Un altro oggetto che si vede spesso nei filmati di laboratorio, soprattutto nei servizi dei tg, è quello che si vede tra le mani del chimico (o biologo) nell’immagine qui accanto, e che è di solito accompagnato da un portaprovette e da una o più beute e capsule Petri. Una volta detto che una provetta o una beuta sono solo dei contenitori di vetro (o di plastica), e che una Capsula Petri, al di là del nome altisonante, è soltanto un piattino di vetro (tipo sottovaso, ma col coperchio), anche l’imponenza di quest’altro oggetto oblungo e minaccioso va di molto ridotta. Lo so che fa impressione, che sembra qualcosa di inquietante, forse un’arma, una pistola dal raggio disintegratore; ma è soltanto un dosatore, una pompetta. Premendo sul pulsante in alto si aziona uno stantuffo (che non si vede perché è all’interno); rilasciando il pulsante lo stantuffo si rialza e il liquido da campionare entra nell’apposito tubetto. Tutto qui, basta pensare a una normalissima siringa, magari di quelle per i dolci: dieci millilitri di brandy da mettere nei cioccolatini, per esempio.
I dosatori esistono da sempre, hanno varie forme e precisione maggiore o minore a seconda dell’uso; qui ne metto un piccolo campionario. Il più usato è quello che i chimici chiamano “pipetta”: un tubo graduato o tarato, che io e i chimici della mia generazione abbiamo sempre riempito usando come pompa la nostra bocca. Si immerge un’estremità nel liquido, si aspira leggermente dall’altra estremità, si levano le labbra e si tappa velocemente l’estremità con un dito: se fate il contrario, cioè se ci soffiate dentro, otterrete una perturbazione vorticosa e un po’ sconveniente, ottima forse per fare le bolle di sapone ma del tutto inutile in campo analitico.
I chimici di oggi sono più imbranati, o più schifiltosi, e non lo fanno più; ma a me fa un po’ impressione il fatto che sul lavoro non si riesca a distinguere dove c’è il pericolo e dove invece si possa stare un po’ più rilassati. Per intenderci, mai e poi mai avrei pipettato dell’acido solforico usando la bocca; ma se uso l’acqua distillata, o una soluzione diluita di sapone, il pericolo è inesistente. In situazioni di pericolo inesistente, oggi, è diventato obbligatorio usare tute, guanti, caschi, maschere, occhiali, e a me questo sembra assurdo. Mi sembra assurdo che due muratori che devono costruire un muretto in aperta campagna, da soli e senza carichi sospesi sopra, debbano passare ore e ore sotto il sole con un casco in testa; e mi è sembrato assurdo, in questi giorni del terremoto in Emilia, vedere i pompieri lavorare tutto il giorno sotto il sole con addosso pesanti tute ignifughe.
Ma così va il mondo, a me avevano insegnato a lavorare prendendo conoscenza di dove c’è veramente il pericolo, e non ho mai visto nessuno farsi male per cose come queste; però da qualche anno nessuno vuole più prendersi la minima responsabilità, comandano gli avvocati e le compagnie di assicurazioni, il gioco a scaricabarile continua, e purtroppo continua sempre più sulla pelle dei lavoratori. Ma qui mi fermo, avrei molte cose da dire e molti esempi da fare, ma sto uscendo dal tema che mi ero posto, e cioè di far capire a chi non è mai stato in un laboratorio chimico che cosa sono le immagini che vede alla tv o al cinema.
E dunque metto qui l’immagine di un oggetto decisamente simpatico, il propipettatore detto anche “palla di Peleo” (non so dire perchè) o più prosaicamente “porcellino”: una semplice pera di gomma, premendola funziona da pompa. Tutto qui, con l’aggiunta di due piccole valvole da premere, una per aspirare e l’altra per scaricare.
Tra gli altri oggetti graduati sempre presenti in un laboratorio chimico, anch’essi strumenti di precisione, non mancano mai i matracci tarati, detti anche palloni tarati: riempiendoli fino a una tacca prefissata si ha una quantità esatta di liquido. Possono essere di varie misure, da un litro, da mezzo litro, da 250 cc, da 100, da 10, eccetera. Di solito sono a forma di fiasco, di bottiglia col collo molto stretto: il collo molto stretto permette di vedere bene la tacca e di essere precisi. Molto importante è la temperatura a cui si opera: se siamo d’estate e fa molto caldo il vetro si dilata, quindi in un laboratorio al temperatura dovrebbe essere sempre intorno ai 20°C. Non solo per questo motivo, ma anche perché molti solventi evaporano a temperature basse: nel laboratorio dove ho lavorato per 15 anni, ad esempio, mancava del tutto l’aria condizionata. Io e miei colleghi abbiamo respirato tutte le estati vapori di cloroformio, acetone, etere etilico, alcool etilico puro, e altri vapori ugualmente benefici: è per cose come queste che mi arrabbio quando penso che, nonostante questo, i miei capi a un certo punto si misero a insistere per farmi usare le protezioni quando pipettavo l’acqua distillata con dentro il sapone (avete presente quando vi lavate i denti? il dentifricio è enormemente più concentrato di una soluzione di detersivo di 5 grammi sciolti in un litro...).
Per uscire dalla deriva di rabbia e frustrazione in cui sto cadendo (I’m sorry, ma anche a distanza di anni non riesco a non pensarci) metto dunque un’altra foto di Mr. Spock, al secolo Leonard Nimoy, stavolta alle prese con un matraccio graduato da 500 cc (mezzo litro) del tipo che ho descritto qui sopra. La foto di Star Trek l’ho presa in rete da un sito molto piacevole, http://mudwerks.tumblr.com/ ; le altre immagini vengono da http://www.wikipedia.it/ , da http://www.repubblica.it/ , e da cataloghi di oggetti scientifici.
Turno di notte - Carmen Giardina
8 ore fa
2 commenti:
Sulle norme di sicurezza, tanto più occhiute quanto più inutili, hai perfettamente ragione.
Questi post sulla "Chimica al cinema" sono, per me che non so nulla di strumenti di laboratorio, davvero interessanti. Ci dai una chiave per entrare in un mondo sconosciuto e di questo ti ringrazio.
Ne approfitto per chiederti se hai letto il libro di Stefano Bartezzaghi su Primo Levi e l'enigmistica. Ne ho sentito parlare in un'intervista e mi ha molto incuriosito; Mi piacerebbe saperne di più sulla passione di Levi per gli enigmi, cruciverba e rebus, che, da lettrice appassionata della Settimana Enigmistica, condivido pienamente. Grazie e a presto
la manualità, il saper usare le mani, conta sempre meno; e questo comporta il non riuscire più ad avere un rapporto normale con il mondo che ci circonda, che non è virtuale. Il fenomeno era già evidente con quelli della mia generazione, se mi paragono a mio padre o a uno dei miei zii mi sento un incapace; e ogni giorno che passa le cose peggiorano.
Quando ne parlo tutti mi dicono "eh, ma il casco, ma i guanti..." e se gli dico "guarda che anche il salumiere che lavora con i guanti...i guanti si dovrebbero buttare ogni volta, altrimenti è meglio usare le mani"...
mah.
Primo Levi è una scoperta continua, aveva molti interessi e molte curiosità. Ho letto le recensioni al libro di Bartezzaghi, però io direi che di Levi c'è moltissimo da recuperare, per esempio "La ricerca delle radici" è un libro bellissimo.
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