Il quinto libro dei madrigali (siamo nel 1605) inizia con un capolavoro di scrittura musicale. I suoi versi iniziali a noi suonano strani: “Cruda Amarilli”. Amarilli è un nome di donna, un nome greco che ad un orecchio italiano sembra contenere la parola “amaro”; e “cruda” sta per crudele, cattiva, spietata. E’ dunque il lamento di un innamorato che se la prende con Amore, che non corrisponde ai suoi desideri. I versi sono di Guarini, e vengono da uno dei grandi successi dell’epoca barocca,“Il pastor fido”: come capita spesso (ed è una lezione da tenere in gran conto) i grandi successi di un’epoca vengono presto dimenticati, e oggi ricordare il nome di Guarini sarà dura anche per chi ha studiato Lettere.
Ma su queste due parole, “cruda Amarilli”, Monteverdi scrive una delle grandi meraviglie della musica: l’esecuzione che consiglio caldamente è quella di Rinaldo Alessandrini e del Concerto Italiano (cd Opus 111), ma è un brano che ha avuto molte ottime esecuzioni.
Cruda Amarilli, che col nome ancora,
d'amar, ahi lasso! amaramente insegni;
Amarilli, del candido ligustro
più candida e più bella,
ma de l'aspido sordo
e più sorda e più fera e più fugace;
poi che col dir t'offendo,
io mi morrò tacendo.
Gian Battista Guarini (1538-1612), da Il Pastor Fido (1590)
Monteverdi è uno dei grandi riformatori della musica, uno degli snodi fondamentali nella storia. Non capita a tutti: non a Mozart, per esempio, che è una stella d’assoluta grandezza ma riprende stili che già esistono intorno a lui, a partire da Gluck e da Haydn, ma anche dall’opera napoletana (Pergolesi e Paisiello, per esempio). Monteverdi fa una scelta di campo precisa, in quell’anno 1605, quando pubblica il Quinto Libro dei Madrigali. Una scelta che gli viene rimproverata aspramente dai musicisti di quel periodo, ben documentata da Paolo Fabbri nel suo “Monteverdi” pubblicato dalla EDT-Musica (pag.48, la polemica del canonico Artusi) e che qui provo a riassumere.
A quell’epoca, a metà del 1500, prevaleva la polifonia. Uno stile meraviglioso, che aveva dato capolavori che ancora ammiriamo e che permettono di cantare “a cappella”; lo stile di Palestrina e dei grandi fiamminghi. Però, sembra dirci Monteverdi, “io ho per le mani versi meravigliosi, di Petrarca, di Guarini, di Tasso: e non se ne capisce una parola...”. La novità, la rivoluzione che sconvolge i musici del primo ‘600, è proprio questa: la grande importanza data alla parola, ad ogni parola. E’ la rivoluzione che porterà ai grandi capolavori della parola in musica: di lì a poco, nel 1607, Monteverdi scriverà l’Orfeo, considerato il vero capostipite nella storia del teatro in musica.
Ch'io t'ami, e t'ami più de la mia vita,
se tu nol sai, crudele,
chiedilo a queste selve,
che tel diranno, e tel diran con esse
le fere loro e i duri sterpi e i sassi
di questi alpestri monti,
ch'i' ho sì spesse volte
inteneriti al suon de' miei lamenti.
Gian Battista Guarini, Il Pastor Fido
Troppo ben può questo tiranno, Amore,
poiché non val fuggire
a chi no'l può soffrire.
Quand'io penso talor com'arde, e punge,
io dico: " Ah! core stolto,
non l'aspettar; che fai ?
Fuggilo sì, che non ti prenda mai. "
Ma non so com'il lusinghier mi giunge,
ch'io dico: "Ah, core sciolto,
perché fuggito l'hai ?
Prendilo sì che non ti fugga mai. "
Gian Battista Guarini, Rime
Fango bollente - Vittorio Salerno
9 ore fa
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