domenica 7 ottobre 2012

Beethoven

Dopo tre minuti di conversazione, la domanda mi sorge spontanea: «Ma tu la conosci, la musica di Beethoven?» La risposta del mio collega è immediata e sicura: «Ma certo che conosco Beethoven!» Lo dice quasi offeso, come se avessi detto uno sproposito. Io penso che forse nemmeno Maurizio Pollini lo direbbe con altrettanta sicurezza, però non dico niente e concludo che è meglio sorvolare, tanto più che sta arrivando molto lavoro e la chiacchierata sulla musica (peraltro piacevole) è meglio rimandarla ad altra occasione.

Conoscere Beethoven? Certo, come no: Per Elisa, il basso della Sonata Chiaro di Luna, ta-ta-ta-taaaam, e cos’altro ancora? Forse quel pezzettino della Nona Sinfonia che è diventato inno dell’Unione Europea, e che fanno suonare anche a scuola, col flautino, nell’ora di musica obbligatoria. Cos’altro? Penso proprio che la conoscenza di Beethoven da parte del mio collega Enzo, discreto chitarrista, si fermi qui ancora oggi: meno di tre minuti di musica, e amen. Il fatto è che la maggior parte delle persone non è capace di andare oltre i tre minuti di una canzone, il pensiero che si possa costruire un percorso musicale oltre quella durata non li sfiora nemmeno, figuriamoci una composizione che dura un’ora intera (come la Nona Sinfonia) e che ti costringe a rimanere attento per tutto quel tempo. L’attenzione massima per un cagnolino, o per un bambino di tre anni: tre minuti è il massimo che ti è concesso, ma proprio il massimo, dopo di che il bambino e il cagnolino se ne sono già scappati altrove.
Ero anch’io così, fino ai 14 anni: anch’io, come molti altri della mia età, rimanevo sbalordito davanti a quei dischi dei Pink Floyd o dei Cream dove un solo pezzo copriva un’intera facciata, venti minuti consecutivi senza interruzione. Poi, però, dopo un anno, non ho più avuto 14 anni e ho imparato non solo ad ascoltare con attenzione composizioni complesse, a leggere dall’inizio alla fine libri di mille pagine, perfino ad affrontare le conversazioni di amici e parenti, in silenzio, ascoltando senza interrompere e senza sovrapporre il mio io all’esposizione e al ragionamento delle altre persone. Tutto questo potrà sembrare noioso, rognoso, antipatico, ma a chi ne è capace si schiude tutto un mondo, orizzonti nuovi; di quel silenzio e di quell’attenzione si è ripagati, e in abbondanza. C’è anche un altro lato della medaglia: che se davvero avete letto quel libro, se davvero avete visto e capito quel film, se davvero siete capaci di ascoltare un’intera Sonata di Beethoven, i vostri amici e conoscenti vi taglieranno inesorabilmente fuori.
Il lato tragico di tutto questo è che questi signori del “certo che lo conosco!” sono andati al governo, hanno pontificato, fatto leggi e regolamenti. Il mondo in cui viviamo è opera di questi signori e signore, ne sono molto spaventato, ed è il solo motivo per cui ne sto parlando oggi.
Ludwig van Beethoven, tedesco di origini fiamminghe, nasce a Bonn nel 1770: Mozart ha quattordici anni, Haydn (punto di riferimento per ogni musicista, ancora oggi) ne ha trentotto. Comincia come bambino prodigio, ma smette presto: non è un’attività che gli si addice, e oggi ne vediamo bene tutte le ragioni. Ritorna sul palcoscenico dopo i vent’anni, ma come compositore; i libri dicono che esistono tre “periodi” beethoveniani, io ne ho sempre visti soltanto due, che sfumano l’uno nell’altro: il periodo in cui Beethoven è giovane e sta bene di salute, estroverso e ricco di entusiasmo (tutte le Sinfonie, Nona compresa) e un secondo periodo, dai quarant’anni in su, quando la sordità comincia a farsi sentire e alla malattia incombente si aggiungono le delusioni della vita, le stesse che anche noi sopportiamo, e che ci attendono pazienti fino a quando non le raggiungiamo, come tappe inevitabili nel nostro percorso.
Di quest’ultimo periodo, più o meno a partire dall’opera 99, sono i più grandi e complessi capolavori di tutta la storia della musica, imprese magnifiche da affrontare anche per un semplice ascoltatore. Le composizioni di Beethoven sono state numerate in ordine cronologico da Beethoven stesso: prima non si faceva, Beethoven è stato uno dei primi a ragionare sul suo catalogo; l’utilità pratica, per noi, è che guardando quel numerino si capisce subito il periodo della vita di Beethoven in cui quella musica è nata.
Per la musica di Beethoven e le indicazioni dettagliate, anche riguardo alla più piccola composizione, il libro di riferimento è quello di Poggi e Vallora, editore Einaudi; è un libro recente e si dovrebbe trovare senza difficoltà. Di mio non vorrei aggiungere nulla, Beethoven è così grande e sorprendente, in ogni sua composizione, che verrebbe solo da stare in silenzio ad ascoltarlo.
Mi sembra inutile anche parlare della vita personale di Beethoven, sulla quale sono state dette e scritte un’infinità di stupidaggini, molto più simili ai pettegolezzi che alle informazioni serie e ragionate. Beethoven era probabilmente un uomo cordiale ma molto riservato, la sua biografia e i suoi pensieri sono qui, nella sua musica; che è la musica di un uomo giovane e sereno, allegro, e poi sempre più disilluso, stanco, chiuso nei ricordi belli della sua esistenza.
Aggiungo comunque qualche mio ricordo personale, sperando che possa essere d’aiuto a qualcuno.
Per esempio, il Concerto per violino e orchestra (op.61) eseguito da Isaac Stern con l’orchestra della Scala nei primi anni ’80: il Concerto è bellissimo, solare, estroverso, e a un certo punto è previsto che tutta l’orchestra si fermi e il solista suoni da solo una cadenza, che può anche essere improvvisata. Isaac Stern era un ometto piccolino, lì da solo sul palcoscenico della Scala quasi scompariva: eppure, duemila persone in silenzio assoluto, orchestrali e attrezzisti compresi, solo il pianissimo del violino Isaac Stern, non un sospiro, non un movimento. Un’emozione unica, irripetibile: solo l’ascolto in teatro può rendere questi momenti, nessun disco o cd o “scaricato da internet” renderà mai questi momenti.
O ancora la Sonata per pianoforte detta “Waldstein” (op.53) dove i pensieri di Beethoven scorrono arruffati e confusi, come capita spesso a noi prima di addormentarci, o camminando per strada, e si va avanti così per molto tempo, fino a quando un tema quasi da carillon, un ricordo infantile, qualcosa di bello che avevamo dimenticato, ritorna e ci illumina, rendendo almeno in parte quella felicità che avevamo perduto; da quel momento in poi (è al minuto 4:35 del secondo tempo, dopo una lunga pausa sospesa, nell’edizione discografica di Claudio Arrau) i pensieri tornano a scorrere limpidi e sereni, fino alla conclusione finale.
E non può mancare il Fidelio, l’unica opera lirica di Beethoven, dove il soggetto è l’amore coniugale (qualcosa che fu negato all’autore) e dove c’è, nel primo atto, un quartetto costruito su una melodia semplicissima e infantile, quasi un altro carillon, costruito in maniera perfetta e dove ogni personaggio riesce ad esprimere con chiarezza assoluta i suoi sentimenti, e a farli arrivare fino a noi.
Mi prendo ancora un paio di righe, per una delle Bagatelles op.126 per pianoforte (non dico quale, sono brevissime e divertenti), per i Quartetti (gli ultimi sono vere imprese titaniche, vette da scalare che poi si aprono su panorami inaspettati), per le ultime Sonate, per le Variazioni su un valzer di Diabelli... E poi c’è qualcosa che forse conosciamo in pochi: fuori dal catalogo ufficiale, una lunga lista di canzoni scozzesi, irlandesi, britanniche, canzoni normali, però arrangiate dal giovane Ludwig van Beethoven. L’arrangiamento da solo vale il prezzo del biglietto, la copertina del cd la metto qui sotto.
(nelle illustrazioni, prese da riviste o da programmi di sala, il pianoforte di Beethoven e Beethoven giovane in una stampa d’epoca; i fumetti di Charles M. Schulz vengono dal mensile Linus, annate 1999 e 1966)

