Ho ritrovato il kerosene di recente, in
modo inatteso, guardando un altro film degli anni '50, stavolta a
colori e in formato panoramico: "L'ultima carovana" (The
last wagon, 1956, regia di Delmer Daves). Nel finale, Richard Widmark
respinge gli apache (300 apache contro quindici "dei nostri"
male armati) incendiando appunto un barile di kerosene e scatenando
un'esplosione con fiamme altissime e nere. Che cosa ci fa il
kerosene in un film western, ambientato nel 1873? La cosa mi sembrava
strana, anche perché sul barile c'era scritto soltanto olio lampante
(la scritta "cherosene" è una didascalia della versione
italiana). Probabilmente era un mio vuoto di memoria, o forse non
l'avevo davvero mai saputo, ma è bastata una ricerca veloce per
scoprire che il kerosene era già in uso in quegli anni, soppiantando
l'olio di balena che era appunto usato per l'illuminazione, cioè per
le lampade ad olio. Per questo motivo, probabilmente, il kerosene era
presente nell'ultimo carro disponibile di quella carovana.
Il kerosene fu brevettato nel 1846 da
un chimico canadese, che lo distillò dal carbone; dieci anni dopo,
1856, un chimico polacco riuscì ad ottenerlo dal petrolio in
abbondanza e con un metodo più economico che lo rese molto popolare
in breve tempo. L'uso del kerosene come olio lampante nelle case durò
per qualche decennio, fino all'avvento della luce elettrica e
all'invenzione delle lampadine; continuò ad essere usato nelle case per le stufe a kerosene e come
carburante per l'aviazione, dove lo si usa ancora oggi. Ovviamente, è
un carburante che inquina molto: le fiamme nerissime del film con
Richard Widmark parlano molto chiaro, e ogni volta che un aereo passa
sulle nostre teste bisognerebbe imparare a farci caso, visti problemi
con i motori diesel (a gasolio) sulle nostre strade.
La Garzantina della Chimica (che usa la
grafia italiana, "cherosene"), lo definisce così: «
frazione petrolifera con intervallo di ebollizione compreso fra 175 e
275°C contenente mediamente l'84% di carbonio e il 16% di idrogeno ,
con potere calorifico di undicimila chilocalorie per grammo. Trova
impiego come combustibile e come carburante per motori a reazione.»
Una miscela di idrocarburi, insomma: come la benzina, ma con un
punto di ebollizione più basso. Per intenderci, la nafta (più
densa) bolle fra i 60 e i 100°C; il gasolio fra 200 e 350°C. Per la
benzina il discorso è un po' più ampio, perché esistono diversi
tipi di benzine: si va dai 50-120°C della benzina leggera ai
120-160°C della "normale", arrivando ai 140-200 delle
benzine usate per le vernici sotto il nome di acqua ragia (quelle che
un tempo venivano estratte dalle conifere). La definizione di
"normale" per la benzina in questo caso non va confusa con
quella che era in commercio fino a vent'anni fa: in quel caso la
differenza fra "normale" e "super" era data da un componente aggiunto per migliorare le
prestazioni del motore (per aumentare il "numero di ottano":
una volta lo si studiava anche per risolvere i quiz per la patente, oggi non
so).
Sono tutti derivati dal petrolio, che
viene distillato con gli stessi principi con cui si distilla l'alcool
per i liquori ma ovviamente con impianti molto più grandi e
complessi. Per i liquori si cerca un solo componente, l'alcool
etilico (scartando il primo liquido che esce, che contiene il
velenoso metanolo) e quindi basta un solo alambicco per separare
vinacce, acqua e alcool; le benzine vengono invece distillate nelle
grandi "colonne a piatti" che si vedono in tutte le
immagini di raffinerie petrolifere. Ne riporto qui un'immagine, presa
dal mio vecchio libro di chimica industriale (metà anni '70, ma
rende bene l'idea).
« Le colonne a piatti sono strutture
cilindriche alte parecchi metri, nel cui corpo si realizzano un gran
numero di evaporazioni e condensazioni (...) Lo strato di liquido
stanziante su ciascun piatto varia di composizione a seconda del
livello del suo piatto e risulta progressivamente più ricco del
componente più volatile verso l'alto e del meno volatile verso il
basso. Il liquido che si spilla in modo continuo alla base della
colonna è costituito nel migliore dei casi dal componente meno
volatile puro. (...)» (E.Stocchi, L.Bonzio: Chimica Industriale
vol.1, ed. La Prora 1968).
I piatti non sono propriamente piatti
"di cucina" come si potrebbe pensare, forse sono più
simili a dei tubi di camino o di cappa; per rimanere in cucina, come
esempio, si potrebbe magari pensare al coperchio di una pentola con
la sua condensa, o magari a un piatto da minestra caldo con sopra un
piatto liscio sul quale si condensa il vapore. Nella colonna, facendo un esempio il più semplice possibile,
distillando petrolio avremo nella parte bassa la nafta; a metà il
gasolio, nella parte più alta le benzine, e in cima il gas. Le
frazioni che ne escono sono in realtà composte da molti differenti
idrocarburi, ognuno con un suo nome preciso; le parole gasolio,
nafta, kerosene e benzina sono più che altro denominazioni
commerciali, miscele di varie molecole scelte in base al loro uso
pratico. Dalle benzine, dal gasolio, dalla nafta e dal kerosene (e anche dal catrame) si
possono ancora distillare altri composti, fino ad arrivare ai
reagenti puri per analisi che hanno nomi come xylene, benzene, e così
via.
Da parte mia, non ho mai maneggiato del kerosene; visto l'andamento della mia vita penso proprio che per me continuerà ad essere un riferimento cinematografico, e magari anche il ricordo di qualche brutto voto preso a scuola (ero uno studente molto scarso, ogni tanto è meglio se lo scrivo...).
(in alto, un fermo immagine da "La cosa" di Hawks-Nyby, e qui sotto un curioso poster che ho trovato su internet senza altre indicazioni)
Da parte mia, non ho mai maneggiato del kerosene; visto l'andamento della mia vita penso proprio che per me continuerà ad essere un riferimento cinematografico, e magari anche il ricordo di qualche brutto voto preso a scuola (ero uno studente molto scarso, ogni tanto è meglio se lo scrivo...).
(in alto, un fermo immagine da "La cosa" di Hawks-Nyby, e qui sotto un curioso poster che ho trovato su internet senza altre indicazioni)
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