Ogni volta che comincio a parlarne, di questi argomenti, c’è sempre qualcuno che tira in ballo il luddismo. Direi quindi che è il caso di andarsi a leggere la definizione: che cos’è il luddismo?
LUDDISMO: movimento popolare britannico ostile all’introduzione delle macchine nell’industria, ritenuta causa di disoccupazione e di bassi salari. Nato a inizio Ottocento, negli anni fra il 1811 e il 1816 effettuò numerosi atti di vandalismo contro macchinari industriali, e subì sanguinose repressioni. Il nome deriva da Ned Ludd, che nel 1779 avrebbe infranto un telaio meccanico per questi motivi. (fonte: Enciclopedia Universale Garzanti, “Garzantina”).
Direi che c’è molto di cui parlare, queste poche righe d’enciclopedia rischiano di essere molto più chiare, sull’attualità di questo 2012, di quasi tutti i commenti e le analisi degli economisti e degli editorialisti più influenti.
Dalla lettura di questa definizione nascono in me due pensieri contrastanti fra loro: il primo è che la disoccupazione è un dramma, il secondo è che le nuove tecnologie sono quasi sempre belle e utili. Belle e utili, ma producono disoccupazione: soprattutto il computer ha provocato lo svuotamento di fabbriche e uffici, quanti licenziamenti ci sono stati a causa dell’informatizzazione, e quanti ce ne saranno ancora? Di queste cose la politica deve interessarsi, e preoccuparsi.
E’ troppo facile dire che si fa prima e si è più comodi, questo lo vede anche un bambino: ma che si fa quando hai centinaia di migliaia di disoccupati e di disperati? Il mio pensiero è che era sbagliato essere luddisti ai tempi di Ned Ludd, perché i telai meccanici portarono benessere, e perché le macchine agricole alleviarono la fatica dei contadini e permisero maggiore produzione, sconfiggendo le carestie: ma anche questo mi sembra un pensiero scontato. Così come mi sembra ovvio dire che i televisori di oggi sono molto meglio di quelli con il tubo catodico (per spostarne uno, servivano due persone) e che se negli anni ’70 avessi avuto un i-pod invece del mangianastri sarei stato molto contento (altrettanto ovvio). Però queste sono riflessioni molto facili e molto superficiali, perché in giro si vedono cose molto preoccupanti ed è obbligatorio tenerne conto, altrimenti sarà la realtà, quella che noi cerchiamo di ignorare, ad occuparsi di noi; e anzi lo ha già fatto ampiamente.
La disoccupazione crescente è la prima grande preoccupazione, ed è qualcosa di enorme e di terribile; ma ce ne sono altre più o meno piccole, una delle quali è l’entusiasmo eccessivo per twitter: pochi giorni fa c’è stato un terribile terremoto, al tg parlavano solo di twitter e di come è utile twitter, dimenticandosi che in quelle zone le comunicazioni telefoniche sono rimaste interrotte per diverse ore. L’entusiasmo per twitter, che pure è una tecnologia buona e utile, non riesco a provarlo per almeno due buoni motivi: 1) il fatto che magari fra due anni di twitter non si ricorderà più nessuno, verrà di moda qualcos’altro e mi diranno “ah, ma tu hai ancora twitter?” 2) il fatto che si enfatizzi la forma di scrittura breve, i 140 caratteri. Non è che lo si presenti come un’opportunità, lo si indica come forma unica ed eccellente di comunicazione.
Anche la recente notizia che si vendono sempre più suv è vista come cosa positiva, ma più i mezzi che circolano sono grossi e pesanti (e potenti) più aumenta la distruzione del suolo, crescono le famigerate pm10 (che vengono in gran parte dai dischi dei freni e dalle gomme delle auto, ma guai a dirlo). Gli esempi sarebbero infiniti, ma se si comincia a mettere in discussione l’eccessivo entusiasmo (e in certi casi perfino il fanatismo) verso la nuova tecnologia, ecco tirare in ballo il Luddismo. Davanti all’evocazione di Ned Ludd e dei moti del 1811, si sa, bisogna rimanere ammutoliti, ti guardano male, vorrai mica spaccarmi il tablet nuovo di pacca che ho appena comperato? No, però l’idea di togliere il giocattolo di mano a questa e quello mi è venuta più volte, lo ammetto (in casi come questi, sia ben chiaro, mi limito a togliere il disturbo e a non farmi più vedere).
