Un’altra caratteristica dei dialetti, su cui non si tornerà mai abbastanza, è che cambiano di molto anche a pochi chilometri di distanza. E’ un fatto notissimo a chi parla davvero il dialetto, ma a volte si preferisce ignorarlo (quasi sempre per ragioni nazionalistiche, politiche). Per esempio, Biagio Marin scriveva nel dialetto di Grado, che non è quello di Trieste: eppure Grado e Trieste sono vicinissime. Per esempio, il dialetto bergamasco è incomprensibile per tutti gli altri lombardi; per esempio, il dialetto di Napoli non è quello di Benevento; i Sardi di Alghero non sono gli stessi di Cagliari; eccetera.
Uno dei più grandi scrittori dialettali italiani, Carlo Goldoni, iniziava “Le baruffe chiozzotte” con questa nota per il lettore: Venezia e Chioggia sono vicinissime, lo erano anche nel ‘700, ma Venezia e Chioggia hanno dialetti diversi. Un veneziano e un chioggiotto facevano fatica a comprendersi: lo sapeva benissimo Goldoni, che a Chioggia si trovò a vivere e a lavorare e che ha riversato in questa commedia la sua esperienza di “straniero” (straniero a pochi chilometri da casa...) mettendosi anche in scena personalmente, con esiti molto divertenti.
L'AUTORE A CHI LEGGE
Il termine Baruffa è lo stesso in linguaggio Chiozzotto Veneziano, e Toscano. Significa confusione, una mischia, un azzuffamento d'uomini, o di donne, che gridano, o si battono insieme. Queste baruffe sono communi fra il popolo minuto, e abbondano a Chiozza piú che altrove; poiché di sessanta mila abitanti di quel Paese ve ne sono almeno cinquanta mila di estrazione povera e bassa, tutti per lo piú Pescatori o gente di marina.
Chiozza è una bella e ricca città venticinque miglia distante da Venezia, piantata anch'essa nelle Lagune e isolata, ma resa Penisola per via di un lunghissimo ponte di legno, che comunica colla Terraferma. Ha un Governatore con titolo di Podestà, ch'è sempre di una delle prime Case Patrizie della Repubblica di Venezia, a cui appartiene. Ha un Vescovo, colà trasportato dall'antica sede di Malamocco. Ha un Porto vastissimo, e comodo, e bene fortificato. Evvi il ceto nobile, il civile ed il mercantile. Vi sono delle persone di merito e di distinzione. Il Cavaliere della città ha il titolo di Cancelier Grande, ed ha il privilegio di portare la veste colle maniche lunghe e larghe, come i Procuratori di San Marco. Ella in somma è una città rispettabile; e non intendo parlare in questa Commedia che della gente volgare, che forma, come diceva, i cinque sesti di quella vasta popolazione.
Il fondo del linguaggio di quella città è Veneziano; ma la gente bassa principalmente ha de' termini particolari, ed una maniera di pronunziare assai differente. I Veneziani, pronunziando i verbi, dicono, per esempio, andar, star, vegnir (per venire), voler ecc. ed i Chiozzotti dicono: andare, stare, vegnire, volere ecc. Pare perciò che pronunzino i verbi come i Toscani, terminandoli colla vocale senza troncarli; ma non è vero, poiché allungano talmente la finale, che diviene una caricatura.
Io ho appreso un poco quel linguaggio e quella pronunzia nel tempo ch'io era colà impiegato nell'uffizio di Coadiutore del Cancelliere Criminale, come accennai nella prefazione del Tomo Ottavo di questa edizione, ed ho fatto una fatica grandissima ad instruire i miei Comici, affine di ridurli ad imitare la cantilena e l'appoggiatura delle finali, terminando i verbi, per cosí dire, con tre o quattro e, come se dicessero andareeee, sentireeee, stareeee ecc. Quando il verbo è sdrucciolo, come ridere, perdere, frigere ecc., i Veneziani troncano la finale, e dicono: rider, perder, friger ecc.; ed i Chiozzotti, che non potrebbero pronunziare, come negli altri verbi, ridereeee, perdereeee, f rigereeee, perché ciò sarebbe troppo duro anche alle loro orecchie, troncano la parola ancor di piú, e dicono: ridè, perdè, f rixè ecc. Ma io non intendo qui voler dare una grammatica Chiozzotta: accenno qualche cosa della differenza che passa fra questa pronunzia e la Veneziana, perché ciò ha formato nella rappresentazione una parte di quel giocoso, che ha fatto piacer moltissimo la Commedia. Il personaggio principalmente di Padron Fortunato è stato de' piú gustati. E’ un uomo grossolano, parla presto, e non dice la metà delle parole, di maniera che gli stessi suoi compatrioti lo capiscono con difficoltà. Come mai sarà egli compreso dai Leggitori? E come potrà mettersi in chiaro colle note in piè di pagina quel che dice e quel che intende di dire? La cosa è un poco difficile. I Veneziani capiranno un poco piú; gli esteri, o indovineranno, o avranno pazienza. Io non ho voluto cambiar niente né in questo, né in altri personaggi; poiché credo e sostengo, che sia un merito della Commedia l'esatta imitazione della natura.
Diranno forse taluni, che gli Autori Comici devono bensí imitar la natura; ma la bella natura, e non la bassa e la difettosa. Io dico all'incontro, che tutto è suscettibile di commedia, fuorché i difetti che rattristano, ed i vizi che offendono. Un uomo che parla presto, e mangia le parole parlando, ha un difetto ridicolo, che diviene comico, quando è adoperato con parsimonia, come il balbuziente e il tartaglia. Lo stesso non sarebbe d'un zoppo, d'un cieco, d'un paralitico: questi sono difetti ch'esigono compassione, e non si deggiono esporre sulla scena, se non se il carattere particolare della persona difettosa valesse a render giocoso il suo difetto medesimo. (...)
Carlo Goldoni, LE BARUFFE CHIOZZOTTE, prefazione dell’Autore, 1761.
Turno di notte - Carmen Giardina
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