giovedì 3 ottobre 2019

Agonismo


L'altro giorno in tv ho sentito ripetere il lamento sui troppi bambini (e bambine) che fanno poco sport, e che spesso sono anche obesi. Seguivano disquisizioni che ho già ascoltato tante volte, ma mancava una voce, la mia. La mia e quella di tanti altri e altre: perché dunque non abbiamo fatto sport, noi mollaccioni? Allora racconto un po' cosa succede, perché anche oggi le cose non sono poi tanto cambiate rispetto alle mie esperienze.
 
Un collega sul lavoro era venuto a cercarci: mettiamo su una squadra di calcio, venite anche voi? Io e il mio compagno di quel turno avevamo messo le mani avanti: sapevamo di non essere mica tanto bravi, ma l'amico aveva insistito, era tanto per divertirci, non eravamo noi gli unici scarsi, anzi. E così siamo andati a giocare anche noi: è stato divertente e avrei continuato volentieri perché ero in buona forma fisica (mi ispiravo a Francesco Morini, roccioso stopper anni '70: l'unica cosa che potevo fare, tenere a bada gli attaccanti avversari mentre tutti gli altri andavano avanti in cerca di gloria), ma già dalla seconda partita sono cominciati ad apparire scarpini chiodati, parastinchi, portieri con i guanti, roba da professionisti. Così ho lasciato perdere, e mi è dispiaciuto. Da allora, non ho più giocato al pallone e se mi invitavano dicevo no grazie.
Qualcosa di simile mi è accaduto in vacanza, o con le gite in montagna: fiato a parte (quello si fa, con un po' di esercizio) c'erano sempre quelli che partivano a manetta, una gara a chi arrivava primo, mentre a me piaceva guardarmi in giro. La montagna risvegliava in me il naturalista che non sono mai diventato (ahimè, mea culpa) e mi fermavo volentieri a guardare le piante, l'erba, le chiocciole, gli insetti, i sassi sul percorso. A Creta, nelle gole di Samaria (un bel posto, chi c'è stato lo sa) mi era successa la stessa cosa: "voi siete gli ultimi, gli altri sono già fuori" ci aveva detto sorridendo la guida. Già fuori? Che cos'era, una corsa a premi? Era prestissimo, io sarei rimasto lì anche la notte se avessi avuto una tenda... Andò a finire che restammo fuori, fermi, più di un'ora ad aspettare il traghetto che ci avrebbe riportati al pullman.

Ecco, questa storia dell'agonismo presentato sempre come cosa positiva mi ha sempre disturbato. Ricordo ancora il disagio dell'ora di educazione fisica, a scuola. Io non sono mai stato agile, ero grande e grosso e facevo fatica a stare al passo degli altri; mi piaceva correre, mi piaceva giocare a pallavolo, ma mi hanno fatto passare la voglia molto presto. Col tempo, finita la scuola, mi sono comperato una bicicletta e mi sono iscritto a una palestra, e ho raggiunto dei discreti risultati. Niente di trascendentale, sia ben chiaro, ma abbastanza per raggiungere una buona forma fisica. Ho anche pensato, più di una volta, che se mi avessero lasciato fare, non dico da solo ma senza avere gente che mi urlava nelle orecchie, avrei anche imparato a nuotare. E mi dispiace molto di non aver imparato, ho sempre invidiato quelli che vanno in barca, al mare o sul lago.
 

E' stato così, vivendo in un mondo di insegnanti di ginnastica un tantino fanatici (educazione fisica, educazione motoria, fate voi) che non sono diventato un atleta. E' più forte di me, quando mi obbligano a fare qualcosa, quando mi gridano nelle orecchie, io mi fermo. L'ultimo di questo genere l'ho trovato in quinta alle superiori: "la mia materia conta come le altre, come chimica e matematica", permalosissimo. Il fatto è che quando poi fai i colloqui per trovare un lavoro non ti chiedono in quanto tempo fai i cento metri, ma la chimica e la matematica, o la ragioneria (eccetera). Il mio professore era uno dei tanti frustrati che vivono l'insegnamento come un ripiego; in seguito sarebbe diventato famoso nell'ambiente professionistico e lo era già stato in precedenza, ma si vede che in quel periodo si sentiva davvero incompreso. Avere a che fare con gente come me, e come tanti altri, figuriamoci, uno che aveva fatto le Olimpiadi...
Io avevo il fisico del lanciatore di peso, ma mi si chiedeva di fare il salto in alto; ovvio che ne uscissero delle brutte figure. Però mi ero impegnato, a un certo punto saltavo gli ostacoli correndo; ma ormai l'implacabile professore non mi guardava più, ero segnato, un lavativo da compatire.

Che dire, è giusto che pratichi l'agonismo chi ha voglia di provarci. Diventare professionisti e fare dei record è una fortuna che capita a pochi e a poche, per tutti gli altri basterebbe potersi mantenere in una buona forma fisica, e per questo sarebbe importante avere insegnanti che sappiano distinguere una persona dall'altra, e che soprattutto lascino in pace i sedicenni e i diciottenni, già capaci di decidere sulla loro vita e di essa responsabili. A me fanno impressione quelli che fanno gli ottomila in mezza giornata (che senso ha?), o che prendono gli steroidi per diventare mister muscolo a Cantù, o le ragazze che per correre la mezza maratona a Orvieto si rovinano la salute imbottendosi di anti infiammatori (che senso ha?).
 
Chiudo ripensando a un film famoso, "Full metal jacket" di Stanley Kubrick. Quando uscì ero ancora abbastanza giovane e mi ero riconosciuto nel protagonista della prima parte, il soldato grande e grosso che non riusciva a completare gli esercizi dei marines. Ricordo che un critico disse di aver riso di cuore davanti agli sforzi del "grassone", ma il film parlava del Vietnam e a quel tempo c'era ancora il servizio militare di leva. Oggi è diverso, ma il soldato Pyle non aveva chiesto di fare il soldato, era stato obbligato a farlo. Avere un sergente che ti urla nelle orecchie è una cosa fastidiosa, così come avere un professore di ginnastica che ti dà del lavativo e che volta la faccia dall'altra parte quando ti impegni e comunque provi a migliorarti. Quando ero uscito dal cinema, sulle note di "Paint it black" dei Rolling Stones, mi ero detto che era stata una fortuna non avere fatto il militare (ero molto miope, sulle dieci diottrie per ogni occhio). Chissà che cosa avrei fatto, ventiquattro ore su ventiquattro, per mesi, con uno che mi urlava nelle orecchie in quel modo. E, per di più, con un fucile in mano.

Un saluto a tutti quelli e quelle che avrebbero voluto fare sport, ma hanno trovato chi gli ha fatto passare la voglia.

 

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