1.
L’intervistatore: Lei come ha scoperto la sua voglia di regia?
Federico Fellini: Allora, la voglia di regia...(ride) Può darsi che ci sia, la voglia di regia: ma io veramente non me la sono mai scoperta perché io pensavo di non essere affatto né votato né vocato. Non me la sono mai sentita, io non avevo nessuna voglia di fare il regista...
L’intervistatore (interrompendolo, incalzando): Per lei è stato facile o difficoltoso arrivare al “grande film”, il suo primo film...
Federico Fellini (con pazienza): Appunto, le stavo dicendo che tutto questo arrivò per l’avventatezza di un produttore che si chiamava Rovere, che trovandosi sul tavolino una sceneggiatura che io avevo scritto con Pinelli e che doveva venire diretta da Antonioni, avendo Antonioni all’ultimo momento rifiutato di dirigerla perché non gli piaceva, non gli era congeniale, e avendo io difeso accanitamente questa sceneggiatura, ma proprio per tentare di avere l’ultima rata che se no venivano (i creditori) a minacciarmi, il produttore allora mi ha detto: «Ma allora perché non lo fai tu?». Me l’ha detto con un tale tempismo, proprio mentre io dicevo che era il copione più bello del mondo, che raramente, eccetera, che io non sono stato pronto a dire “ma io che c’entro, io faccio lo sceneggiatore”.... (...) Non sapevo niente di tecnica, non sapevo il valore degli obiettivi... i primi operatori mi prendevano anche un po’ in giro. C’era Aldo Tonti, che era un buffoncello, spiritoso, che mi obbligava a guardare in un punto dove non si vedeva niente, una specie di manovella, sotto (mima il gesto, fa una specie di mirino con le dita di una mano e lo pone vicino all’occhio, ridendo). Io non avevo il coraggio di dire che non si vedeva niente, e continuavo a dire “mettiti un po’ più in basso”, queste cose qui. Invece era un bottone, quello: l’obiettivo era un po’ più sotto.
(Federico Fellini, da un’intervista filmata alla RAI negli anni ’80)
2.
L’intervistatore: Lei si trovò molto bene anche con Gregg Toland.
Orson Welles: Oh, sì. Sa, fu lui a venire da me. Non lo avevo richiesto io. Un giorno in ufficio mi dissero: "C'è un signore che si chiama Toland che vuole vederla". E naturalmente si trattava del miglior direttore della fotografia. Lui mi disse: "Vorrei fare il suo film". Io risposi: "Fantastico. Ma perché? Io non ne so nulla di cinema". "Proprio per questo", disse lui. "Perché penso che se la lasciano fare tutto da solo il più possibile, avremo un film che sarà davvero diverso. Sono stanco di lavorare con gente che ne sa fin troppo". Poi ci fu un momento di attrito durante la prima settimana di riprese - ma forse era la seconda settimana - quando qualcuno mi disse all'improvviso che non rientrava tra i compiti di un regista occuparsi di piazzare l'illuminazione. Fino a quel momento avevo disposto io tutte le luci con Toland che mi veniva dietro ad aggiustarle meglio, ripetendo: "Non lo dire a nessuno”, capisce? Quindi dovetti andare a scusarmi con lui. Un altro brutto momento fu quando non capivo i raccordi di direzione. Questo perché avevo imparato a fare film guardando Stagecoach (Ombre rosse, di John Ford) tutte le sere per un mese. Perché se vedete Ombre rosse, noterete che gli indiani attaccano da sinistra verso destra, e poi attaccano da destra verso sinistra. e così via. In altre parole, non si segue una direzione precisa, il film infrange ogni regola in proposito. E io lo vidi almeno quarantacinque volte. Così ovviamente quando mi dissero che in un'inquadratura di controcampo dovevo guardare la macchina da presa verso sinistra invece che verso destra io risposi: "No", perché mi trovavo in piedi di fronte... cose del genere, capisce? Così fermammo la lavorazione. E alle due del pomeriggio tornai a casa mia, dove Toland mi spiegò come funziona la cosa. Io gli dissi: "Dio, quante cose ci sono che non so", e lui rispose: "Niente che non possa insegnarti in tre ore". Ed è a questo che mi riferisco quando dico che ho imparato tutto in tre ore, una frase che è stata presa per un'affermazione superba e spocchiosa. Toland aveva l'idea che chiunque potesse imparare tutta la tecnica in tre ore. Quindi mi insegnò il cinema in tre ore. Tutto questo si può insegnare, il resto dipende dalle tue capacità.
