La nostra musica, i nostri canti e le nostre parole sono canti, musica e parole di gente esiliata.
Noi siamo abituati a considerare l'esilio come qualcosa di negativo, ed è giusto che sia cosí. L'esiliato è costretto a lasciare il proprio Paese in condizioni dolorose, frequentemente costrittive e violente. L'esiliato deve abbandonare affetti, focolare, proprietà e perfino gli sguardi che hanno arricchito i suoi occhi.
Ma l'esilio, paradossalmente, ha anche aspetti positivi. L'esiliato non può concedersi il lusso di riposare sulle certezze e i sonni dell'autoctono: deve costantemente riflettere sulla sua condizione esistenziale, e per questo il suo spirito si fa vigile e inquieto. Nasce un'anima dell'esilio mobilissima e ubiqua.
Uno dei nostri Maestri, il Maggid di Meseritsch, cosí si esprimeva a proposito dell'esilio:
«Ora nell'esilio lo Spirito Santo scende piú facilmente che nei tempi in cui era in piedi il Santuario.
Un re fu scacciato dal suo regno e dovette andare ramingo; se arrivava allora in una povera casa dove veniva malamente cibato e malamente alloggiato ma accolto de re, il suo cuore era lieto e parlava con la gente di casa cosí familiarmente come una volta nella sua corte soltanto coi più intimi. Cosí fa anche Dio, da quando è in esilio.»
(Moni Ovadia, dallo spettacolo teatrale “Oylem Goylem”) (libro e dvd pubblicati da Einaudi)
giovedì 24 marzo 2011
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento