"Sto disimparando tutto quello che
ho imparato", mi dice l'amico Bellini, un anno dopo aver
cambiato lavoro. Si aspettava qualcosa di meglio, ma più che altro il
nuovo posto di lavoro gli permetteva di fare meno chilometri e di
stare più vicino alla famiglia. Ma il suo non è un caso isolato, è
anzi un lamento molto comune: molti di noi si trovano a lavorare in
ambienti che richiedono solo un lavoro meccanico e ripetitivo, spesso
noioso e burocratico, che con la chimica ha poco a che fare.
E la verità pratica è forse proprio
questa: che per lavorare in un'industria chimica aver studiato
chimica non è affatto necessario. Spesso basta il buon senso, l'aver
vicino un collega che ti dà le dritte giuste; a volte anche questo è
superfluo, non necessario: basta una buona raccomandazione, e puoi
anche andare in cima al mondo, saldo come una roccia, con tutta la
tua ignoranza (quella di partenza e quella guadagnata sul campo). (A
proposito, che la raccomandazione valga solo nei posti statali è un
altro mito da sfatare: c'è dappertutto e funziona sempre.)
Molto utile è per esempio aver fatto
l'idraulico, e averlo fatto bene: chi guarda un impianto chimico da
fuori vedrà subito di quanti tubi e valvole e raccordi è fatto, e
magari se ne spaventerà. E fondamentale è la caldaia, che produce
vapore; i distratti lo scambiano per fumo, ma è acqua allo stato
gassoso, cioè vapore. Siccome il vapore è caldo, serve a molti
scopi: per evitare che i composti che gelano (cere, grassi) otturino
le condutture, oppure per scaldare e pulire le autoclavi.
Ma nemmeno tutte queste cose sono
sufficienti ad avere un buon posto di lavoro, o a far carriera. Non conta nemmeno l'impegno, a molti sembrerà assurdo ma invece è spesso così.
Sembrerà strano, ma non sono queste le cose che contano, nel lavoro:
conta di più saper dire di sì al capo, per esempio. Tanto, il fesso
che lavora anche per te, e magari correndo, lo si troverà sempre.
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