San Francesco semiologo, cui si attribuisce la prima edilizia presepiale, certamente ha voluto in ogni figura iconizzare le varianti delle emozioni umane di fronte alla greppia santa, nella notte fatidica: ed ecco la semplice donazione di primizie, il trepidante sacrificio dei lattonzoli, il balbettio d'una preghiera nuova, l'accorrere speranzoso dei diseredati, la solerzia dei pastori, la curiosità dei maghi. Sì, un mondo simbolico, una preghiera plastica e vivacissima che comprende, certo, il «Gloria a Dio», ma anche «Pace agli uomini di buona volontà». E lo sanno anche la lavandaia, il pescatore, il guardiano di porci, i cammelli, le galline, il negretto con gli ananas, la fruttivendola, i viandanti, le papere sullo specchio, le pecore e agnelli. Lo sanno perfino i lupi che, quando sono animali, riescono anche a dialogare con i Santi.
Lo sa anche quello lì, immerso nel sonno all'ombra d'un palmizio di cartoncino verde e marrone?
C'è in tutti i presepi, il dormiente. Dorme il sonno beato del negligente. Il suo sonno è simbolico, è il sopore della ragione neghittosa. Gli scolastici definiscono come neglegentia un peccato che consiste nel non scegliere (dal latino nec-eligo). Oggi, motteggiando, si allude a questa renitenza a scegliere dicendo «non so, non c'ero e se c'ero dormivo». Ma la fantasia popolare non è pigra: riflette, comprende, racconta e tramanda. E assolve il dormiente. Il mondo che descrive non s'accontenta della celebrazione ossequiosa, è un mondo problematico. E annovera Cristi, poveri Cristi e dormienti riottosi, con quel sonno, a scegliere d'essere scelti.
(Michele Mirabella, dal Venerdì di Repubblica, Natale 2005)
Fabrizio RAVANELLI
18 ore fa
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