martedì 14 luglio 2020

Anidride solforosa


Ebbene sì, sono ancora nell'ufficio del Direttore, l'ultimo in fondo, in alto, nella palazzina degli uffici. Il Direttore dice che sto diventando noioso, che i miei colleghi non mi sopportano più, e che insomma, anche il mio capo merita più rispetto, che diamine.
Al fatto che il mio capo sia una brava persona, ma del tutto inesperta e incompetente non posso ovviamente accennare, in questa sede: soprattutto perché il Direttore lo sa benissimo, visto che è stata una sua scelta. Adesso si è fatto male uno dei miei colleghi e il Direttore è molto arrabbiato, soprattutto con me che ho osato obiettare qualcosa riguardo ai suoi provvedimenti (è per questo che sono qui).
- C'è un problema grosso con lo smaltimento dei campioni usati per le analisi, questo non lo può negare – dico allora al Direttore: che non può negare, perché lo sa benissimo. E' per questo che è successo l'incidente al mio collega, e non per altro: un vasetto di acido solforico abbandonato in mezzo ad altri innocui. Un vasetto che non doveva assolutamente essere lì, e che non doveva assolutamente essere un vasetto ma un contenitore più idoneo a un acido così concentrato e pericoloso: due gravi incurie, inconcepibili in un laboratorio e in una fabbrica bene organizzate.
E così, visto che non può farmi niente, il Direttore si sfoga dando l'incarico di organizzare bene lo smaltimento dei campioni al mio capo, che ovviamente non ne sa molto e non si fa ben consigliare.
Infatti, la maggior parte dei campioni viene spostata fuori, all'esterno e all'aperto, dentro a dei bei bidoni azzurri ben etichettati; ma l'acido dodecilbenzensolfonico, chissà perché, no. Lui, il prodotto dell'impianto di solfonazione, rimane dentro al laboratorio: va tenuto da parte, dentro ad un secchiello.
Ed ecco dunque Angelo che si volta verso di me col viso rosso, soprattutto sugli zigomi e intorno agli occhi, un eritema che mi allarma.
- Che cos'hai fatto, Angelo? – gli dico subito.
- Perché? – chiede lui, e va a vedersi allo specchio.
La soluzione è subito chiara: Angelo ha smaltito un vasetto di acido dodecilbenzensolfonico (è un detersivo, che neutralizzato e diluito serve per i lavapiatti e i lavapavimenti) vuotandolo nel secchiello appoggiato sul bancone. Naturalmente, per farlo ha dovuto aprire il secchiello: mica si può versare qualcosa dentro un secchio chiuso. E lì, in agguato, stava un gas: l'anidride solforosa, e forse anche solforica, a quel punto. Si sviluppa sempre qualcosa, dall'acido dodecilbenzensolfonico non neutralizzato. E' per questo che, in una ditta chimica ben organizzata, l'acido dodecilbenzensolfonico lo si tratta con una certa attenzione, anche se di per sé non è pericoloso come altri acidi: quanto meno, lo si mette sotto una cappa. L'anidride solforosa, e quella solforica, a contatto con l'acqua o anche solo con l'umidità, danno acido solforico e solforoso: è il principio ben noto al quale si deve la corrosione di tanti monumenti, per via delle piogge acide. Il marmo dei nostri palazzi antichi, e delle statue, è magari millenario e ha resistito benissimo al tempo fino alla nostra epoca, nella quale abbiamo bruciato più zolfo di quello che avremmo dovuto; e i risultati si vedono, anche sul Duomo di Milano.
E dunque anche il mio collega Angelo, come il David di Michelangelo e come gli angeli del Duomo, è particolarmente sensibile alla corrosione. Non sopporta l'aggressione degli acidi, e la sua pelle lo sta gridando con molta evidenza. Il secchiello finisce subito fuori dalla porta, lo portiamo fuori subito e lì resterà: fino al prossimo incidente o inconveniente, quanto meno. Nel qual caso, vedremo quale altre sorpresa ci riserverà quest’allegra combriccola che ci governa.

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