8 commenti:

Grazia ha detto...

Giuliano, soltanto un grande grazie da parte di una che Beethoven non lo conosce come lo conosci( e lo ami) tu. La tua è la maniera giusta per parlarne, con pudore ed entusiasmo!

Giuliano ha detto...

non si finisce mai di conoscere la grande musica...
:-)

Alligatore ha detto...

Non lo conoscevo, ora ne so qualcosa. Sui libri lunghi, i dischi lunghi, i film lunghi, purtroppo in questo periodo sono tornato indietro: da adolescente e fino a qualche anno fa (5 o 6), mi appassionavano, ora non "riesco" più a seguirli (e ora sono da poco entrato nell'età della disillusione, almeno per Beethoven). Mi sono fatto prendere dalla "cultura del frammento", a parte il cinema e la musica (rock e dintorni) dal vivo (che è la vera musica, dico quella dal vivo, rock, pop o classica che sia ...), ma il discorso si farebbe troppo lungo ;)

Giuliano ha detto...

è una conquista, come fare fiato quando vai in bicicletta.
all'inizio ci si scoraggia, ma insistendo viene il bello
(questo è un commento su misura - adesso devi passare alla cassa, 5 cents prego)
:-)

Alligatore ha detto...

Sapevo, sapevo, una volta leggevo pure i Peanuts, ma ti mando un bonifico di 5 cents lo stesso ;)
p.s. lo so, è tutta una questione di allenamento, e dovrò riprenderlo prima di dimenticare come si fa a "salire in bici" ... anzi, ora spengo il pc e provo a fare un giro.

Giuliano ha detto...

c'è un cd molto bello di Glenn Gould, con le bagatelles op.126 (che sono brevissime e sorprendenti) e con le variazioni su un tema dall'Eroica (la sinfonia n.3). Penso che ti piacerebbe, anche senza pensarci troppo, anche come sottofondo
:-)

giacy.nta ha detto...

Un post taumaturgico.

Posologia per insegnanti:
leggere il post di Giuliano di sera, seguire le indicazioni di ascolto di prima mattina ( a casa e in macchina andando a scuola ), sorprendersi per la serenità che anche in classe, nonostante tutto, non scema...
Grazie, Giuliano!
p.s.
a dire il vero le indicazioni di ascolto non sono state per il momento rispettate alla lettera. Ho ascoltato un Cd Amadeus ( concerto n.1 per pianoforte e orchestra op. 15 ).

Giuliano ha detto...

con Beethoven va bene tutto, dipende dagli stati d'animo
:-)
tra l'altro, anche fuori dal catalogo numerato ci sono cose magnifiche, Beethoven ha sbagliato nel lasciar fuori le sue cose scritte prima dei vent'anni
(va detto che c'erano dei motivi editoriali precisi nella numerazione per opus number...)