Una copertina per il "Wozzeck"
di Alban Berg è stata il mio primo incontro con Edvard Munch,
all'inizio degli anni '80. Non avevo mai visto niente del grande
pittore norvegese (1863-1944), ne ignoravo perfino il nome;
l'accostamento con l'opera di Alban Berg, tratta da Georg Büchner,
era perfetto e mi fece una grande impressione. "L'urlo" è
del 1893, ed esiste in più versioni: quella del mio 33 giri era
un'incisione a stampa, forse ancora più impressionante delle più
famose versioni su tela. Ma all'inizio degli anni '80 anche "L'urlo"
non era così famoso, anzi direi che non lo era affatto, almeno qui
da noi; sarebbe seguita pochi anni dopo una grande mostra a Milano,
che probabilmente faceva parte di un lungo tour mondiale dedicato a
Munch. Sta di fatto che, dalla metà degli anni '80, "L'urlo"
di Munch è diventato famosissimo, così famoso da essere ormai alla
portata di qualsiasi cretino. Chiedo scusa per il termine, ma a me
dispiace sempre vedere le cose importanti sporcate o derise: che sia
un capolavoro musicale o dell'arte figurativa, un simbolo religioso o
politico, il titolo di un saggio o di un romanzo, mi aspetterei che
si capisse di cosa si tratta prima di cominciare a scherzarci sopra.
Così non è, perché questo è il periodo della perdita non solo di
aura (vedi Elemire Zolla, "Aure", editore Marsilio) ma
anche di senso e di memoria.
Sono ormai passati cent'anni da quando
Marcel Duchamp fece i baffi alla Gioconda, sarebbe anche ora di
smettere di parlare di provocazione o di dissacrazione: se è una
cosa che fanno tutti (che può fare qualsiasi pirla, mi viene da
dire) non è più provocazione ma conformismo. Duchamp, in fin dei
conti, pasticciò una cartolina mandata a un amico; e il senso era
quello di invitare a guardare finalmente la Gioconda di Leonardo, a
studiarsela. Inoltre, erano ancora anni in cui non eravamo così
invasi dalle immagini e dai filmati; ogni libro e ogni immagine
stampata, ogni fotografia o filmato, avevano un peso ben differente
da quello che diamo oggi. Oggi, anche immagini pesanti e devastanti
che ci arrivano in tempo reale vengono dimenticate in un istante;
oggi, perfino le immagini di Auschwitz e dei campi di sterminio di
ogni tempo vengono prese come qualcosa su cui scherzare. Oggi, anno
2020, se si parla di una ragazzina di tredici anni rapita e seviziata
c'è chi ride e scherza come se niente fosse, ci sono perfino
politici e ministri che ci ridono sopra, come si ride e si scherza
sull'Urlo di Munch (sto parlando di Anna Frank e di Liliana Segre, e
di centinaia di altre come loro: lo scrivo qui per i distratti e i
male informati). In ordine di tempo, e tornando all'argomento con cui
ho cominciato, l'ultimo cretino a fare il verso all'Urlo di Munch è
un deejay della mia età, non un ragazzotto qualsiasi dunque. Questo
è ciò che lasceremo come eredità alle nuove generazioni: il non
prendere nulla sul serio, il ridere anche sul dolore.
PS: Se non vi è piaciuto questo post,
ci risentiamo dopo il prossimo incidente automobilistico con sei
morti, magari anche bambini, come quello del suv a Bolzano di domenica scorsa, o quello
delle due ragazze romane (un altro suv) di pochi giorni fa. O magari dopo qualche altra
notizia su cui ridacchiare, simile a quelle di cui ho parlato sopra.
L'importante, si sa, è che il dolore (l'urlo) tocchi a qualcun
altro.
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