Quattro passi in Galleria,
per veder se alfine ha chiuso
qualche altra libreria...
Rispetto a quando l’ho conosciuta io, a metà anni ’70, la Galleria appare ormai vuota, ci sono solo negozi di lusso e megastore, negozi tutti uguali, cose “pensate per stupire”: vale a dire che visto uno li hai visti tutti, i negozi di scarpe ci sono anche vicino a casa mia.
Mi si obietterà che in Galleria i libri ci sono e sono tanti, ma il problema è che, arredamento a parte, è difficile distinguere la Feltrinelli dalla Rizzoli o dalle Messaggerie (eccetera): i libri che vi si trovano sono gli stessi, se non trovate un libro alla Rizzoli non c’è neanche alla Feltrinelli, e viceversa. Non è sempre stato così, anzi; ma questa società è sempre più omologata e standardizzata, stavo per dire formattata, e se ho fatto l’esempio delle librerie per iniziare a parlare della Galleria è perché mi sembra un’ottima metafora di quello che è successo qui a Milano e in tutta la Lombardia, e un po’ ovunque. Non sono solo i negozi ad essere stati “sterilizzati e formattati”, purtroppo; e non credo che il vento possa girare tanto presto.
Milano è una città in gran parte ottocentesca, risorgimentale; o magari settecentesca, o leonardesca, o bramantesca. Ai nuovi arrivati questa Milano non piace, preferiscono i grattacieli e il cemento. Non è successo solo a Milano, altrove si è fatto anche di peggio: a Parma, per esempio, o magari a Como, dove sono nato e dove ho studiato. L’Italia è fatta in gran parte di edifici storici, antichi; ogni città è diversa dall’altra, e questa è sempre stata la sua forza e la sua bellezza. I nuovi governanti, invece, non sopportano quest’idea delle città come memoria storica, non sopportano l’idea della continuità nel tempo, loro vogliono “rivoltare l’Italia come un calzino”, e purtroppo in gran parte questo è stato fatto. Marco Paolini in uno dei suoi spettacoli ha detto che “l’Italia è un Paese di montagna e di collina, ma i suoi abitanti si ostinano a pensare che sia tutta pianura”; concordo, e potrei completare la frase così: “l’Italia è un Paese antico e di grande storia, ogni città è diversa dall’altra, ma gli italiani pensano che siano meglio i megastore e le autostrade”. Insomma, basta con Milano, con Parma, con Mantova, con Pavia, con Verona, con Treviso, con Urbino e Viterbo: il futuro è Las Vegas, è Los Angeles. Vicino a Las Vegas e a Los Angeles c’è il deserto, ed è per questo che sono così ampie e hanno strade così larghe; qui da noi è tutto un saliscendi, bisogna fare i tunnel; qui da noi ci sono città con strade costruite pensando ai carri e ai cavalli, che sfiga. Il deserto non c’è? Ebbene, lo facciamo: detto e fatto, ormai non manca molto, si lavora 24 ore su 24 a questo scopo (e non è una battuta, attenzione).
La preoccupazione per il futuro è ancora più grande. Per esempio, basta guardare in su, in Galleria, e si vede subito che tutti i palazzi avrebbero bisogno di un bel restauro: a volte basterebbe una mano di tinta, altre volte viene il dubbio che dietro, dentro, sia tutto molto peggio di quello che appare dall’esterno. I negozi magari sono belli, perché li hanno appena risistemati; ma il resto?
E’ quindi con con uno spirito diviso che vado a leggere dei progetti sulla Galleria, e del suo futuro. Il pavimento, la zona dove si cammina, è stato appena risistemato (quanto durerà?); il tetto viene controllato periodicamente e si spera che sia un lavoro fatto bene; di tutto il resto, cioè dei palazzi e dei negozi, si sta discutendo in queste settimane. Le sensazioni contrastanti nascono dal tipo di proposta che viene fatto, cioè la cessione di gran parte della Galleria ai big della moda: un progetto che sembra appartenere a un’altra epoca, a un’altra giunta, e invece ci stanno pensando il sindaco Pisapia e l’architetto Boeri. L’obiezione numero uno è che per sistemare la Galleria servono soldi, e tanti; quindi ben vengano i ricconi, ma a patto che a comandare siano i cittadini. Se così non è, se il centro di Milano diventerà sempre più un deserto, a che cosa servirà tutto questo?
