martedì 14 gennaio 2020

Il refuso germoglia ( XI )


E poi ci sarebbe l’Amleto: ma non c’è verso di far scrivere Amleto al mio scanner. Ogni volta lo trovo cambiato: Anileto, Amlieto, Amieto, Arileto, seguendo il vento che spira da Nord-Nord Ovest. Ne escono tante cose strane, ma io ho avuto un sobbalzo soltanto alla vista di “fragilità, il tuo nome è Dorina”. Ma poi ho pensato che in fin dei conti anche questo ha un senso, Amleto non lo direbbe mai ma perché Anileto non dovrebbe dirlo? Può ben darsi che nell’Anileto una Dorina ci sia, noi non lo sappiamo ma chi potrebbe negarlo?

Se veramente mi guardi e non mi parli,
che sia per timidezza o per errore,
(che con gli occhiali io so che può succedere),
se veramente taci il tuo tacere
collima poco con quel che può piacere
a me o a qualsivoglia altra persona.
Se veramente taci per tacere,
ahimé dovrò cambiar parere allora.

A questo punto anche la mia mente comincia a ragionare come lo scanner, e i miei occhi a leggere come lui. E’ così che scopro altre cose inaspettate: come la tigre dai denti a spatola, presto estinta (un bel lapsus di quelli di una volta, infine). Ma anche scrivere stroia invece di storia è un bel refuso, molto significativo soprattutto di questi tempi (solo al pc possono succedere queste cose)
E anche ricarica è una bella parola, rica-rica; e Urani sono gli abitanti del cantone di Uri (lo dice la TSI); e il verbo introiettare contiene una porcellina. E, a proposito: che bestia sarà mai il gappotardo?
 
S’avanza lepido il tranellopardo
(mi fa paura sol con lo sguardo):
vive tranquillo al limite estremo
del grande buco in cui tutti cadremo,
e non è esotico e non ha riguardo,
ride felice se caschi, io temo...
Lo schiaffopardo, ben assestato,
è per avere tu ritardato
con lenti riflessi la mia risalita
con lievi eccessi la mia riuscita
con dolci amplessi l’ora che attendo
per rivedere infine l’aurora;
ma aspetta, aspetta che venga l’ora...
(che ben punisce chi non va in galera!).
 
Trovo in una lettera (una mail, per la precisione: posta elettronica) il signore che, con l’occasone, mi saluta cordialmente. Raccolgo gli auguri, ma cosa sarà mai l’occasone? Che si celi una minaccia dietro a tanta cordialità? Che quel signore mi aspetti dietro un angolo, con l’occasone in mano, pronto a darmelo in testa? O, invece, che attenti alla mia già più che curva linea del ventre con un magnifico occasone, ripieno di uvette e di canditi? (sarebbe anche un bel nome per un vino rosso: “occasone”, come l’amarone, per un vigneto illuminato dolcemente dalla luce del tramonto...).

Per veder bene ecco gli occhiali inforca;
tra le sue mire sono le rime ch'egli cerca -
ma non le trova e tira i remi in barca.

E infine le pagine dei libri, scansionate per portarne dei frammenti in un qualche scritto. E’ così che mi sono imbattuto negli artisti a cavallo. Gli artisti a cavallo??? Ah no, ecco: “gli artisti a cavallo fra il XIX e il XX secolo...”: bastava girare pagina, ma io non l’ho fatto.
E ringrazio ancora l’industriale che, in un’intervista peraltro molto interessante, se ne esce con questa frase: “Penso che noi sciupiamo in maniera incredibile. Rincorriamo totem che ci fanno perdere le dimensioni e il valore delle cose...”. Vedi cosa succede quando si parla: si dicono tante belle cose, e poi ci si trova a rincorrere qualcosa che sta fermo. Rincorrere un totem? Dev’essere un bello sport, ecco qualcosa che saprei fare anch’io.
 
Voluto ho essere io cacofonico
voluto io essere ho disarmonico
voluto mettere prosa sinfonica
laddove versi et anco rime abbondano;
voluto mettere io capri con cavoli
et a merenda ancor mangiare un polipo;
voluto fare qui quel che mi garba
tenere o radere questa mia brutta barba
far della metrica dovunque strame;
questo è il mio regno, telkì lo mio reame.

Ma è appunto il totem, il palo immobile e scolpito, qui nel bel mezzo del trivio, che mi ricorda che è ora di farla finita con questa commedia. Perciò passo e chiudo: ma come chiudere? Avrà un significato tutto questo mio discorso, o sarà solo “il racconto di un povero idiota, vento e suono che nulla dinota” ? Nel dubbio, chiudo così, cioè meglio che posso, cioè in una qualche miniera, come mio solito; augurandovi che soave sia il vento, che tranquilla sia l’onda, e che ogni elemento / benigno risponda / ai vostri desir.
 


(continua)

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