In questo contesto, mi ha divertito ma non stupito un piccolo incidente della settimana scorsa fra la conduttrice di Radio Popolare (Telefono aperto, dalle ore 20) e la telefonata in cui le si diceva “non voglio essere costretta a comperare un computer”: l’ascoltatrice era stata molto maleducata, ma la questione esiste. Non si tratta solo di essere moderni e all’ultima moda (quanto durerà l’entusiasmo per Twitter e Facebook? Due anni? Tre?) ma di prendere atto del fatto che tablet, cellulari e computer sono prodotti costosi, e molte persone, sempre di più, con le paghe di oggi non arrivano nemmeno a pagarsi le spese di casa. E qui siamo tornati al tema di partenza, il luddismo e la disoccupazione crescente.
L’altra accusa frequente, dopo quelle di luddismo e di essere vecchi e un po’ rincoglioniti, è legata al catastrofismo: ma andate a chiedere a Cavezzo, a Mirandola, a Medolla, a Finale Emilia; o magari nelle Cinque Terre, o nei paesi del Messinese, o nei paesi alluvionati del Veneto. Il futuro potrebbe essere anche questo, e non dovremmo mai dimenticarcelo: i nostri nonni, anche in caso di terremoto, potevano raccogliere le macerie e intanto continuare a mungere le vacche, ma oggi a Cavezzo e a Finale Emilia questo non è più possibile. Anche a New York, nell’ultima grande nevicata (l’inverno scorso, non duecento anni fa) i telefoni cellulari non funzionavano: di queste cose dovremmo imparare a tenere conto, la tecnologia è utile ma rischia di lasciarci tutti un po’ troppo imbranati. Un ultimo esempio: ottima cosa la chirurgia endoscopica, ma ci sarà ancora un chirurgo capace di fare un intervento di fortuna, d’emergenza? Se manca la corrente, per un’appendicite o una tracheotomia, o magari solo per cucire una piccola ferita, dovremo rivolgerci ai chirurghi di Emergency e di Medecins Sans Frontieres?
PS: «Quella nave passeggeri non doveva essere lì, così vicina alla costa. Non posso che pensare a una grave negligenza da parte del personale in servizio alla plancia di comando, a meno di un imprevisto di natura tecnica», dice il comandante Giuseppe Baici, nato a Cherso 71 anni fa, comandante di navi da crociera, all'epoca per conto della Società Adriatica. «Non capisco come sia stato possibile uscire dalla rotta in quel modo». Baici conosce bene quel tratto di mare e ha solcato infinite volte il corridoio tra l'Argentario e l'isola del Giglio. «Si parla di inconvenienti tecnici, ma ritengo che tutto possa essere ovviabile: se in plancia c'è attenzione, questi incidenti non succedono. L'unità è uscita dalla rotta e il personale di guardia alla plancia di comando se ne sarebbe dovuto accorgere». E ancora: «E’ buona regola non affidarsi completamente alla tecnologia. Un marinaio esperto mantiene sempre il controllo. Ai miei tempi i turni di guardia in plancia prevedevano almeno la presenza di un ufficiale, un sottufficiale e un timoniere».
(articolo di Paolo Rumiz per il naufragio della Costa Concordia, dal Venerdì di Repubblica del 3 febbraio 2012 http://www.repubblica.it/ )
Fantasma d’amore – Dino Risi
2 ore fa
2 commenti:
a proposito della disoccupazione "tecnologica", è come se ci stessimo costruendo degli apparati digerenti efficientissimi, ma un bel po' di gente non ha nulla da mangiare, alle proteste si risponde che il loro figli e nipoti, forse, ne godranno.
ma adesso?
sì, la disoccupazione è un problema spaventoso. Tutti siamo molto contenti delle nuove tecnologie, ma hanno creato un'enormità di disoccupati. Difficile pensare che tutti se ne staranno mesti e quieti.
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