martedì 1 giugno 2010

Il futuro dell'Opera in Italia

Quando ho visto questa pagina di pubblicità qui a fianco, sviato anche e soprattutto dal fatto che la ballerina è capovolta e non facilmente individuabile a prima vista, ho pensato alla réclame di un tonno in scatola.
Distratto da altri pensieri, ho girato pagina e poi sono tornato indietro: no, un “tonno Petruzzelli” non l’avevo mai sentito, suonava bene ma il nome Petruzzelli nella mia memoria era associato un’altra cosa. Ed eccolo lì, il teatro d’opera di Bari che si fa pubblicità con una pagina intera su un noto settimanale: la stagione d’opera, concerti e balletti del Teatro Petruzzelli di Bari. Ma perché mai il Teatro Petruzzelli si fa pubblicità su un giornale nazionale? Forse al Petruzzelli non ci va nessuno e hanno bisogno dei turisti per riempirlo, come fa da tempo l’Arena di Verona?
Sono interrogativi tutt’altro che banali, anche e soprattutto alla luce dei recenti tagli governativi agli enti lirici e a tutto il mondo della cultura. Vedo quindi di ragionarci sopra un po’ e parto dalla mia esperienza personale: a casa mia nessuno si interessava di musica, al massimo qualche canzone. Anche tra i vicini di casa, e tra i parenti, non c’era nessuno appassionato di musica, a parte il festival di Sanremo e la musica per andare a ballare, niente di niente. Però io sapevo cos’era l’Opera: non mi piaceva per niente, ma sapevo che c’era: in tv davano spesso opere e concerti, anche in diretta; il mio maestro alle elementari ci aveva fatto ascoltare dei dischi (penso che fossero suoi) con il coro del Trovatore, eccetera. E poi c’era anche la radio, il terzo canale si prendeva facilmente, e poi c’erano solo tre canali di radio da prendere, prima o poi ci si finiva sopra e si ascoltavano quelle cose strane e ridicole, chissà mai cosa ci troveranno, chissà come fanno ad ascoltarla.
Però qualcosa mi era rimasto dentro, e dopo i 18 anni mi sono accorto che c’era molto di buono, e da allora ho ascoltato tutto l’ascoltabile o quasi, sono andato ai concerti e ho frequentato i teatri d’opera, eccetera. Quando decisi di comperare un’Aida (anno 1979, avevo quasi ventun anni), cioè la prima opera completa della mia vita, trovai a Como un negozio dove un signore onesto e competente, dopo aver visto che ne capivo poco o niente e avevo pochi soldi in tasca, mi consigliò un’edizione discografica un po’antica ma molto ben fatta.
Ecco, facciamo il paragone con quello che è successo dopo. Non ho raccontato queste cose per fare la mia autobiografia (chi se ne frega), ma per fare un confronto con quello che è successo dagli anni ’80 in qua: quante opere liriche può aver visto in tv, o ascoltato alla radio, un bambino di questi ultimi vent’anni? Come fa a sapere se l’opera gli piace oppure no? La risposta è semplice: se non ha nessuno in casa che è appassionato di musica, può arrivare anche a venticinque o trent’anni senza aver mai ascoltato niente di niente, festival di Sanremo e radiodigei a parte.
L’ultima opera lirica trasmessa in diretta dalla Rai è un Macbeth che apriva la stagione della Scala: fece un milione di ascoltatori, e i commentatori ridacchiarono e insultarono sprezzanti chi aveva preso quella decisione: il comico Panariello, il sabato sera, ne faceva sei milioni; e poi nel Macbeth non si poteva mettere la pubblicità, due ore senza neanche un minuto di pubblicità, che spreco, che bestemmia. Di conseguenza, si decise una volta per tutte che il comico Panariello era sei volte meglio di Giuseppe Verdi: sipario chiuso, e non se ne parlò più.
Tutto quello che è venuto in seguito non è che la conseguenza di questi fatti. Ormai siamo a due generazioni di giovani (25 anni di tv commerciale non sono mica pochi) che sono cresciuti senza sapere che cos’è l’Opera e che cos’è una Sinfonia, o un Quartetto d’archi: significa un taglio netto e irreparabile con la tradizione e con il nostro passato.
Lo si voglia o no, è così. Milioni di giovani, e anche di quarantenni e di cinquantenni, trovano patetico e ridicolo uno strumento musicale non elettronico, e violini e violoncelli gli sembrano soltanto un pezzo di mobile – e un mobile antico, di quelli del bisnonno, perché oggi i mobili di legno non si fanno più.
Conclusione: se fate scorrere i nuovi canali della tv digitale, non ce n’è uno dedicato alla cultura. Eppure, la Rai da sola adesso ha tredici canali a disposizione: fare un canale come “Arte” avrebbe costi bassissimi, visto il magazzino Rai, e magari qualcuno potrebbe appassionarsi ancora a queste vecchie e ridicole cose. Ma non se ne parla nemmeno, non c’è nessun dibattito in corso, si dà per scontato che i nuovi canali servono per raccogliere pubblicità e per le partite di calcio da trasmettere a pagamento, con l’apposita smart card. E i dischi, i cd, i dvd? Tutta roba vecchia, obsoleta, ormai si scarica da internet, i negozi gestite da persone competenti capaci di consigliarti sono completamente scomparsi, non solo nelle piccole città ma anche a Milano.
E’ la fine, la fine di una tradizione che ha tenuto alto il nome dell’Italia nel mondo: negli anni ’30 eravamo famosi più che altro per i gangsters i fascisti e i mafiosi, ma poi c’era Toscanini; negli anni ’70 e ‘80 eravamo sempre mal visti come italiani, ma poi c’era Claudio Abbado, c’era Giulini, c’erano Muti e Chailly, c’era Maurizio Pollini, Pavarotti, Mirella Freni... Fine della corsa. L’Italia ha voltato pagina, e per sempre: se volete l’Opera andate in Cina, in Corea, o magari a Berlino.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto bello anche questo post. Condivido e sottoscrivo molto di quello che hai scritto.

