martedì 12 maggio 2020

Le Balcon al Piccolo Teatro

Di Jean Genet ignoravo perfino il nome, e dopo aver visto "Le balcon" al Piccolo Teatro non me ne sarei mai più interessato. Quel giorno, il 27 febbraio 1977, ero stato cooptato da un amico di mio fratello: "vuoi venire anche tu?". Avrei preferito che mi avessero invitato prima, magari per un Brecht (c'era stata in cartellone "L'opera da tre soldi"), ma non ero mai stato al Piccolo Teatro e ho detto subito di sì. Il testo, risalente agli anni '50, era stato molto discusso: l'azione si svolge in un bordello e molte scene erano piuttosto esplicite. L'allestimento di Strehler era bello, ma c'erano state critiche negative sui giornali e anche qualche fischio alla prima rappresentazione, che aveva fatto scalpore perché di regola al Piccolo c'erano solo applausi.
Franco Quadri, su Repubblica, ne scriveva così:
Nelle parole di Genet, Le balcon è «la glorificazione dell'Immagine e del Riflesso». Tutto quanto vi si vede rappresentato non vive infatti di luce propria ma è dimensionato da una serie di riferimenti. Il bordello in cui si svolge l'azione è una casa di illusioni, forse il teatro stesso: rinasce qui lo schema di una società autoritaria attraverso dei piccoli figuranti che arrivano alla soddisfazione rivestendosi delle maschere del potere, giocando i ruoli del vescovo, del magistrato, del generale. Da fuori intanto giungono le urla di una rivoluzione che divampa (ma tutte le apparizioni dei rivoluzionari sono state tagliate nella edizione di Strehler): là all'ordine partorito dall'immaginazione si contrappone una ricerca di valori autentici. In uno spettacolo che prende alla lettera le indicazioni più esplicite del testo, proponendosi di chiarificare quanto l'autore aveva velato di voluta ambiguità, e di liberare dal dubbio e dal fremito irrazionale questa sagra del travestitismo e del teatro nel teatro, anche il gioco dei riflessi diventa esteriore: si condensa cioè nella scatola scenica di Luciano Damiani, complesso apparato a più strati di pareti verticali od oblique, di pilastri, di soffitti, sempre ugualmente di specchio. Le immagini così si moltiplicano, ma per restare segni nitidi, asettici, di un paradigma tecnologico lontano dal polveroso scorrere di paraventi delle molte segrete del casino: sfilano tette e culi nudi, plastica e cuoio, fruste e bicipiti, ma impaginati per benino secondo la grafica di Crepax piuttosto che aderendo allo spirito laido del mondo sfatto di Genet. Assieme al gusto della profanazione è scomparso anche il ritualismo, riassunto nella scultorea durezza dei costumi raffinatamente intagliati da Damiani per delineare le simbologie del potere, inghiottendo l'umanità dei personaggi che rivestono. (...)

