venerdì 29 maggio 2020

Verzéte

In italiano si dice "apri", qui dalle mie parti, tra Milano e il confine svizzero si dice "derva", e dalle parti di mia mamma a Parma "apri" diventa "vira". In Veneto invece si dice "verzi", non con la zeta di Zorro ma con un suono intermedio tra esse e zeta; penso che siano tutte varianti di una stessa radice che io non saprei indicare, ma lascio volentieri la questione agli esperti anche perché "verzi" oggi mi serve soltanto per raccontare una storiella che conosco fin da bambino e che per molto tempo non ho ben capito. La storiella la raccontava mia nonna, quella veneta, la nonna paterna, ed è quella presente un po' in tutte le raccolte di fiabe, la storia dello stupido che fa un po' di fortuna ma sempre stupido rimane. La storia per intero non la conosco, purtroppo, ma ne ho qualche frammento: il giovane elegante e urbanizzato torna a casa dai genitori contadini e simula di aver dimenticato tutto quel mondo di duro lavoro, chiede il nome degli oggetti, cos'è questo e cos'è quello, fino a quando non mette il piede su un rastrello e il rastrello (chi conosce i rastrelli sa che fanno spesso di questi scherzi) si raddrizza di colpo e il manico gli va a sbattere sul naso. Il giovane dice subito "ahia porco rastrello" e i presenti commentano serafici: "vedi che ti ricordi come si chiama?".

Però prima c'è un'altra scena, il giovane che torna a casa e per darsi un contegno quando bussa alla porta invece di dire "verzi" dice "verzéte" e da dentro gli rispondono "non ghe n'avemo più". Verzéte, piccole verze, dei cavoli insomma. E' un umorismo basso, s'intende, sul tipo di quello di Bertoldo; ma mi sono chiesto spesso perché dire "verzéte" dato che si tratta pur sempre di parlare in dialetto. Se quel giovane voleva darsi un contegno, avrebbe dovuto usare l'italiano; ma poi la questione è di poco conto e non ci ho più pensato fino a quando non mi è venuta in mente la più che probabile soluzione. E' dunque possibile che la storiella sia nata ai tempi del fascismo, quando fu vietato usare il "lei" come forma di cortesia; dovendo dare del voi, ecco che il "verzi" diventa un "verzéte", sottinteso "verzéte voi". Un sottile antifascismo, forse, che di certo sarebbe piaciuto a Luigi Meneghello.

Sia quel che sia, la storiella continuava con altri momenti buffi, ma io non so ricostruirla. Per capire cosa vi succede, forse è meglio rivolgersi alle versioni più conosciute, non solo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno ma anche i Grimm, Calvino, Rabelais. Per intanto, verzéte per tutti; o anche verzone pantagrueliche, come quella qui sotto.

(Nuova Zelanda, 1890circa)

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