venerdì 1 luglio 2011

Scarabeo sacro

Lo scarabeo sacro degli antichi Egizi è uno dei simboli più famosi, utilizzato non solo dagli archeologi ma anche dai film di fantascienza, dall’esoterismo, eccetera. In teoria dovrebbe essere un simbolo semplice da capire, nella pratica c’è sempre una gran confusione, a volte con effetti comici.
La verità è forse questa: che a molte persone gli insetti non piacciono, occuparsi di uno scarabeo fa un po’ schifo, soprattutto alle signore; e chi si occupa di entomologia, sia pure da dilettante (come me) viene sempre guardato con sospetto. “Come si fa ad occuparsi di bestie così schifose”, mi chiedono da sempre le mie simpatiche conoscenti, lo so e me lo aspetto sempre, fin da quand’ero bambino; e si riferiscono anche alle farfalle, alle formiche, alle lucertole, a qualsiasi cosa che non sia un cane o un orsetto più o meno di peluche. Eppure, quel simbolo è ovunque: in magia, in astrologia, in siti insospettabili, ovunque. Che gli Egizi ci abbiano preso in giro? Forse conviene fermarsi un attimo e mettere in fila le informazioni indispensabili, quelle più banali (io le ho imparate alle elementari o alle medie...).
La prima cosa da dire è che lo scarabeo non è lo scarafaggio: sono due animali che si somigliano, ma si tratta di due bestie completamente differenti. La differenza sta in questo: lo scarabeo ha la metamorfosi completa, lo scarafaggio no. E’ la grande divisione nel mondo degli insetti: alcuni hanno il passaggio bruco-crisalide-farfalla, come le farfalle; ma non è così per tutti.
Ovviamente, se appena si vede un insetto si corre a prendere l’insetticida e lo si schiaccia, ci si mette a urlare, non si capirà mai la differenza e nemmeno il significato di questo antichissimo simbolo. Ancora di recente (non credevo ai miei occhi) ho trovato il blog di un’amica che parlava di mitologia egizia usando indifferentemente le due parole come se fossero sinonimi, prima scarabeo e poi scarafaggio: ma scarabeo e scarafaggio non sono la stessa cosa. Gliel’ho fatto notare (non la conosco di persona) e mi ha risposto con gentilezza che lei non stava parlando di insetti ma di simboli, e insomma (sottinteso, ma l’ho capito benissimo) di non star lì a sottilizzare con queste storie, scarabeo, scarafaggio, scarrafone, chi se ne frega.
Provate a immaginare: un animale come il bruco è diversissimo da quello in cui si poi si trasforma. Il bruco a un certo punto sembra morire: si ferma, non mangia più, la sua pelle diventa dura e secca, è morto. Eppure no, non è morto: la pelle dura e secca si rompe, da quel corpo morto nasce qualcosa di nuovo, di alato. Provate adesso a pensare alla religione degli antichi egizi: il sarcofago, l’imbalsamazione...
La stessa cosa che capita alla farfalla capita allo scarabeo sacro. Nell’antica Grecia, e molto spesso ancora i nostri giorni, sulle lapidi veniva disegnata una farfalla: simbolo di morte e rinascita. Psyché in greco antico è la farfalla... Lo scarafaggio, nel grande schema dell’entomologia, sta invece dalla parte delle cavallette, delle cimici, delle mantidi: nasce già simile all’adulto. Magari appena nato è diverso e si fa fatica a riconoscerlo, ma non è un bruco, non è una larva, ha già le sei zampette regolamentari, non è qualcosa che somiglia a un verme, la somiglianza con l’adulto c’è.
La metamorfosi della farfalla è qualcosa di devastante. Il pensiero che anche a noi capiti qualcosa di simile è altrettanto devastante: il bruco si rende conto della sua parentela con la farfalla? La farfalla sa che cos’è un bruco, lo riconosce? La stessa cosa capita anche a noi? Ci sono intorno a noi esseri che sono un nostro stadio successivo, esseri alati?
Oggi viviamo sempre più lontani dalla natura, i diserbanti distruggono le piante di cui si nutrono i bruchi (alcune delle farfalle italiane più belle vivono sulle ortiche...), capisco bene che a una persona che passa da un monolocale a Milano a un suv e a un ufficio e una stazione sciistica queste cose sembrino strane, ma non è sempre stato così.
Una volta da bambino ho aperto una crisalide: non di farfalla (non l’avrei mai fatto) ma di mosche e di tenebrioni: larve che si usano, e si vendono, ai pescatori di fiume. Dentro non c’è niente, solo poltiglia biancastra. La larva si è completamente liquefatta. E’ come se un condominio tornasse ad essere malta e cemento liquido, per poi rinascere come Duomo di Milano: un’operazione da prestigiatore, roba da non crederci, eppure succede così, sotto i nostri occhi, continuamente, quasi come se il Signore volesse mostrarci qualcosa che dobbiamo sapere: ma noi preferiamo voltare la faccia da un’altra parte, chiudere gli occhi, guardare altrove, e forse è giusto così.
Non so come fosse il clima in Egitto in quei tempi, di certo se era com’è oggi sarà stato più facile osservare la metamorfosi di uno scarabeo piuttosto che di una farfalla (nel deserto le piante non abbondano). Gli egittologi di solito spiegano che era perché lo scarabeo sacro (si chiama anche scarabeo stercorario) sembra nascere dallo sterco: ma è una spiegazione che non mi ha mai convinto. Oltretutto, lo scarabeo stercorario è di colore poco appariscente, mentre esistono dei coleotteri suoi parenti (coleotteri, quindi con la metamorfosi completa) che hanno davvero un aspetto meraviglioso, sembrano delle pietre preziose con le ali. Gli scarabei sacri scolpiti e dipinti dagli antichi egizi, e usati come gioielli e come simboli, sono quasi sempre colorati, non grigi o nerastri come l’originale scarabeo sacro.
Ma poi, in fin dei conti, so bene che di questo discorso non importerà nulla a nessuno. E dunque, liberi e libere di confondere ancora oggi scarabei e scarafaggi e scarrafoni (“ogni scarrafone è bello a mamma sua”: lo dico io così ci togliamo il pensiero), magari traducendo frettolosamente dall’inglese; però poi se gli incantesimi non riescono non venite da me a lamentarvi. Un conto è evocare la metamorfosi dello scarabeo, un altro conto è evocare il più semplice cambiamento d’abito dell’insetto eterometabolo (cimice, scarafaggio, cavalletta, mantide).
C’è ancora da dire una cosa: come racconta magnificamente il mito di Gilgamesh, fin dai primi anni dell’umanità il fatto che alcuni animali cambiassero pelle, come i serpenti, era considerato simbolo di morte e rinascita, di immortalità. Ed era anche di grande stupore vedere che un corpo vivente fino a pochi istanti prima potesse poi disfarsi, diventare argilla, poltiglia. Ma forse leggere tutta la saga di Gilgamesh è pretendere un po’ troppo, da chi si occupa di profili facebook, di cookies, di browsers, e di oroscopi...
(le immagini che ho messo qui hanno origini molto diverse, non riesco a ricostruire da dove le ho prese e me ne dispiace; alcune vengono da libri e da riviste) (le vignette sono della Settimana Enigmistica, www.aenigmatica.it ; l'ultima è volutamente senza testo, mi interessavano i disegni delle ali).

2 commenti:

mik ha detto...

il testo era buono ma ti sei rovinato nel finale ciao

Giuliano ha detto...

non ci sarà più nemmeno bisogno di bruciare i libri, nel futuro.