Strehler si era risentito molto per il risalto dato ai fischi (pochi, ci teneva a precisare) da un quotidiano del pomeriggio che aveva fatto un titolo scandalistico (penso che fosse "La Notte": all'epoca era l'unico quotidiano che usciva nel pomeriggio a Milano) e sul Corriere della Sera uscì un articolo (a firma D.R., probabilmente Donata Righetti) dove Strehler diceva di voler conoscere le ragioni di quei fischi. Uno dei "fischiatori" rispose, con una lettera molto dettagliata:
Corriere della Sera, 1977, lettera di Giovanni Curti:
« Le Balcon »: perché di un fischio
Milano. Allora, visto che, contro ogni mia intenzione, la cosa ha fatto notizia, vorrei soddisfare la curiosità di Strehler: io sono una delle tre o quattro persone che, in occasione della prima di Le Balcon al Piccolo Teatro, ha espresso il suo dissenso con qualche fischio (oh, leggero, appena a fior di labbra, che diamine!). Un dissenso di cui peraltro mi sono immediatamente pentito non appena ho potato accorgermi che, per contrasto, gli applausi (oh, davvero fiacchi e appena cordiali fin lì) crescevano d'intensità aggiungendosi a qualche voce che gridava il suo "bravo" non senza una punta d'isterismo. Comunque, dicevo, io ho fischiato. Non so chi altri lo abbia fatto, ma per quanto mi riguarda posso dire che sono uno studente universitario, pendolare, militante della sinistra, e che ho fischiato perché, a mio avviso, si tratta di uno spettacolo sostanzialmente mancato. Sarebbe troppo lungo elencare qui tutte le ragioni di un dissenso, ma alcune voglio indicarle: 1) Genet non tollera alcun bagliore di speranza, alcuna "prospettiva"; 2) il "pirandellismo" di Genet è solo apparente: in realtà nulla gli è più estraneo della dialettica essere-parere intesa in senso pirandelliano; a tratti, invece, l'altra sera pareva di assistere a un allestimento pirandelliano fatto dalla Compagnia dei Giovani. 3) l'espediente della scena tutta a specchi è terribilmente datato (anni '60): lo so anch'io che Genet richiede gli specchi, ma non è una buona ragione per recitarlo in una cornice che purtroppo richiama in modo eccessivo il night club della metà degli anni '60. 4) mi domando se la cosiddetta lettura "totale e oggettiva" di un testo significhi la sua riproposizione neutra, acritica; non nego che i personaggi siano stati visti in maniera critica, ma purtroppo la mia impressione è che non si sia andati al di là di una dimensione satirica. La verità è che il testo stesso è chiaramente datato e che la proposizione dei suoi significati universali non dovrebbe tralasciare di sottolinearne la parziale caducità; 5) tutta la caratterizzazione dei personaggi è di maniera, come se si trattasse di realizzare la consueta e consunta satira del piccolo borghese; 6) le trovate della regia sono molte, ed è proprio qui il punto, secondo me: non essendo poeticamente risolte, restano delle "trovate". 7) la distribuzione dei ruoli non mi ha convinto: non sono un critico e non mi è quindi consentito muovere rilievi personali, però almeno tre ruoli importanti (due donne e un uomo) erano stati affidati a tre attori (ineccepibili in altre occasioni) qui visibilmente a disagio. E poi, via, i fischi qualche volta sono salutari.
Strehler in un intervento successivo (molto lungo, tre colonne molto fitte) accettò le critiche, pur sottolineando che si trattava di un dissenso di poche persone, facendo una breve storia delle contestazioni e delle difficoltà avute nei trent'anni di storia del Piccolo Teatro (trent'anni, dal 1947 al 1977). Strehler teneva soprattutto a ribadire che il pubblico del suo teatro non era certo inerte e succube come qualcuno voleva suggerire, e quindi dava il benvenuto anche ai dissensi purché propositivi. Da parte mia, dopo lo spettacolo e dopo aver letto questi interventi ero andato in biblioteca (a Como) e mi ero portato a casa il testo originale di "Le Balcon": Franco Quadri aveva ragione, Strehler aveva tagliato parti fondamentali per capire il testo. Aveva ragione anche il "contestatore" Curti, ma intanto io mi ero appassionato al lavoro di Strehler, sia pure con uno spettacolo sbagliato (succede) e da allora sarei diventato uno spettatore assiduo, non solo per Strehler. Di Jean Genet, come dicevo all'inizio, non mi sarei invece mai più occupato: di sicuro Genet non scriveva per me.
 
Di quello spettacolo, rileggendo ciò che avevo messo da parte e pensando ai quarant'anni che sono passati, mi porto dentro il ricordo di un periodo in cui il teatro faceva parte della vita quotidiana, quando di teatro si scriveva sui giornali con grande spazio, spazio del tutto sparito da almeno un quarto di secolo, da quando Vittorio Feltri sul Giornale licenziò di fatto i critici teatrali, poi imitato più o meno in sordina da tutti gli altri quotidiani. Oggi non c'è quasi più critica, non solo teatrale ma anche musicale, cinematografica, letteraria: ci sono brevi note degli uffici stampa, o poco più. Il pubblico latita, tranne che in poche occasioni; e il colpo inferto in questo 2020 dal "lockdown" è molto probabilmente di quelli micidiali. Ripartirà, il teatro, ma dal basso.
Il cast dello spettacolo: Anna Proclemer, Tino Carraro, Renzo Ricci, Renato De Carmine, Giulia Lazzarini, Franco Graziosi, Enzo Tarascio, Anna Saia, Erika Blanc, Maristella Greco, Elena Croce, Alan Steel, Armando Benetti. Le scene e i costumi sono di Luciano Damiani e le musiche di Fiorenzo Carpi. E' stato l'ultimo ruolo recitato in teatro da Renzo Ricci, uno dei più grandi attori del Novecento italiano.
 


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