(Orson Welles, intervista del 1982 alla BBC, a pag.264 del volume “It’s all true”, editore Minimum fax)
3.
L’intervistatore: Non aveva un rapporto intellettuale con il cinema?
Frank Capra: Più tecnico ed emotivo, che intellettuale. Amo la scienza e ci so fare. Che abbia scelto il mestiere sbagliato? Comunque, il mio approccio era molto naif. Non avevo seguito nessun regista e nessun sistema. Non ero andato a nessuna scuola. Lavoravo nel mio piccolo, con progetti a basso costo, sui 25 mila dollari. Il primo "colossal" è stato Orizzonte perduto, che costava due milioni di dollari. Ma era un'eccezione, in generale i miei film costavano poco e rendevano molto. E poi usavo la testa, applicavo la mia scienza, da ingegnere. (...) il mio approccio era diverso: io ero studente di ingegneria, avevo una formazione tecnica. Sono diventato regista per caso. C'è una ragione: sono stato costretto a lavorare perché ne avevo bisogno. E lavoravo per una piccola società, che veniva chiamata «a facoltà limitate» perché le risorse erano scarse e si lavorava con budget esigui. Ma questo lavorare con poco, e il rapporto con la gente, mi hanno fatto crescere. Vedi, se hai tutto, è facile. Ma se hai poco, è una lezione di vita. Nessuno dei miei film ha superato il budget previsto. Perché ero abituato al poco.
L’intervistatore: Insomma lei è come i suoi eroi, il John Doe venuto dal nulla... Si identifica con loro?
Frank Capra: Mi identifico con la gente che ho conosciuto nella mia esperienza. Ho conosciuto ricchissimi e poverissimi, ma ho avuto fiducia fede e amore per la gente. La amo. Un uomo può mutare qualcosa nel suo mondo e nei suoi limiti, può fare differenza. A me interessa la libera mente, libera di pensare e di creare.
(Frank Capra, intervista filmata del 1982, riportata all’inizio del volume del “Castoro Cinema” a lui dedicato)
Non sto qui a fare l’elenco dei premi, dell’ammirazione, e dei riconoscimenti (e degli incassi favolosi al botteghino) che sono stati ricevuti da Fellini, da Welles, da Capra. Mi limito però a pensare a questo, da semplice spettatore e appassionato: che nessuno dei tre ha frequentato scuole di cinema. Nemmeno Huston, Chaplin, Eastwood, sono mai andati a scuola di cinema. Stanley Kubrick era forse l’unico che ne sapeva qualcosa in partenza: a diciassette anni faceva già il fotografo. Oggi invece abbiamo le scuole di cinema e di sceneggiatura: col risultato che i film sono tutti uguali, che le sceneggiature sono prevedibili, che il pubblico medio è ormai di ragazzi molto giovani e di bambini. Beati loro, i bambini e gli adolescenti: a loro sembrerà nuovo tutto. Per quanto riguarda me, mi converrà passare ai videogames. Dicono che ce ne sono di molto belli, che ci si appassiona.
PS: le nuove tecnologie sono facilissime, i costi sono irrisori, oggi basta pochissimo per mettersi a fare film. Il problema, casomai, è la distribuzione...
Life History of the Forget-me-not
5 ore fa
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