Intervista con Riccardo Muti
di michele smargiassi, rep ven 26 novembre 2010
RAVENNA. E’ difficile dirigere un'orchestra preoccupata per il suo futuro, è una gran fatica fare cultura in un Paese sfiduciato. Nello «stellato soglio» della sua bella casa di Ravenna Riccardo Muti recupera le forze per affrontare all'Opera di Roma una vera impresa: il Moise di Rossini, versione francese del Mosé in Egitto, debutto il 2 dicembre, oltre quattro ore di musica, canto e balletto su allestimenti imponenti; ma non riesce a farlo del tutto serenamente. (...)
- Ce la farà? Il Mar Rosso rischia di richiudersi prima ancora dell'ouverture: deficit ripianato a fatica, musicisti preoccupati...
«In Italia faccio sempre più fatica a concentrarmi. Primum vivere deinde philosophari, quant'è vero. Sono abituato a spendere anche un'ora su una singola nota, su un timbro, ma mi sento a disagio se devo chiedere questa concentrazione a musicisti che non sanno se arriverà lo stipendio a fine mese o che cosa sarà del loro lavoro fra un anno. Vale per tutti i mestieri, ma se un impiegato può tirare a campare, l'artista sa che deve dare tutto, perché il suo compito non è intrattenere ma arricchire. Non ho mai visto un'orchestra a cui piaccia suonare male, ma per suonare bene devi essere sereno, devi sapere che puoi permetterti una visita medica e mantenere i figli a scuola. Quando i ragazzi della Cherubini, l'orchestra giovanile che dirigo, i più talentuosi o fortunati allievi dei nostri conservatori, mi dicono "grazie Maestro, ma dopo?", che cosa racconto?».
- Già, che risponde?
«Può fare cultura solo chi sa di poter vivere una vita dignitosa. Ma oggi i teatri italiani fanno fatica a programmare, alcuni rischiano la chiusura, le orchestre sono ormai decimate».
- La crisi c'è per tutti... (...)
«Paghiamo il fatto che le classi dirigenti non hanno cultura musicale. Tranne Napolitano e pochi altri, non vedi mai politici ai concerti. Anche l'idea dei licei musicali è un errore: togli la musica da tutte le altre scuole per confinarla in un ghetto. La musica va insegnata ovunque, e non dico far suonare quei tremendi flautini, intendo la storia, l'ascolto».
- Ma se la tivù è piena di bambini che cantano...
«Appunto, in televisione musica significa bambinetti allo sbaraglio che imitano gli adulti su palchi luccicanti; mentre nessuno fa vedere esperienze straordinarie come la banda cittadina di Delianuova, in Calabria, che ho voluto dirigere al Ravenna Festival, ottanta ragazzi di disciplina oxfordiana che hanno preso in mano un clarino invece che un fucile».
- Intanto crollano le case di Pompei. Lei è nato a Napoli, maestro, come ha preso la notizia?
«Come si dice in italiano, vediamo... incazzato? Non so di chi è la colpa, ma non mi parlino della pioggia. Quel che non fece neppure lo sterminator Vesevo, come lo chiamava Leopardi, ha fatto l'incuria. I gioielli si proteggono. Se Pompei è patrimonio dell'umanità, dovrebbero licenziarci come custodi incapaci. In Italia la cultura non è una ricchezza, è un fardello sulle spalle, un sacco pieno di toppe. Cultura, cultura, questa parola si riveste solo di retorica, finiremo per essere come i pregamorti della mia Puglia, quelli che piangono a comando nei funerali». (...) «Io sono sempre stato via, in realtà, ma posso dire queste cose perché un lavoro per il mio Paese continuo a farlo. Il mio amore per l'Italia è enorme e mi sento in debito. Vengo dai conservatori italiani, che hanno dato una chance a un ragazzino nato a Napoli e cresciuto a Molfetta che poi è finito a dirigere quattro volte i concerti di Capodanno a Vienna».
La denuncia del grande direttore d'orchestra in un'intervista all'Adnkronos "Abbiamo perso la capacità di sentire il 'bello', che per secoli abbiamo dato al mondo"
MUTI: "L'ITALIA HA ABDICATO ALLA SUA STORIA MUSICALE"
Riccardo Muti (da La Repubblica, 9 gennaio 2010 )
«L'Italia ha abbandonato la musica al suo destino, come se fosse un fenomeno obsoleto, mentre nel resto del mondo, compresi i Paesi emergenti a cominciare dalla Cina, c'è rispetto e interesse per la cultura occidentale.» La denuncia viene dal maestro Riccardo Muti. «L'Italia ha abdicato alla sua storia culturale e musicale in particolare, a causa di una concezione generale della cultura che non riguarda solo i politici di oggi, ma è una storia lunga nel tempo», dice il grande direttore d'orchestra italiano in un'intervista all'agenzia Adnkronos. «Noi italiani – aggiunge - abbiamo dimenticato che la musica non è solo intrattenimento, ma è una necessità dello spirito. Questo è grave perchè significa spezzare delle radici importanti della nostra storia».
Muti punta il dito contro alcune "trasmissioni televisive dove la musica e soprattutto l'opera lirica, vengono presentate come cose obsolete. Così si respingono i giovani invece di interessarli". Al contrario, racconta, "in Cina, dove sono appena stato per dirigere l'orchestra di Shanghai, stanno puntando molto sulla musica occidentale, preparando i giovani musicisti i quali studiano nei conservatori occidentali e poi tornano in Cina per suonare nelle loro orchestre. I cinesi costruiscono nuove sale da concerto e scommettono culturalmente su quello che noi italiani invece stiamo esaurendo. In Italia abbiamo perso la capacità di sentire il 'bello', quel 'bello' che per secoli abbiamo dato al mondo e che adesso non sentiamo più".
Sono d’accordo su tutto, però passando vicino alla scuola elementare del mio paese, la primavera scorsa, ho ascoltato una bella esecuzione della “marcia turca” dalla Nona Sinfonia di Beethoven, tutta fatta con i flautini. Evidentemente, mi vien da pensare, molto dipende anche dall’insgenante...
PS: la marcia turca, nel quarto movimento della Nona Sinfonia di Beethoven, è da sempre molto famosa; e fu resa molto popolare anche dall’arrangiamento elettronico in “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick.
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