sabato 27 luglio 2019

Autunno caldo e Statuto dei Lavoratori

Negli anni '60 ero un bambino, ma mi rendevo conto lo stesso che i miei genitori facevano molti sacrifici per arrivare a fine mese con la paga che prendevano. Sacrifici che non mi pesavano molto, a me è sempre bastato poco e ho avuto una bella famiglia; ogni tanto mi guardo in giro e penso che sono stato un bambino fortunato.
 Arrivato ai trent'anni, sul posto di lavoro, mi sono poi stupito nel vedere che operai nella stessa condizione di mio padre (tre figli, moglie casalinga o operaia) facevano invece una vita senza sacrifici; c'era sempre da stare attenti al bilancio economico, ma la situazione era ben diversa da quella che avevo vissuto io. Negli anni '80 e '90 gli operai facevano studiare i figli (e le figlie) fino alla laurea, si comperavano la casa, facevano lunghe vacanze con tutta la famiglia. Cosa c'era di diverso, che cos'era successo?
E' stato qui, con questa domanda, che ho iniziato a conoscere lo Statuto dei Lavoratori, e a ragionare sul cosiddetto "autunno caldo" che lo ha preceduto. Lo Statuto dei Lavoratori, oggi quasi del tutto cancellato, è contemporaneo alla grande riforma del Servizio Sanitario Nazionale, che è oggi in serio pericolo di cancellazione. Da una parte, più soldi e più tutele per i lavoratori; dall'altra, il non doversi più preoccupare per le spese in caso di malattia. Due riforme che hanno, di fatto, cambiato la nostra società.

Ho letto e ascoltato molte critiche riguardo a quel periodo. Le ascolto ancora oggi, il '68 come rovina della società, lo strapotere dei sindacati, i danni per l'economia. Ci sono delle buone ragioni in queste critiche, ma io mi guardo intorno, penso alla vita che ho vissuto, alle persone che ho conosciuto, a com'era la vita prima e dopo lo Statuto dei Lavoratori, e a come siamo messi oggi, quando lo Statuto non c'è più. Riguardo all'Economia, per esempio, negli anni '80 e '90 l'impresa italiana andava molto bene: siamo stati stabilmente nel novero delle prime potenze industriali al mondo, il made in Italy era molto apprezzato, e se siamo ancora invitati ai vari G7, G8, G10, lo si deve a quel periodo e non certo all'Italia attuale. Tutto questo è successo con le paghe e gli stipendi derivati dall'autunno caldo; il che dovrebbe far pensare.
Quanto allo "strapotere dei sindacati", anche qui ci sarebbe molto da dire; ma i sindacati hanno potere quando l'economia va bene, se non ci sono soldi e se le fabbriche chiudono il sindacato può solo gestire l'emergenza e la disoccupazione, finché glielo lasciano fare.
 
Negli ultimi vent'anni ho ascoltato spesso ripetere che le fabbriche sarebbero fuggite all'estero se non si fosse toccato lo Statuto dei Lavoratori, che avremmo perso di competitività, che il costo del lavoro era eccessivo; gli elettori hanno votato a destra per tutti questi anni, le leggi sul lavoro sono state profondamente modificate, ma le fabbriche hanno delocalizzato lo stesso e siamo entrati in recessione. Non ho mai ascoltato un dibattito serio su questi temi, tutti ripetono le stesse cose ma pochi sottolineano il vero motivo di tutte queste delocalizzazioni: fino al 1989, fino al crollo del Muro di Berlino, l'Italia era protetta. Il Muro di Berlino e la Cortina di Ferro spingevano gli Usa e i tedeschi a investire da noi, ad aprire fabbriche da noi. Finito questo sistema che si reggeva dal 1945, e che è durato cinquant'anni, la situazione ha cominciato a cambiare. Finite le guerre in Jugoslavia (guerre terribili) la situazione dell'Est Europa si è normalizzata e molte fabbriche sono andate lì. Non tanto per il costo del lavoro più basso, ma perché in molti Paesi dell'Est Europa c'era una lunga tradizione industriale, si pensi alla Zeiss in Germania (Germania Est), alla meccanica in Cecoslovacchia, una tradizione pari alla nostra e che era stata interrotta dal dominio dell'URSS, ma che si poteva riprendere. Prima del crollo del Muro di Berlino, le aziende americane venivano invitate dal governo a investire in Italia, o in Francia, e comunque non potevano andare nei paesi del Patto di Varsavia; dopo il 1995 il governo americano non ha più posto limiti e ognuno è andato dove gli faceva più comodo. L'Italia è diventata marginale anche per questo, forse soprattutto per questo.
 
Intanto, e non è una nota di colore ma un dato di fatto, in Italia c'è stato un boom ma nella vendita di prodotti di lusso. Pagando meno i dipendenti (il costo del lavoro!) c'è chi si è comperato la Ferrari o lo yacht. Sembra una barzelletta dei tempi andati, invece è la verità. C'è anche chi ha venduto l'azienda di famiglia e sta facendo vita beata, poi a chiudere lo stabilimento sarà una multinazionale e si deplorerà il fatto, ma la multinazionale (appunto) va a produrre dove vuole, si prende il marchio storico e va a produrre magari in Turchia (il cioccolato, per esempio).

Non sono un economista e mi fermo qui, ma qui nel mio piccolo continuo a pensare che quelli che se la prendono con lo Statuto dei Lavoratori (e con il PCI, con i sindacati, eccetera) probabilmente non vogliono che i figli degli operai possano studiare, e auspicano che si torni alla situazione descritta da Dickens a metà Ottocento, con il lavoro minorile, le donne che partoriscono in fabbrica, gli incidenti mortali sul lavoro... E' una mia constatazione, a me piace ascoltare quello che si dice e ho ascoltato per davvero discorsi di questo tipo.
A quel tempo non ce ne siamo resi conto, ma la mia generazione ha vissuto un periodo felice che purtroppo è finito; oggi c'è il precariato, la disoccupazione mascherata da impieghi a termine breve o brevissimo e con paghe che non bastano nemmeno a pagare la luce e il gas. Si fa passare per privilegio ciò che è stato ottenuto con grandi lotte e sacrifici personali (molti in quelle lotte hanno perso il posto di lavoro, e magari anche peggio: non sono stati dei regali). Penso che la situazione sia ormai irrimediabile. Nel futuro, e direi anche nel presente, pagare le tasse universitarie o le prestazioni sanitarie sarà un lusso riservato a pochi. Ai figli dei ricchi e dei benestanti, non alle "classi inferiori"; ed è quello che volevano le classi dominanti, in modo più o meno mascherato. Gli elettori, dal canto loro, si sono fatti abbindolare con discorsi sui rom o sugli immigrati (eccetera), ma la vera posta in ballo era quella.

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