martedì 23 agosto 2011
Puccini ( I )
Non c'è nulla da fare, Puccini mi frega sempre. Hai voglia di ridere, leggendo il libretto della Butterfly o della Bohème o della Tosca: di goffaggini ce ne sono tante, e poi le sai già tutte a memoria, come si fa a mettersi a piangere, ancora, alla tua età, con Mimì e con Cio-cio San? E invece succede, perché Puccini ti frega sempre.
Me lo ricordo ancora, come se fosse oggi: Mirella Freni alla Scala, con il maestro Kleiber che fa segno all'orchestra "più piano, sempre più piano", e per spiegarsi meglio si accascia sulle ginocchia, quasi a scomparire dietro il leggio; e i colpi di timpani, alla fine della Madama Butterfly, nell'edizione diretta da Chailly, che vanno diritti a colpirmi nella bocca dello stomaco, al plesso solare, là dove nascono le emozioni più forti e incontrollabili.
Il problema di Puccini è che è troppo bravo. Troppo belle le sue melodie, troppo orecchiabili, alla fine uno si ricorda solo quelle ("Nessun dorma", "O dolci baci o languide carezze"...), e invece bisognerebbe ascoltare bene l'orchestra, e questo a teatro si può fare. Per esempio "La fanciulla del West" (testo di rara goffaggine e insipienza drammatica) nelle mani di un grande direttore sinfonico com'era Sinopoli, diventa quello che è in realtà: un contemporaneo di Mahler, solo che Puccini ha due anni di più e Mahler ha di sicuro ascoltato Puccini, perché il boemo in vita era famoso quasi solo come direttore d'orchestra.
Ci sono solo due cose che non mi piacciono di Puccini, e sono le due arie famose della Bohème, "Mi chiamano Mimì / Che gelida manina". Non le sopporto, mi suonano proprio male; ma forse il difetto è tutto mio. Comunque sia, quando prendo in mano la Bohéme preferisco andare all'inizio del terzo atto, alla Parigi che si risveglia la mattina sotto la neve, con i due innamorati che si lasciano e si riprendono, l'amore che fa rima con dolore, e con la musica più grande del mondo.
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