Ebbene sì, sono ancora
nell'ufficio del Direttore, l'ultimo in fondo, in alto, nella
palazzina degli uffici. Il Direttore dice che sto diventando noioso,
che i miei colleghi non mi sopportano più, e che insomma, anche il
mio capo merita più rispetto, che diamine.
Al fatto che il mio capo
sia una brava persona, ma del tutto inesperta e incompetente non
posso ovviamente accennare, in questa sede: soprattutto perché il
Direttore lo sa benissimo, visto che è stata una sua scelta. Adesso
si è fatto male uno dei miei colleghi e il Direttore è molto
arrabbiato, soprattutto con me che ho osato obiettare qualcosa
riguardo ai suoi provvedimenti (è per questo che sono qui).
- C'è un problema grosso
con lo smaltimento dei campioni usati per le analisi, questo non lo
può negare – dico allora al Direttore: che non può negare, perché
lo sa benissimo. E' per questo che è successo l'incidente al mio
collega, e non per altro: un vasetto di acido solforico abbandonato
in mezzo ad altri innocui. Un vasetto che non doveva assolutamente
essere lì, e che non doveva assolutamente essere un vasetto ma un
contenitore più idoneo a un acido così concentrato e pericoloso:
due gravi incurie, inconcepibili in un laboratorio e in una fabbrica
bene organizzate.
E così, visto che non può
farmi niente, il Direttore si sfoga dando l'incarico di organizzare
bene lo smaltimento dei campioni al mio capo, che ovviamente non ne
sa molto e non si fa ben consigliare.
Infatti, la maggior parte
dei campioni viene spostata fuori, all'esterno e all'aperto, dentro a
dei bei bidoni azzurri ben etichettati; ma l'acido
dodecilbenzensolfonico, chissà perché, no. Lui, il prodotto
dell'impianto di solfonazione, rimane dentro al laboratorio: va
tenuto da parte, dentro ad un secchiello.
Ed ecco dunque Angelo che
si volta verso di me col viso rosso, soprattutto sugli zigomi e
intorno agli occhi, un eritema che mi allarma.
- Che cos'hai fatto,
Angelo? – gli dico subito.
- Perché? – chiede lui,
e va a vedersi allo specchio.
La soluzione è subito
chiara: Angelo ha smaltito un vasetto di acido dodecilbenzensolfonico
(è un detersivo, che neutralizzato e diluito serve per i lavapiatti
e i lavapavimenti) vuotandolo nel secchiello appoggiato sul bancone.
Naturalmente, per farlo ha dovuto aprire il secchiello: mica si può
versare qualcosa dentro un secchio chiuso. E lì, in agguato, stava
un gas: l'anidride solforosa, e forse anche solforica, a quel punto.
Si sviluppa sempre qualcosa, dall'acido dodecilbenzensolfonico non
neutralizzato. E' per questo che, in una ditta chimica ben
organizzata, l'acido dodecilbenzensolfonico lo si tratta con una
certa attenzione, anche se di per sé non è pericoloso come altri
acidi: quanto meno, lo si mette sotto una cappa. L'anidride
solforosa, e quella solforica, a contatto con l'acqua o anche solo
con l'umidità, danno acido solforico e solforoso: è il principio
ben noto al quale si deve la corrosione di tanti monumenti, per via
delle piogge acide. Il marmo dei nostri palazzi antichi, e delle
statue, è magari millenario e ha resistito benissimo al tempo fino
alla nostra epoca, nella quale abbiamo bruciato più zolfo di quello
che avremmo dovuto; e i risultati si vedono, anche sul Duomo di
Milano.
E dunque anche il mio
collega Angelo, come il David di Michelangelo e come gli angeli del
Duomo, è particolarmente sensibile alla corrosione. Non sopporta
l'aggressione degli acidi, e la sua pelle lo sta gridando con molta
evidenza. Il secchiello finisce subito fuori dalla porta, lo portiamo
fuori subito e lì resterà: fino al prossimo incidente o
inconveniente, quanto meno. Nel qual caso, vedremo quale altre
sorpresa ci riserverà quest’allegra combriccola che ci governa.
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