Il sesto libro dei madrigali viene stampato a Venezia, nel 1614: il fatto che siano passati nove anni tra il quinto e il sesto libro non deve far pensare che Monteverdi non abbia scritto niente in quel periodo, anzi. Sono successe molte cose nella vita del compositore, che nel frattempo è rimasto vedovo, e ha lasciato Mantova e la corte dei Gonzaga per un posto molto ambito, in quella che era la città più importante del suo tempo. Va anche ricordato che il libro a stampa è ancora un’invenzione recente (Gutenberg nacque agli inizi del ‘400 e morì nel 1468) e che anche il diritto d’autore era un’invenzione recente (Cervantes, contemporaneo di Monteverdi, parla spesso della “pirateria” e dei falsi nella seconda parte del Don Chisciotte). Stampare un libro era anche un modo per evitare trascrizioni arbitrarie, come faranno anche Haendel e Vivaldi nel secolo successivo.
Il sesto libro dei madrigali si apre con una versione a più voci (polifonica) del Lamento di Arianna, in origine per una voce sola: è l’unico frammento rimastoci del più grande successo di Monteverdi, l’opera “Arianna”. Ed è ben curioso che non ci rimanga niente di un’opera rappresentata più volte e in città diverse, che ebbe grande successo: ma così funzionava a quel tempo, e non è detto che dagli archivi non salti fuori, prima o poi, una versione dell’opera più o meno completa. Fin qui non è ancora successo, ma non bisogna disperare.
Si dispera invece Arianna: abbandonata da Teseo dopo l’impresa nel Labirinto. Una volta sconfitto il Minotauro, l’eroe greco abbandonerà sull’isola di Nasso la donna che lo ha aiutato e volerà via verso altre imprese. Arianna si dispera e invoca la morte, ma ci sarà il lieto fine: sarà Dioniso stesso (Bacco, se preferite) a prenderla in sposa. L’aria è piena di cose strane, di riferimenti a mostri marini, davvero un’aria di pazzia e di delirio: non sorprende che Dioniso ne sia rimasto colpito.
LAMENTO D'ARIANNA
Lasciatemi morire, lasciatemi morire...
E che volete voi che mi conforte
in così dura sorte,
in così gran martire?
Lasciatemi morire...
O Teseo, o Teseo mio,
sì, che mio ti vo' dir,
che mio pur sei,
benchè t'involi, ahi crudo,
a gli occhi miei.
Volgiti, Teseo mio,
volgiti, Teseo, o Dio!
Volgiti indietro a rimirar colei
che lasciato ha per te la patria e il regno,
e in questa arena ancora,
cibo di fere dispietate e crude,
lascierà l'ossa ignude.
O Teseo, o Teseo mio,
Se tu sapessi, o Dio,
se tu sapessi, ohimè! come s'affanna
la povera Arianna,
forse, forse pentito
rivolgeresti ancor la prora al lito...
Ma con l'aure serene
tu te ne vai felice
et io qui piango;
a te prepara Atene
liete pompe superbe,
et io rimango
cibo di fera in solitarie arene;
te l'uno e l'altro tuo vecchio parente
stringerà lieto, et io
più non vedrovvi, o madre, o padre mio.
Dove, dove è la fede,
che tanto mi giuravi?
così ne l'alta sede
tu mi ripon de gli avi?
Son queste le corone
onde m'adorni il crine?
Questi gli scettri sono,
queste le gemme e gli ori:
lasciarmi in abbandono
a fera che mi stracci e mi divori!
Ah Teseo, ah Teseo mio,
lascierai tu morire,
invan piangendo, invan gridando aita,
la misera Arianna
che a te fidossi e ti diè gloria e vita ?
Ahi, che non pur risponde...
Ahi, che più d'aspe è sordo a' miei lamenti...
O nembi, o turbi, o venti,
sommergetelo voi dentr'a quell'onde!
Correte, orchi e balene,
e de le membra immonde
empiete le voragini profonde!
Che parlo, ahi, che vaneggio?
Misera, ohimè, che chieggio?
O Teseo, o Teseo mio,
non son, non son quell'io,
non son quell'io che i féri detti sciolse:
parlò l'affanno mio, parlò il dolore;
parlò la lingua sì, ma non già il core.
(versi di Ottavio Rinuccini)
martedì 21 dicembre 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
http://www.youtube.com/watch?v=yHjLsbpSi7E&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=VZc2npAmQXM
http://www.youtube.com/watch?v=oGUbKJ3p7H8&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=8VTdERr7LAs
è una canzone bellissima!
una volta ho sentito una voce bellissima, ma non era di queste, chissà.
Nel sesto libro dei madrigali il Lamento di Arianna è a più voci, ed è una cosa ben strana ma è meravigliosa: non si perde una parola e tutte le parole acquistano il loro senso, che alla semoplice lettura si perde.
Esiste anche la versione per voce sola, che è molto eseguita (e molto impegnativa) e che dovrebbe essere la versione così come era nell'opera perduta. Ma per Monteverdi, dati anche i tempi in cui viveva (un tantino remoti)ricostruire le versioni originali è sempre un'impresa, non tanto per la linea di canto quanto per le strumentazioni eccetera.
Qui invece, nei Libri dei Madrigali, è tutto in ordine.
(molto lunga e molto impegnativa, quest'aria: ma ce ne sono di magnifiche anche nell'Orfeo, nell'Incoronazione di Poppea, nell'Ulisse...)(il problema per noi posteri è trovarle, perché sono puro teatro, tipo Shakespeare - che è dello stesso periodo, Cervantes Shakespeare e Monteverdi hanno tutti la stessa età)
Posta un commento