Giuliano ha detto...

E' un discorso che vale anche per il jazz, per il rock, per tutta la musica comntemporanea...L'altro giorno ho letto un articolo di un tizio che sbeffeggiava i funzionari Rai che snobbarono i Beatles nel 1964, ma qui siamo messi molto peggio: quelli là non conoscevano i Beatles ma sapevano un sacco di cose, i funzionari tv di oggi a cosa pensano? (pensano?).
Speriamo in internet, ma censurare anche qui in rete sarà molto facile (compresi gli I-pad e tutte le nuove tecnologie...)

angela ha detto...

dovevo andare con mio papà, appassionato di musica lirica, a vedere la Turandot nel riaperto Petruzzelli. Tutto esaurito! Va bene, andremo alla Traviata, ho pensato, macché è tutto esaurito per almeno un anno e forse più. Pure i balletti.

Giuliano ha detto...

è una buona cosa, ma i teatri si riempiono in fretta: la Scala fa duemila posti, il San Carlo qualcosa in più, il Petruzzelli non so ma non è certo uno stadio di calcio. E comunque, uno stadio di calcio al massimo arriva a centomila persone: e, soprattutto, se si fanno Aida e Turandot la gente corre, ma mica si può fare solo Aida e Turandot, e Traviata e Boheme.
Conosco un prete che è contento perché ha la chiesa sempre piena, ma fa duecento posti e (per motivi particolari che non sto qui a spiegare)in quella chiesa arriva gente da tutta la Lombardia e anche dall'Emilia e dal Veneto...

E soprattutto mi è dispiaciuto molto quello slogan: si vendono i teatri come i formaggini, questa è la mentalità che c'è dietro.