archivi fotografici sono andati letteralmente in fumo...

Anche se gli ottici chiamano ancora "celluloide" certe montature, in realtà o sono di acetato o sintetiche. L'acetato È invece il materiale con cui si fanno le pellicole fotografiche e cinematografiche attuali (e W sempre la fotografia chimica!), la marchiatura "safety film" allude proprio alla sua maggiore stabilità, anche se purtroppo brucia abbastanza bene e in certe condizione negli archivi è soggetto a idrolisi autocatalitica ("malattia dell'aceto").

Il PET ("poliestere") per certi versi è superiore e in molti casi ha sostituito l'acetato, ma ha dei limiti di tipo ottico.

Giuliano ha detto...

Sergio, questo non è un saggio universitario... scrivo queste cose solo perchè c'è molta gente che non conosce nemmeno il significato di queste parole. E anche per ricordarmi che cos'è la chimica, e per riprendere in mano almeno un po' i libri.

Giuliano ha detto...

e comunque sia, ho sbagliato l'anno del Nobel a Natta! Era il '63, non il '58. Almeno questo potevi segnalarmelo...
ciao Sergio
:-)

Giuliano ha detto...

per rimanere in tema: leggo oggi una recensione a un libro sul cinema, c'è scritto che il nitrato d'argento è altamente infiammabile. Taccio sui nomi di chi l'ha scritto, una è una persona che stimo, ma in privato posso anche dirli...