giovedì 3 giugno 2010

Il futuro del Teatro in Italia

- Ma esiste il pubblico che recepisce tutto questo? La scena teatrale non è forse cambiata radicalmente, in un impoverimento progressivo, tra l'indifferenza o lo spregio dei governanti e l'assottigliarsi del dialogo con le grandi platee, che sembrano sempre più lontane dal suo tipo di ricerca?
«Parlare di pubblico in generale è un'astrazione, non esiste un unico interlocutore, ci sono tanti individui diversi. Oggi il pubblico teatrale è un'élite, parola che negli anni Sessanta era scorretta politicamente, mentre adesso è altro. Grazie alla televisione e a Internet non c'è più alcuna élite nella comunicazione e nell'arte, nessun prodotto artistico è inaccessibile, e il teatro come élite vuol dire un luogo rigenerante e positivo fatto per chiunque abbia voglia di andarci nel desiderio di condividere un'esperienza non raggiungibile nell'isolamento e davanti al gelo di uno schermo».
Quanto ai governi che nella crisi tagliano i contributi alla cultura, «il solo modo per fronteggiare tutto questo», sostiene Brook, «è prendere esempio dai massimi maestri di tutti i tempi: Shakespeare e Mozart erano due lavoratori costretti ad arrangiarsi con gli strumenti che avevano a disposizione, l'uno creando un teatro popolare, l'altro accettando le commissioni dei suoi sponsor, ma entrambi senza compromettere l'autenticità e l'onestà della rispettiva ricerca. Malgrado la mancanza di fondi e l'idiozia dei governanti, l'arte resta il luogo del possibile».
(Peter Brook, intervista a Leonetta Bentivoglio, da “La Repubblica” del 16 maggio 2010)


Peter Brook è uno dei più grandi registi di teatro dei nostri tempi, ha fatto spettacoli leggendari che ogni tanto arrivano anche da noi, e ha anche girato dei film molto belli, sia per il cinema che per la tv. Il suo parere è quindi molto interessante, e va tenuto in gran conto. Ragionando sul nostro Paese, però, mi sono venute in mente due o tre suggestioni sulle quali provo a lavorare.
- Brook parla di élite in senso positivo, ma si dimentica di parlare dei prezzi dei biglietti: che sono altissimi, non credo che uno studente o un pensionato possano permetterseli. Da anni ormai il teatro è roba da ricchi, perché i biglietti costano moltissimo.
- Brook sorvola anche sull’uso del microfono e dell’amplificazione, ormai d’obbligo nei nostri teatri: penso che sia perché lui non li usa, ma il problema esiste. Ha ancora un senso il teatro, con il microfonino invece delle vibrazioni della voce umana? Secondo me no, a meno che non si tratti di uno spettacolo come quelli di Marco Paolini, o di Ascanio Celestini, dove capire ogni parola è fondamentale; – ma per Shakespeare, per Pirandello, per il musical, e figuriamoci per Sofocle, il microfonino è la vera negazione del teatro.
- Brook parla di “ricerca” citando Mozart e Shakespeare; la ricerca, caso mai, la faceva Johann Sebastian Bach, e solo quando componeva il Clavicembalo ben temperato. Mozart e Shakespeare, ma anche Goldoni e Giuseppe Verdi, invece si divertivano, si arrabbiavano, facevano la fame, facevano i soldi, erano artigiani alle prese con un lavoro che gli piaceva e che dava molte soddisfazioni, ma che era anche infame e disprezzato. Ma non starò qui a fare la storia del teatro, ci mancherebbe altro.
Questo parlare di “ricerca” a proposito del teatro, però, è significativo sul cambiamento che è avvenuto negli ultimi cent’anni: penso che nell’Ottocento nessuno avrebbe parlato di “ricerca”, come fa invece Peter Brook. Gli spettacoli di Brook sono bellissimi, ma solo perché c’è Peter Brook dietro questi spettacoli; e la stessa cosa succedeva con Giorgio Strehler. Nel teatro non si può teorizzare più di quel tanto, teorizzare e fare ricerca va bene, ma poi bisogna mettere in pratica, perché il teatro è lavoro quotidiano.
Concludendo, è vero: i tagli governativi porteranno alla povertà gli attori, facendoli così tornare al loro stato originario, a come erano sempre stati prima del Novecento. E questa è una notizia terribile, ma qualcosa di positivo c’è: nel teatro ci sono troppo figli di papà, eccetera. Fare teatro era diventata una cosa di moda, roba da fighetti e da mantenute, se mi si passa il termine; da ora in avanti, se il teatro ritorna povero e fuori moda, rimarranno a fare teatro solo quelli che ci credono veramente, e quelli che ne sono capaci. Perché il teatro non è roba da dilettanti, anche il più scalcinato dei clown deve saper suonare uno strumento e saper fare le capriole; e, da questo punto di vista (e solo da questo punto di vista, sia ben chiaro), non vedo l’ora che si ricominci.

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