I centri storici delle nostre città erano abitati: pieni di vita, di persone, di cose, di animali. Se guardate con attenzione i film degli anni passati, potreste stupirvi: rispetto ad allora noi sembriamo tutti omini del Lego, ognuno nella sua pista, tutti finti, come nei rendering degli architetti. Non so a voi, a me ha fatto una terribile impressione negli ultimi 10-15 anni vedere spuntare tutte queste barriere, tutti questi divieti, tutte queste multe; e la nuova giunta milanese, che in teoria dovrebbe essere di sinistra, alternativa, si sta muovendo più o meno allo stesso modo delle giunte precedenti, dei Moratti, gli Albertini, eccetera. L’ultima novità: adesso nelle stazioni e nella metropolitana bisogna timbrare anche in uscita. In futuro, metteranno i tornelli anche per entrare in Galleria? Non si può mai dire, la burocrazia trionfa ovunque, è uscita da tempo dagli uffici e sta invadendo ogni più piccolo angolo della nostra vita (anche un tornello in più è burocrazia, anche un'obliterazione in più è burocrazia...)
Ci sarà mai una vera alternativa, si tornerà a una città abitata da esseri umani e non da automi o da zombies? Io non ci spero più, anche perché non è mica solo una questione di politici, sindaci e assessori sono eletti e rispecchiano i loro elettori. Basta guardarsi in giro: sono sempre di più le persone che camminano con le orecchie tappate (cuffie), con gli occhi chiusi (guardano il tablet), o che parlano da sole ad alta voce (auricolari e viva voce). Cosa sono, persone o automi? Non so più cosa dire, ogni volta che passo in Galleria mi sento sempre più a disagio, forse sono io l’intruso, ormai penso sempre più spesso che per loro non esisto nemmeno più: “I’m the legend” come direbbe Richard Matheson.
Io in Galleria ci metterei come prima cosa un negozio di ciclista, di quelli di una volta, prezzi bassi e riparazioni veloci. Ce ne sarebbe un gran bisogno, e poi sarebbe un gran bel messaggio: altro che i tornelli e le obliteratrici da timbrare, vuoi mettere?
(le immagini vengono da vecchi giornali e quotidiani, è passato molto tempo da quando le ho raccolte, non riesco più a recuperare le fonti e me ne scuso; la vignetta viene da La Settimana Enigmistica www.aenigmatica.it e non è originariamente collegata a Milano, si tratta di una mia libera interpretazione)
Fabrizio RAVANELLI
17 ore fa
6 commenti:
Il paragone con i rendering degli architetti è proprio giusto. ( Che tristezza )
I centri sono vuoti anche perchè sono pieni i periferici centri commerciali. ( come sopra )
Per ciò che concerne i timbri in uscita, cianciano tanto di libero movimento, di privacy e poi, eccoli lì, puntuali...
p.s.
You are the legend, per altri motivi e, comunque, a prescindere.
L'Aquila è l'esempio: un terremoto, e poi tutti nelle new town, con i centri commerciali.
Chiedo scusa per la battuta, ma a volte mi viene da pensare che campanili e monumenti, Pompei in primo luogo, crollino perché non gliene frega più niente a nessuno. Ormai siamo un popolo senza storia, e senza memoria.
Lo conosci il libro di Matheson? Ho messo da tempo il riassunto tra i miei Incubi e Profezie...
Ho appena letto il tuo post; non conoscevo Matheson ed il suo "I am the legend". Se ci penso, gli incubi, tutti, hanno una costante: il ribaltamento ed il senso di isolamento, quello più totale.
con L'invasione degli ultracorpi, il libro di Matheson fa una bella coppia di gemelli. Uno di questi giorni lo porto qui, finora è solo sul blog di cinema...
Lavoro per il Ministero beni culturali e sono convinta che il degrado dei centri storici, la trasformazione in un mega- store sono aumentati da quando Ministri di destra e sinistra hanno minato alle basi il potere di" vincolo"delle Soprintendenze. Ora i permessi edilizi nei centri storici sono affidati per lo più agli uffici tecnici dei comuni. Hanno voluto smantellare il ministero per fare man bassa sul territorio e ora le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
sì, hai ragione. è stata la mentalità dominante degli ultimi vent'anni, un disastro. Io non sono un esperto, ma poche settimane fa ho ascoltato un urbanista (non mi ricordo più il nome, ovviamente è uno fuori dal giro, facile dimenticarselo...) che diceva le stesse cose che dici tu, con un'aggiunta: fino agli anni '90 era vietato mettere a bilancio gli oneri di urbanizzazione, poi è stato consentito sempre in nome dell'autonomia, del federalismo, eccetera.
Io di mio aggiungerei una cosa: che molti di quelli che votano a sinistra o si dicono di sinistra non hanno idea di cosa sia la sinistra, e - soprattutto - hanno completamente dimenticato i numerosi modelli di buona amministrazione, soprattutto in Emilia e in Toscana, che erano quasi tutti a guida PCI. Il PCI non c'è più, non ci sono più nemmeno quelle persone...
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